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TIPS DI SCRITTURA – RUBRICA dedicata ai consigli e riflessioni degli scrittori a proposito di scrittura, romanzo, esordire


Demetrio Paolin (1974) vive e lavora a Torino. Ha pubblicato il romanzo Il mio nome è Legione (2009), i saggi Una tragedia negata. Il racconto degli anni di piombo nella narrativa italiana (2008) e Non fate troppi pettegolezzi (2014) e diversi studi critici su Primo Levi. Ha collaborato con il “Corriere della Sera” e “il manifesto”. Conforme alla gloria (2016) con il quale è stato candidato allo Strega 2016.


Per scrivere un buon romanzo quali sono i segreti fondamentali della scrittura?
Il problema di questa prima domanda è l’aggettivo che si accompagna alla parola “romanzo” ovvero “buono”. Cosa vuol dire buono? Ecco io non lo so, così come non so cosa vogliano dire bello o brutto. Cosa definisce un romanzo buono, bello o brutto? La risposta non è così semplice. Io preferisco dire se un romanzo funziona o no. Sul verbo “funzionare” vorrei, però, fare un’opera di chiarezza. Negli ultimi tempi sento spesso dire questa cosa (romanzo, racconto, film, canzone) funziona; il termine in tale contesto suona più come un “mi piace” o un “non mi piace” senza nessuna spiegazione. Mentre per me l’area semantica di “funzionare” indica una serie di saperi, di tecniche e di azioni ben precise. Insomma quando un romanzo funziona non è perché mi piace, ma perché assolve al suo compito di verisimiglianza e di veridicità. Per ciò che mi riguarda il termine “funziona” risponde una precisa domanda: come l’immaginazione che ho nella mia testa può essere trasportata nella pagina che vado a scrivere? Una pagina funziona quando l’immagine che ho pensato nella mia testa si riversa nella pagina nel modo più gradevole possibile. Il segreto fondamentale della scrittura, quindi, secondo me, sta nello rispondere onestamente alla domanda: la pagina che ho appena scritto risponde alla mia immaginazione iniziale? È quindi una questione di onestà e di responsabilità. Lo so che arrivato a questo punto il fantomatico esordiente si dirà: ma come? Che ha che fare questo con lo scrivere?

La scrittura è prima di tutto un atto etico, perché scrivere è un’azione che riguarda la relazione tra le persone, la loro relazione con il mondo. Scrivere è mettere in evidenza come gli esseri viventi stanno in rapporto gli uni con gli altri. Se quindi penso al più grande segreto della scrittura, penso che esso risieda non nella pagina scritta, ma nell’osservazione acuta delle persone, nella lettura dei libri, nella lettura dei giornali, nella curiosità di stare in mezzo agli accadimenti; penso che il segreto sia l’essere curiosi di capire come si fa un dribbling, come si esegue una autopsia, quale sia il funzionamento preciso della fotosintesi clorofilliana… La scrittura, la tecnica e la retorica della costruzione di un discorso iniziano lì: possiamo quasi dire che la maggior parte della scrittura sta nella parte non scritta dell’attività.

Scrivere aiutandosi con uno schema o in modo libero?
Non ho una idea predefinita e quindi inizio sempre a scrivere in modo libero, è anche vero però che tra la nascita dell’idea narrativa alla fase della scrittura, come ho detto prima, passa parecchio tempo. In tale lasso temporale si forma nella mia mente un’ossatura abbastanza chiara degli eventi. Quindi scrivo un po’, cerco di capire se la lingua sorregge la mia immaginazione e la mia storia. È questo un momento delicato per me, perché se mi rendo conto che la mia scrittura non va, allora le strade sono due. O la storia è pessima e quindi non mi accende nulla o la storia non è ancora matura e debbo continuare a studiare. Se invece mi rendo conto che ciò che scrivo funziona abbastanza bene allora viene il momento di fermarsi, di costruire uno schema, di rispondere a tutte le domande che le scene ti suggeriscono, a tutti i dubbi e i problemi che i vari snodi e personaggi propongono. Lo schema cresce insieme alla scrittura del testo; quindi non lo precede ma lo accompagna. Mi viene in mente la struttura lignea che Leon Battista Alberti usò per costruire la sua cupola. Ecco lo schema del romanzo è tutto lì, in quella trovata audace e ingegnosa dell’architetto scrittore. Io non credo al “modo libero”, credo che la scrittura sia un’opera di razionalizzazione, che sia un’opera di messa in chiarezza, che utilizzi codici come la lingua che di per sé sono uno schema e quindi hanno a che fare con la razionalità. Insomma tra gli astratti furori di Elio Vittorini e i fantasmi cartesiani di Primo Levi, io scelgo i secondi, anche perché penso che la preferenza del “modo libero” sia un ritornare sotto mentite spoglie dell’idea della scrittura come sregolamento dei sensi, come divina mania: cose che io reputo se non sbagliate, quanto meno bizzarre.

Quante ore al giorno è bene scrivere?
Tre ore mi sembrano sufficienti. Poi dedicherei il resto del mio tempo alla lettura, a passeggiate in bici, a stare con i propri figli, a fare la spesa, a giocare a calcetto o praticare qualche sport e infine a bersi una birra e ascoltare musica o andare al cinema o a teatro. Non è disdicevole giocare con i videogames o guardarsi una serie in tv. Scrivere sempre e tutti i giorni potrebbe anzi essere deleterio. Io direi che bisogna sapersi organizzare: trovare il tempo per fare tutto e per farlo bene. La scrittura non è solo l’atto di digitare un testo, ma possiede in sé qualcosa di immateriale. Io scrivo sempre, scrivo continuamente anche se ci sono giorni interi durante i quali non tocco una tastiera.

Si corregge durante o solo alla fine?
Si corregge e si riscrive praticamente sempre, almeno per me è così. Durante la composizione del libro se il testo non è concluso certe volte riapro una parte o un capitolo, perché nei giorni precedenti ho letto qualcosa o mi è accaduto qualcosa che mi ha fatto pensare a quelle pagine. Così le rielaboro alla luce delle mie nuove conoscenze. Quando poi il testo è finito, allora le riscritture sono molte e di solito dall’inizio alla fine. Si lavora prima sulla struttura del testo, sulle scene, sul montaggio, sull’aggiunta o sullo stralcio degli episodio, si lavora sui personaggi, perché risultino coerenti e rispondano a quello che tu, come autore, ti aspettavi da loro. Si lavora sulle relazioni dei vari personaggi tra di loro, e infine, in ultimo, sulla lingua, sul tono, sulle scelte lessicali e sull’equilibro di ogni singola frase. Tutto questo per tutte le volte che è necessario farlo.

Volendo definire un metodo efficace quale ti sentiresti di proporre?
Non ho un metodo, ma penso che sia importante comprendere come l’idea, la storia, per quanto buona non basti. Il fatto di avere una buona storia non fa di te uno scrittore. Anzi io penso che sedersi sugli allori di una buona idea sia il rischio maggiore. Allora bisogna interrogare materialmente le storia che si è immaginato. Tutte le conseguenze, tutte le possibili vicende, tutti i collegamenti, storici e filosofici, e musicali e iconografici. Bisogna capire come si muovono i singoli personaggi, e come si muovono gli uni con gli altri. È necessario costruire un ordine del discorso; non credo alla distinzione tra libri di trama e libri di scrittura. La trama e la scrittura sono collegate e profondamente, perché entrambe nascono da questa immaginazione a cui ogni scrittore dedica l’intera fatica della costruzione del romanzo o del racconto. Ancora una volta sposto il discorso, e so che il povero esordiente si sentirà un po’ spaesato, ma dico che il vero metodo è quello della servitù. Bisogna farsi servi della storia che si scrive, riconoscerne la grandezza, che spesso travalica la nostra sensibilità, cultura e sapere; comprendere che la storia è più grande e importante di noi. Il problema, il centro della questione, è sempre lo stesso: considerare la scrittura come una vocazione, il saper scrivere come un talento o un dono piovuto dal cielo, la composizione artistica come il frutto di una follia al limite del divino. Se pensi questo ecco, giovane scrittore che vuoi esordire, i tuoi testi faranno acqua e saranno il più delle volte deboli. Ci vuole fatica e esercizio e perseveranza, ci vuole tecnica e ragionamento. Se poi proprio mi si dovesse chiedere un metodo io direi al giovane scrittore che vuole esordire di leggersi gli
Esercizi spirituali Ignazio di Loyola (c’è una traduzione bellissima di Giovanni Giudici edito da SE), che secondo me potrebbe risultare interessante. Rimanendo nell’ambito del frasario religioso, io direi che il giovane scrittore esordiente dovrebbe smetterla di pensare alla scrittura in termini mistici e pensarla in termini ascetici.

Come si interagisce e quando con un editor?
Prima di tutto l’editor è una persona, che ha delle competenze, una cultura, un immaginario e, infine, è pagato per fare un determinato tipo di lavoro. Quindi non è un tiranno, non è la personificazione del Moloch del mercato che vuole distruggere la nostra arte per fare arrivare il nostro testo non alla gloria delle patrie lettere ma agli scaffali dell’ipercoop di turno. L’editor spesso ci aiuta a vedere dove il nostro testo è mancante o troppo pieno, spesso e volentieri lavora con noi per migliorare il montaggio di una storia, o per farci capire di tic linguistici che usiamo e di cui non siamo più consapevoli. L’editor è uno sguardo diverso al nostro testo: è il primo passo verso il rapporto con l’altro, con il lettore che abbiamo. È, quindi, un rapporto prezioso che può aiutarci per le scritture future. Noto in giro una certa qual resistenza al lavoro degli editor, figlia secondo me di questa considerazione alta e sublime della nostra opera; come se al nostro romanzo vi avessero posto mano la terra e il cielo. Mi preme ricordare a chi sostiene che “neppure un virgola del mio testo deve essere toccata” che nulla è scritto sulla pietra. Neppure le tavole delle Legge. Anche i 10 comandamenti furono oggetto di riscrittura. Le prime tavole furono spezzate da Mosè e Dio dovette infine ri-scriverle. Quindi direi che da parte dello scrittore ci vuole umiltà, mentre da parte dell’editor ci vuole un cuore intelligente che comprenda la ragioni del testo.

Quali consigli daresti a un esordiente?
Al fantomatico esordiente darei alcuni consigli pratici. Prima di tutto leggi narrativa e poesia italiana, soprattutto contemporanea. Vai a cercare le novità tra libri scritti ora in questo tempo qui, perché ti sono necessari. Ora il fantomatico esordiente mi potrebbe chiedere: Questo vuol dire che non bisogna leggere o rileggere i classici? O che non è necessario leggere la letteratura straniera?

No. Questo significa che non devi dimenticarti di essere partecipe di un tempo presente e di come questo tempo presente produca delle narrazioni, di cui forse un giorno anche la tua ne sarà parte. Consiglio di scrivere recensioni, appunti, ragionamenti sui testi che legge, e se può di renderli pubblici e di condividerli: di analizzare bene i testi, di spiegarne la trama, di capirne la lingua e le tematiche. Consiglio di andare alle presentazioni, alle letture, ai festival non tanto per provare a relazionarsi con gli altri scrittori, editor etc etc non tanto per farseli amici, quando per comprendere che sono persone come tutti.

Consiglio di non scrivere per la gloria, di non scrivere perché un giorno sarà un classico, consiglio di non scrivere per avere un ruolo sociale, o per rivalsa nei confronti del mondo, di non scrivere per avere donne e maschi alla propria corte, di non scrivere per avere un seguito di accoliti, di non scrivere per fare letteratura, ma di scrivere molto banalmente perché qualcuno, infine, legga il testo e di scrivere perché qualcuno infine, molto banalmente, lo paghi per il lavoro che fa. Se tutto questo produrrà qualcosa negli altri, se le sue opere diventeranno per alcuni importanti, sarà un di più che non guasta.

Al fantomatico esordiente consiglio – insomma – di amare la scrittura con un amore quasi distratto, ironico, perché deve essere consapevole che ciò a cui sacrificherà tutto, vita amori lavori notti vacanze, potrebbe non ricambiare mai tale trasporto, o potrebbe ancora peggio ricambiarlo ma solo per un tempo limitato e per poi sparire; perché la scrittura è capricciosa e potrebbe stufarsi di te, di me, e allora un po’ di sano distacco e di ironia leggera potranno aiutarci nell’abbandono.

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I consigli di scrittura degli scrittori: Demetrio Paolin

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