RUBRICA "GLAZA" a cura di Davide Morganti
Il bruciacadaveri | Ladislav Fuks
Miraggi edizioni 2019
Traduzione di Alessandro De Vito
La morte, in Europa, pare più vecchia dell’uomo stesso e per liberarcene è necessario che smetta di esser morte, di questo è convinto il signor Kopfrkingl secondo cui “La sepoltura mediante cremazione è assolutamente sicura, e libera chiunque, in modo definitivo, dal timore di ritornare in vita. Chi decide di farsi cremare ha per tutta la vita la certezza di non dover temere nulla, e può morire in piena tranquillità. La cremazione gli risparmia ogni preoccupazione, se anche vogliamo credere che accadano anche oggi dei casi di reviviscenza”. Il signor Kopfrkingl è un uomo tenero, affettuoso, padre premuroso e marito pieno di amore per la consorte, lavora come funzionario al crematorio ed è ossessionato dalla procedura chimica di bruciare un cadavere; questo omino è una delle figure più inquietanti del Novecento scritta da uno scrittore straordinario e poco conosciuto: Ladislav Fuks (1923-1994). “Il bruciacadaveri” (Miraggi, tr.it. Alessandro De Vito, pag. 220, euro 18) è un romanzo di una potenza funerea come poche in letteratura, gli altri personaggi vengono travolti dalla figura del signor Kopfrkingl, sembra più un lunghissimo monologo che un romanzo a più voci. Ambientato nella Praga del 1938 – 1939, poco prima dell’invasione nazista, quest’uomo mellifluo e ambiguo, del tutto indifferente a qualunque espressione umana, è il servo giusto per l’ideologia hitleriana e Fuks con maestria descrive la sua naturale evoluzione verso la distruzione degli altri, in special modo degli ebrei. Capolavoro della letteratura cèca, tradotto con incisiva efficacia da De Vito, descrive con smaniosa insofferenza la sua tranquilla ferocia di Kopfrkingl il quale legge “Il libro tibetano dei morti” con devota ottusità, ascolta musica classica e si distingue per modi gelidi ma gentili; per lui l’uomo è morte, è la morte e vive solo per morire: c’è una tensione heideggeriana che fa dell’esistere una dissolvenza continua. Fuks adopera un linguaggio che schiaccia ogni cosa dentro una scatola nera, man mano che si va avanti si crea un clima di oppressione, i figli di Kopfrkingl, i suoi colleghi, gli amici svaniscono con meticolosa precisione da ogni storia, non sono mai stati niente, come se mai fossero esistiti. Le pagine dove spiega il processo di cremazione sono di una bellezza violentissima con la sua carica di ordinaria cattiveria e di credenza nella metempsicosi. “Ma l’anima non va a finire lì dentro, non è nata per stare nella latta, ma nell’etere. Sollevata dalle catene della sofferenza, liberata, illuminata, soggetta ad altre leggi che non quelle di questi cilindri di latta, trasmigra in un altro corpo”. Il cielo di Praga, per Kopfrkingl, è sempre grigio come la cenere che esce da un forno crematorio, lui non vede altri colori, è l’unico che percepisce, non ne esistono altri. Per questo anonimo signore praghese la morte ha una geometria che manca alla vita, ha un’esattezza che mai ci riesce di trovare (“il futuro è sempre incerto. L’unica cosa certa al mondo, è la morte”) ; il Reich, però, pian piano lo ammalia, lo seduce, è forse l’unico che possa provare a dargli quella precisione che somigli alla morte. Romanzo prodigioso perché si conficca dentro come un male oscuro, in tempi in cui si sfornano libri per intrattenere in modo leggero questo di Fuks (del 1962) si presenta come uno di quelli scritti per dare senso alla vita e alla lettura. “La dichiarazione di morte è l’atto burocratico di maggiore responsabilità, ma anche il più sublime che abbia luogo, è un atto decisivo, e noi qui ottemperiamo con precisione al nostro dovere”. Leggendolo, avrete la sensazione di avere tra le mani la Bibbia inaridita, ridotta a polvere, quella di cui parla il Qoelet e il sospetto è che pure Dio sia un cielo grigio.
Per concessione della casa editrice vi proponiamo anche la lettura di un ESTRATTO dall'incipit.
1
« Tesoro, » disse il signor Karel Kopfrkingl alla sua bella moglie dai capelli neri sulla soglia del padiglione delle belve feroci, mentre un leggero venticello quasi primaverile gli scompigliava i capelli, « eccoci di nuovo qui. Qui, in questo caro benedetto luogo dove ci siamo conosciuti diciassette anni fa. Allora, Lakmé, chissà se ti ricordi ancora davanti a chi è successo? » E quando Lakmé annuì, sorrise tenero verso il fondo del padiglione, e disse: « Sì, davanti a quel leopardo laggiù. Vieni, andiamo a vedere ». E una volta varcata la soglia ed essere andati verso il leopardo attraversando l’afa pesantemente animale, il signor Kopfrkingl disse:
« Mi sa proprio, Lakmé, che qui in questi diciassette anni non è cambiato niente. Guarda, anche quel serpente là nell’angolo è qui come quella volta, » indicò il serpente nell’angolo, che da un ramo osservava una giovanissima ragazza dalle guance rosse col vestito nero davanti alla gabbia, « io allora, diciassette anni fa, mi ero stupito che avessero messo un serpente nel padiglione delle belve feroci, visto che c’è un padiglione a parte per i serpenti… « e guarda, anche la ringhiera è la stessa… » indicò la ringhiera davanti al leopardo alla quale stavano per arrivare, poi, una volta giunti davanti al leopardo, si fermarono.
« È tutto come quella volta, diciassette anni fa, » disse il signor Kopfrkingl « salvo forse il leopardo. Quello di allora ormai sarà in cielo. Già da tempo la natura gentile l’avrà strappato alle catene animali. Lo vedi, cara, » disse, osservando il leopardo, che sbatteva gli occhi dietro le sbarre, « non facciamo che parlare di natura gentile, di sorte benevola, dell’indulgenza di Dio… valutiamo e giudichiamo gli altri, biasimandoli per questo o quello… per essere malfidenti, calunniatori, invidiosi e non so più cos’altro, ma noi come siamo, proprio noi, siamo gentili, benevoli, buoni?… io ho sempre la sensazione di fare tremendamente poco per voi. L’articolo sul giornale di oggi, di quel padre che ha abbandonato la moglie e i figli per non doverli mantenere, è una cosa terribile. Povera donna, che farà ora con i bambini? Ci sarà una legge a proteggerli. Almeno le leggi dovrebbero servire a proteggere le persone. »
« Esiste di certo una legge così, Roman, » disse Lakmé a voce bassa « di certo non lasceranno morire di fame quella donna con i bambini. Tu stesso dici che viviamo in un buon paese civile, dove vigono la giustizia e il bene, lo dici tu stesso no? E noi, Roman… » sorrise « non ce la passiamo poi male… Hai un buono stipendio, abbiamo un appartamento grande e bello, e mi occupo con tranquillità delle cose di casa, dei bambini… »
« Non ce la passiamo male, » disse il signor Kopfrkingl « grazie a te. Avevi la dote. Ci ha aiutato quella beata di tua madre. Ci aiuta la tua zia di Slatiňany, che, se fosse cattolica, una volta morta sarebbe certamente dichiarata santa. Ma io cosa ho combinato? Ho giusto provveduto alla nostra casa, e se è vero che è una bella casa, resta tutto quello che ho fatto. No, cara, » il signor Kopfrkingl scosse la testa e guardò il leopardo « Zinuška ha sedici anni, Milivoij quattordici, sono proprio nell’età in cui hanno più bisogno e io devo occuparmi di voi, è il mio sacro dovere. Mi è venuta un’idea su come aumentare i miei guadagni extra ». E visto che Lakmé lo guardava senza dire una parola, si voltò verso di lei e a tu per tu le disse:
« Prenderò un agente e gli darò un terzo della mia provvigione. Sarà il signor Strauss. Sarò d’aiuto a voi, mia celeste, e anche a lui. È un buon uomo, per bene, e ha avuto una vita terrificante, ma te lo racconterò, chi non aiuterebbe un brav’uomo? Lo inviteremo al ristorante Al cofanetto d’argento. »
Lakmé si strinse al marito, lo sguardo sorridente, e guardò il leopardo che continuava a sbattere gli occhi come un grande cane bonario, anche il signor Kopfrkingl guardò il leopardo sorridendo in volto, poi disse:
« Lo vedi, tesoro, che animo tenero possono avere gli animali? Come riescono a essere amabili, quando l’uomo sa avvicinarsi a loro ed entrare nella loro trista anima chiusa. Quante persone malvagie diventerebbero buone, gentili, se si trovasse qualcuno capace di comprenderle, di ascoltarle, di accarezzare un po’ la loro anima inaridita… perché ogni uomo ha bisogno di amore, forse persino la polizia, che persegue la prostituzione, ha bisogno di amore, le persone malvagie sono malvagie solo per questo motivo, che nessuno mai ha concesso loro un po’ d’amore… Il leopardo di oggi è un altro rispetto a quello di diciassette anni fa, ma anche per questo un giorno arriverà il momento della liberazione. Anche lui un giorno tornerà a vedere, quando cadrà il muro che lo circonda e sarà illuminato da una luce che oggi ancora non scorge. La nostra incantevole ha avuto il latte? » chiese, intendendo la gatta che avevano in casa, e non appena Lakmé, in silenzio, annuì, il signor Kopfrkingl sorrise per l’ultima volta al leopardo e poi pian piano, attraverso l’afa pesantemente animale, da quel caro, benedetto posto davanti alla gabbia del leopardo, dove diciassette anni prima si erano conosciuti, ritornarono verso l’uscita. Il signor Kopfrkingl gettò uno sguardo nell’angolo, al serpente, che dal ramo continuava a tenere d’occhio la ragazza dalle guance rosse col vestito nero davanti alla gabbia, e disse: « È strano che abbiano messo un rettile vicino alle belve feroci, sembra messo lì come una semplice decorazione o come un riempitivo… » poi con tenerezza condusse Lakmé oltre la soglia del padiglione sulla strada contornata di cespugli e lì Lakmé sorrise e disse:
« Sì, Roman, invita il signor Strauss al ristorante. Ma indicaglielo col nome giusto, che non debba cercarlo. »