Fa sempre un po’ effetto leggere certe biografie, intrecci di storie che solo la vita vera sa concertare tanto in bellezza quanto in drammi; come la vita di Sylvia Plath e la biografia della sua rivale in amore Assia Wevill, colpevole di averle sottratto il poeta inglese Ted Hughes con il quale era stata sposata. La vita della Plath, si concluse con un suicidio l’11 Febbraio del 1963, sebbene poi sembrava fosse soltanto un ennesimo urlo di aiuto finito male, lei affetta da bipolarismo aveva tentato ancora di sottrarsi alla vita, e pare che avesse di fatto lasciato un messaggio alla nuova governante che di li a poco sarebbe arrivata chiedendo di chiamare il medico, fatto sta che si lascio morire ficcando la testa nel forno non prima di aver lasciato latte, pane e burro ai suoi figli.
Celebre e di una calma inquietante la sua ultima poesia The Edge in italiano l’Orlo:
La donna è infine perfetta.
Il suo corpo
Morto porta il sorriso del compimento
L’illusione di una greca necessità
Fluisce, nelle pieghe della sua toga,
I suoi piedi
Nudi sembrano dire:
Abbiamo camminato tanto, è finita.
Ogni bimbo morto, riavvolto, bianco serpente
Uno ad ogni piccola
Brocca di latte, ora vuota
Li ha piegati
Di nuovo nel corpo di lei come petali
Di una rosa si chiudono quando il giardino
S’intorpidisce e odori sanguinano
Dalle dolci, profonde gole del fiore notturno.
La luna non ha nulla di cui essere triste,
fissando dal suo cappuccio di osso
è abituata a questo tipo di cose.
Le sue macchie nere crepitano e tirano
Ma la vita della sua rivale non fu certo meno drammatica, anzi! Quasi in una sorta di triangolo di maledizione, morì suicida pure lei, portandosi dietro la figlioletta di soli 4 anni Shura, e macabramente replicando la modalità utilizzata dalla Plath.
Un libro, intitolato A Lover of Unreason, in italiano: ‘Un’amante Irragionevole”, scritto da due giornalisti israeliani, Yehuda Koren ed Eilat Negev, narra la tragica vita di Assia Wevill Gutman.
Per approfondire http://www.sylviaplath.altervista.org/Wevill.htm
Assia perse l’amore di Ted poco dopo essere andati a vivere insieme nella casa che fu condivisa con Sylvia. Assia subì per tutti i pochi anni della loro storia il confronto con l’inarrivabile poetessa, il cui talento era per Assia motivo di ammirazione e dolore:
……“Sylvia mi sta crescendo dentro, enorme, magnifica. E io mi sto seccando, rimpicciolendo. Entrambi [Sylvia e Ted] mi finiscono a morsi. Si nutrono di me”. Dubitava dell’amore di Ted ed era terrorizzata dall’idea che lui la relegasse per sempre nel ruolo di amante senza mai giungere a sposarla – paura che in effetti finì col materializzarsi. Assia scrisse in una nota quelle che riteneva essere le priorità di Hughes:
“Prima di tutto il resto c’è Sylvia, e dopo di lei, il Grande Schema, il Genio, i suoi bambini, e l’immobilità del sole, i milioni di falchi e pesci, e l’ombra della notte che io non posso vedere, né sentire…”
Assia era una donna di grande cultura e aveva ambizioni letterarie. Il paragone con Sylvia era inevitabile e lei non poteva che uscirne sconfitta. Paragonandosi alla rivale rifletteva:
“…con l’enorme differenza che lei aveva un milione di volte più talento, mille volte la mia forza di volontà, cento volte l’avidità e la passione che mi contraddistinguono. Non avrei mai dovuto guardare nel vaso di Pandora […] Che razza di donna sono? Quanto tempo mi è stato concesso? Quanto tempo prima che sia tutto finito? […] Sono abbastanza per lui? SONO ABBASTANZA PER LUI?”
(fonte http://www.sylviaplath.altervista.org/Wevill.htm)
Nonostante la mia enorme ammirazione per la Plath non posso non sentire un moto di commozione per Assia, che vive un amore difficilissimo, tanto forte quanto distruttivo.
Da un saggio di Daniela Raimondi
(fonte http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/06/28/vivere-e-morire-nell%E2%80%99ombra-di-sylvia-plath-di-daniela-raimondi/) vi riporto la lettera che Assia scrive a Ted, quando il loro rapporto era declinato non molto prima del suicidio:
“Ti scrivo dall’esofago, dalla mia gola e dalla mia enorme, sempre aperta ferita. Scrivo alle tue mani grandi, alla pura bellezza all’interno dei tuoi polsi, ai tuoi occhi dei momenti felici. Non ti scrivo dal cervello, ma da sotto il mio esofago.
Voglio sapere se vuoi riparare le cose fra noi perché mi ami ancora, perché senti ancora quella forza primitiva che ci unisce…. o se mi vuoi solo come istitutrice per aiutarti a crescere i tuoi figli. Ho ancora la forte speranza che ci si possa costruire una vita felice, piena d’amore. So di amarti ancora con la mia testa, e il mio corpo e la mia vita, mio adorato Ted. Apriti, apriti a me come facevi un tempo. E insieme a te fiorirò di nuovo, e potrò prendermi cura di te, darti tutto quello che ho…
Fino ad oggi, tutti, tranne te, hanno dettato legge sulla nostra vita. Abbiamo bisogno di stare per conto nostro… Sento così tanto amore per te, per la tua parte migliore. Ti ammiro e ho paura di te, del potere che eserciti su di me. Nessun altro uomo ha avuto tanto potere sulla donna che è in me. Contraccambia questo mio amore e, se non ne sei capace, allora dimmelo, lasciami andare con quel poco di pace che saprò salvare.”
Ted Hughes non parlò mai nella sua enorme carriera letteraria di Assia, come dimenticata, ignorata, non vissuta, inspiegabile a noi umani tanta crudeltà che io vorrei giustificare soltanto con l’idea che a volte grandi amori sono intoccabili anche dalle parole.
La sola traccia di Assia è nell’ultimo libro del poeta inglese : ‘Lettere del Compleanno’, in cui in una poesia narrerà l’incontro in cui sembra attribuire al destino questo evento:
“Non la trovammo noi – fu lei che ci trovò.
Ci scovò a fiuto. Il Destino che portava
ci scovò
e ci riunì, ingredienti inerti
per il suo esperimento.
La Favola che portava
requisì te, me e lei,
marionette per la sua rappresentazione.”
A voi altre riflessioni.