Il cadavere di Nino Sciarra non è ancora stato trovato
Davide Morganti
2019 Wojtek Edizioni
I fratelli Sciarra, siciliani trapiantati a Napoli, sono morti. Un uomo ha il compito di entrare in casa e recuperarne i corpi. Uno dei cadaveri viene trovato subito; dell’altro non c’è traccia. Oltre la soglia dell’abitazione, cianfrusaglie accatastate, cicche di sigarette, spazzatura, cibo avariato e libri. Soprattutto libri. L’uomo viene inghiottito dalle stanze in cui vaga senza requie e si perde nelle pagine di autori dimenticati. Nel corso della sua vana ricerca, il mondo degli Sciarra prende corpo; quello in cui l’uomo vive, al contrario, perde consistenza, finché le due realtà si confondono con l’universo emerso dai libri. Un romanzo in cui divagare è il solo modo per perseverare nella ricerca. Dopo Caina (Fandango, 2009) e La consonante K (Neri Pozza, 2017), Davide Morganti scrive un’opera enigmatica, in bilico tra il reale e l’assurdo.
ESTRATTO: per concessione della casa editrice vi proponiamo la lettura dei primi due capitoli
Atrio
Giocattoli, carrozzine deformate, pezzi di violini, corde e cavi elettrici attorcigliati a pile di giornali vecchi di anni, cataste di scatoloni pieni di bicchieri rotti, cassepanche zeppe di lenzuola, fasci di ombrelli, candelabri, manichini smontati, un’intera automobile fatta a pezzi e migliaia di cianfrusaglie senza valore, quattordici pianoforti verticali e a coda, un clavicembalo, due organi, violini, fisarmoniche e un banjo, scheletri di pianoforti, grammofoni, strani macchinari inservibili, fili elettrici, giunti e tubi idraulici, mucchi di carbone, macchine per scrivere, macchine per cucire, pneumatici usati, pelapatate, vestiti, mantelli, centinaia di metri di seta, lana, broccato, damasco e tessuti non utilizzati, elmetti, pantaloni e giubbe militari, busti in gesso, ritratti a olio, arazzi, decine di carrozzine per bambini, trenini giocattolo, scatole di soldatini di piombo, botti di vino, barilotti e fusti per la birra, palle da bowling, organi umani in salamoia, fotografie porno, motori d’automobili, una collezione di pistole, quadri, orologi a pendolo, attrezzature fotografiche, dischi, lampadari in vetro, lampade nautiche, torce elettriche, lampade da campeggio, mobili pregiati, valigie, pentole, tappeti, corde, rastrelli, ombrelli rotti, biciclette, rubriche, elenchi telefonici, un passeggino, un passeggino per bambole, cibo andato a male, pelapatate, una collezione di armi, candelabri di cristallo, palle da bowling, la capote di un calesse, un cavalletto, alcuni ritratti dipinti, foto di pin-up, busti in gesso, il baule della signora Sciarra, molle del letto arrugginite, stufa a cherosene, un seggiolone da bambino, organi umani sotto formalina, otto gatti vivi, tappezzeria, centinaia di rotoli di tessuti e seta, corni da caccia, organetti e innumerevoli pacchi di riviste e giornali di molti anni prima e libri, libri, libri, tantissimi libri.
Stanza uno
Il cadavere di Nino Sciarra non è ancora stato trovato, quello di suo fratello stava sotto la finestra, tra un mobile e pile di giornali; siamo in questa casa da due settimane e quello che stiamo rimuovendo non è comprensibile: tonnellate di rifiuti accumulati in una palazzina che dà sul lago. Prima di abbattere tutto bisogna recuperare il corpo, che chissà dove è finito. C’è puzza di chiuso, di umido, di piscio di topi, di tempo, si fa fatica ad avanzare tra migliaia di oggetti buttati a caso in questa villa enorme, a tre piani e non so quante stanze, poco distante dai parchi; a volte mi gira la testa, faccio fatica ad avanzare in mezzo all’immondizia, il fetore è terribile, molti sono andati via; dal lago ogni tanto arrivano zaffate pestilenziali di fango e morte.
Nino Sciarra era assai conosciuto in zona, una specie di matto che usciva la notte e andava a comprare nei bar o al supermercato qualcosa da mangiare e da bere; non dava da parlare a nessuno, entrava e usciva subito, evitando le persone, nascondendo la faccia dietro un cappello a tesa larga. Io non l’ho mai visto, eppure abito non troppo lontano, a Varcaturo, me ne hanno parlato spesso, solo che a me i matti fanno paura da quando, da bambino, mentre andavo a riprendere il pallone finito in un terreno privato, incontrai un ubriaco, con lo sguardo annacquato dall’alcool che scambiai per follia, e questo mi fece segno di tagliarmi la gola. Per anni vissi col terrore di incontrarlo.
Gli Sciarra erano ricchissimi, di famiglia siciliana, i genitori si trasferirono a Napoli tempo fa e hanno lasciato non solo la villa ma decine di milioni di euro a questi due disgraziati, almeno è quello che raccontano a Lago Patria. Non so quanti anni avessero, penso più di 50. Manco me lo ricordo il nome dell’altro, era cieco, lo seppelliranno chissà dove, verso Giugliano, non credo aspetteranno il fratello, mi sa che ci vorrà ancora molto. Più volte sono inciampato, ho ferite ovunque, bisogna stare attenti ai chiodi che escono dalle pareti e da assi di legno poggiate dove capita. Mi sento soffocare, fa caldo, ci saranno almeno una quarantina di gradi, sono costretto a tenere la bocca aperta: l’aria esce bollente dalle fessure. Quando sono entrato avevo dei guanti che ormai si sono lacerati, li ho buttati in mezzo a tutta questa spazzatura. Il caposquadra ci aveva detto di non rimanere più di ventiquattro ore, poi ci avrebbero dato il cambio, solo che io in questo labirinto mi sono perso, evitando anche un paio di trappole di Nino Sciarra che hanno rischiato di uccidermi. Ho raccolto alcuni libri ma erano viscidi, scuri di umido, illeggibili, li ho calpestati coi miei grossi scarponi e su uno di questi – Il Guerino meschino – sono scivolato, slogandomi il polso che ancora mi fa male. Non so se c’è il sole, non mi interessa. Passo ore seduto senza far nulla, quasi mi fossi arreso nemmeno io so a cosa, faccio fatica a mettere ordine in questa casa triste; mi mancano le forze, non servono le mie forze.
Le pagine dei libri vecchi hanno un peso diverso da quelle dei libri nuovi; sono leggere, consunte, provano a trattenere il tempo e la loro resistenza non la conosce nessuno. La letteratura è uno strano cimitero, mette dentro vivi e morti, e a stento si riconoscono. Un ragno sta camminando su una scarpa, doveva essere di Nino. Certe volte mi pare di sentire i passi di questi strani fratelli e mi spavento, non so difendermi dal male. Ho paura di morire come loro, con centinaia di valigie e riviste che mi seppelliscono fino a soffocarmi. Nessuno mi chiama più, io però non mi arrendo, ogni morto ha diritto alla sepoltura e allora vado avanti senza fermarmi.