L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo | di Kate Raworth traduzione di E. Cella
Edizioni Ambiente 2017
Il dibattito generato dalla doughnut economics, teoria elaborata da Kate Raworth, docente all’Environmental Change Institute dell’Università di Oxford, è di grande attualità e propone spunti di riflessione importanti sull’iniquità del modello economico oggi prevalente; basti ricordare che otto persone possiedono da sole la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità e che ancora una persona su nove soffre la fame.
Riscontrare l’incoerenza, la non sostenibilità del sistema economico globale, rappresenta il primo passo verso l’adozione di un modello in grado di tutelare il pianeta, di favorire il benessere di tutte le forme viventi che lo abitano.
La nostra epoca rischia di essere identificata come un punto di non ritorno. L’umanità si è allontanata progressivamente dalla natura e dai processi che ne tutelano gli equilibri; questa separazione è stata innescata (nel XVIII secolo) dalla Rivoluzione industriale, periodo storico che ha determinato cambiamenti di grande impatto dal punto di vista socioeconomico e culturale.
Al momento la nostra incidenza sugli ecosistemi può essere ritenuta imponente, considerando anche il fatto che la popolazione mondiale continua a crescere a un tasso di circa 83 milioni l’anno. Al dato demografico, ai numeri che testimoniano lo stress a cui è sottoposto il sistema ambiente, si aggiunge l’egemonia di una consolidata impostazione culturale e filosofica, cornice entro la quale gran parte delle attività umane vengono subordinate ai parametri della redditività.
Il dettato economico, mettendo in primo piano una specie di figura ideale dell’essere umano, l’Homo oeconomicus, ha plasmato una forma di pensiero che oggi appare ineludibile, imperniata sulla soddisfazione dell’esigenza di continuare ad acquisire beni materiali. Scrive Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia: “La maggior parte di noi non vorrebbe pensare di corrispondere all’idea di uomo che sta alla base dei modelli di economia prevalenti, ossia un individuo calcolatore, razionale, egoista che pensa solo a se stesso e non lascia spazio alcuno all’empatia, al senso civico e all’altruismo. Un aspetto interessante dell’economia è che il modello descrive più gli economisti che non le altre persone e quanto più a lungo gli universitari studiano economia tanto più tendono ad assomigliare al modello”.
Adottando una simile impostazione, condizionata dalla tradizione delle scienze economiche, gli apparati di governo hanno lasciato campo libero allo sfruttamento dei flussi di materia provenienti dai giacimenti e dai processi naturali. Una vera e propria appropriazione indebita, realizzata senza considerare che tali risorse hanno capacità rigenerative e ricettive limitate, non possono cioè essere sfruttate al di sopra delle loro possibilità di rinnovare funzioni, cicli, risorse e servizi. Uno scenario (per certi versi tangente a irrimediabili livelli di rottura) che fa apparire sempre più anacronistico e offensivo il concetto di Business As Usual, cioè “fare come se nulla fosse”.
In linea con il presupposto che valuta necessario il passaggio da un’economia del “più grande” ad una del “meglio”, il volume di Kate Raworth illustra i paradigmi che proiettano verso una nuova visione, legata alla interdisciplinarità e focalizzata sulla difesa delle specificità ambientali. In primo piano vi è la Sustainability Science, la scienza della sostenibilità, materia capace di integrare le conoscenze più avanzate di fisica, chimica, biologia, geologia, ecologia e scienze sociali con le nuove acquisizioni di frontiera, quali l’economia ecologica, la biologia della conservazione, l’ecologia industriale. Scrivono Gianfranco Bologna ed Enrico Giovannini nell’introduzione all’opera pubblicata in Italia da Edizioni Ambiente: “Volendo semplificare il concetto in una semplice definizione, possiamo affermare che sostenibilità vuol dire imparare e vivere, in una prosperità equa e condivisa con tutti gli altri esseri umani e in armonia con la natura, entro i limiti fisici e biologici dell’unico pianeta che siamo in grado di abitare: la Terra”.
Nel solco di una presa di coscienza multidisciplinare si attesta l’avventura intellettuale e operativa di Kate Raworth, che si sviluppa a partire dalla seconda metà del primo decennio del 2000 con la prima pubblicazione scientifica realizzata da numerosi autorevoli studiosi dediti alla Global Sustainability e alle scienze del Sistema Terra. Nello specifico l’economista inglese giunge, attraverso un intenso percorso di ricerche e di esperienze sul campo, a elaborare un approccio riguardante i confini planetari (limiti che l’intervento umano non può oltrepassare) estremamente affascinante e innovativo, denominato “economia della ciambella” (Doughnut Economics). All’individuazione delle soglie che pongono un limite allo sfruttamento delle risorse naturali, che strutturano un “tetto” oltre cui il degrado ambientale diventa inaccettabile e pericoloso per l’umanità, Kate Raworth specifica un livello sociale di base, un “pavimento” (contraddistinto da 11 priorità) sotto il quale la deprivazione umana diventa intollerabile e insostenibile. Queste prerogative sociali vengono idealmente “incrociate” con l’insieme dei confini planetari (i “tetti ambientali”) per giungere alla formazione di una fascia circolare a forma di ciambella che può essere definita sicura per l’ambiente e socialmente giusta per l’umanità.
La Doughnut Economics, avvalendosi di immagini e parole che ne delineano la narrazione, propone quindi una nuova storia economica ripulita dalle astrazioni, che fissa obiettivi a lungo termine per l’intero pianeta, intellegibili anche dai neofiti delle scienze economiche.
Come disse Buckminster Fuller, uno degli inventori più ingegnosi del Novecento, “non si cambiano le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, bisogna costruire un nuovo modello che renda obsoleto quello attuale”. Il libro di Kate Raworth accetta la sfida proposta da Buckminster Fuller e indica sette mosse per imparare a pensare come economisti del XXI secolo, sette passaggi chiave per liberarci dalla nostra dipendenza dalla crescita, riprogettare il denaro, la finanza e il mondo degli affari e per metterli al servizio delle persone.
“Questi sette modi di pensare – scrive Kate Raworth – non delineano specifiche prescrizioni o correzioni istituzionali alle politiche. Non promettono risposte immediate sul cosa fare dopo, e non rappresentano sicuramente la risposta completa. Ma sono convinta che siano di importanza fondamentale per il modo radicalmente diverso di pensare all’economia che serve nel XXI secolo.”