Letteratura russa oggi, cosa sapere di narrativa e poesia. Guido Carpi in dialogo con Oleg Lekmanov e Valerij Šubinskij
(intervista e traduzione a cura del prof. Guido Carpi
ordinario di Letteratura russa all’Università di Napoli “L’Orientale”)
Miracoli del villaggio globale: dalla mia postazione partenopea, dove Miradois cozza con Capodimonte, converso amabilmente di letteratura russa con Oleg Lekmanov (Mosca, classe 1967) e Valerij Šubinskij (San Pietroburgo, classe 1965): due studiosi novecentisti ai massimi livelli, esperti, fra le tante cose, di Osip Mandel’štam il primo e di Oberiu il secondo. Da veri professionisti, entrambi sanno subito calibrare la conversazione sulle aspettative di un pubblico colto ma allofono, gravato da limiti che certo non hanno gli studenti che li ascoltano in classe…
Carpi
La redazione di ZEST, dopo una prima intervista in cui ho fatto una panoramica sull’attualità della narrativa e della poesia dai classici ad oggi, è interessata ad un approfondimento ulteriore. Io, quindi, inizierei così: prendiamo un lettore italiano che conosce già due o tre classici della letteratura russa del Novecento (tipo Il Maestro e Margherita e Il dottor Živago). Secondo voi come dovrebbe procedere per allargare e approfondire la sua cerchia di letture? Io, ad esempio, gli consiglierei di seguire l’ordine cronologico, ossia di cominciare dai testi che stanno alla base della letteratura del periodo sovietico: I dodici di Aleksandr Blok, Noi di Evgenij Zamjatin, L’anno nudo di Boris Pil’njak, L’armata a cavallo di Isaak Babel’. Non sarebbe male, secondo me, che il lettore facesse anche un piccolo passo indietro e leggesse quella prosa sperimentale degli anni Dieci (i romanzi di Andrej Belyj, Foglie cadute di Vasilij Rozanov) che ha posto le basi per lo stile della prosa immediatamente post-rivoluzionaria. Voi che ne dite?
Lekmanov
A mio parere, la risposta a questa domanda dipende in larga misura dagli scopi che si pone il nostro ipotetico lettore. Se vuole capire cos’è successo nella Russia sovietica dopo l’Ottobre del 1917, oppure se gli interessa studiare la letteratura sovietica in modo sistematico, la lista che hai proposto va benissimo (io vi includerei senz’altro i primi racconti di Michail Zoščenko e forse, per i più caparbi, Cemento di Fedor Gladkov). Se invece il nostro lettore desidera solo godersi la letteratura russa del Novecento, confermerei Zoščenko e Zamjatin e aggiungerei i racconti di Leonid Dobyčin e i Racconti di Odessa di Babel’ (non L’armata a cavallo), mentre Pil’njak lo escluderei a cuor leggero.
Carpi
Grazie Oleg! A proposito: il primo Zoščenko è una vera lacuna nel nostro panorama traduttivo…
Šubinskij
Mi pare normale che nel campo di interesse dei lettori stranieri finiscano prima di tutto i libri che per questo o quel motivo sono entrati nella cultura di massa, e in particolare i romanzi. Ci sono due modi per correggere questo quadro. Il primo consiste effettivamente nel fare un passo indietro: a Pietroburgo di Belyj, a Ivan Bunin; il secondo è dedicarsi alla prosa degli anni Venti. Ma qui sorge una domanda molto importante: cosa ci interessa? La letteratura o la sociologia? Perché dal punto di vista letterario Gladkov è un po’ scarso e Pil’njak, malgrado il suo ruolo storico, è abbastanza mediocre, ma entrambi sono interessanti dal punto di vista sociologico. Se invece parliamo d’arte, è necessario La città di En di Dobyčin, sono necessari tutto Babel’ e lo Zoščenko dei racconti e delle Novelle sentimentali. Io citerei anche Invidia di Jurij Oleša e Il canto del capro di Konstantin Vaghinov: sono libri importanti, sia dal punto di vista estetico sia per comprendere l’epoca. E, naturalmente, gli oberiuty, soprattutto Daniil Charms: è quello che arriva in modo più immediato ed è il più tradotto. Poi non bisogna dimenticare che più o meno nel 1926 esordiscono i due principali prosatori russi del Novecento: Andrej Platonov in Unione Sovietica e Vladimir Nabokov in emigrazione.
Carpi
Per quanto riguarda la poesia degli anni Venti, il problema è che gli assi fondamentali in traduzione ce li abbiamo, ma c’è un enorme strato di poeti di prima grandezza poco o nulla noti da noi. Possiamo leggere Majakovskij, Esenin, Cvetaeva, Achmatova, Mandel’štam ma, ad esempio, Vladislav Chodasevič, Michail Kuzmin, i poeti di Oberiu (Unione dell’Arte reale), pur quando tradotti, faticano a trovare un loro canale di ricezione, per non parlare dei poeti di un gradino sotto ma comunque fondamentali per la cultura poetica di quegli anni. Non potreste consigliare una lista di testi che inserireste in un’immaginaria crestomazia poetica degli anni Venti? (Magari un buon traduttore di poesia legge questa conversazione e gli viene voglia di buttarsi).
Lekmanov
Se vogliamo una short list della poesia anni Venti, ci metterei I dodici, Alla Casa di Puškin, Gli Sciti di Blok, la raccolta La colonna di fuoco di Nikolaj Gumilev, quella di Kuzmin La trota rompe il ghiaccio, tutto di Achmatova, Chlebnikov, Pasternak, Cvetaeva; Abbiamo disimparato a fare la carità ai poveri… di Nikolaj Tichonov, La morte della pioniera, Febbraio e I contrabbandieri di Eduard Bagrickij, La nostra marcia, Marcia di sinistra, Vladimir Il’ič Lenin, A piena voce e Di questo di Majakovskij, Pugačev, L’uomo nero e Ora fa silenzio il bosco d’oro… … di Esenin. E poi gli oberiuty: Le colonne di piombo di Nikolaj Zabolockij, Una certa quantità di conversazioni di Aleksandr Vvedenskij, Il carassio, Lo scarafaggio, Il cambio di cognomi di Nikolaj Olejnikov. Infine, un po’ di poesia per l’infanzia: Il coccodrillo di Kornej Čukovskij, Mister Twister e Il bagaglio di Samuil Maršak.
Quanto alla prosa, sottoscrivo Platonov e butto lì anche La guardia bianca di Bulgakov e, per il teatro, Il suicida di Nikolaj Erdman.
Šubinskij
Il quadro che le persone mediamente colte hanno della poesia russa del XX secolo si è formato negli anni Sessanta, e presenta oggi delle lacune evidenti. Dal punto di vista odierno, Chodasevič e Kuzmin non sono meno importanti di Achmatova e Cvetaeva, e Georgij Ivanov non è meno rilevante di Esenin. Anche Vvedenskij e il primo Zabolockij sono geni di prim’ordine, dei classici. Ma se per quanto riguarda la prima metà del XX secolo è possibile mettersi d’accordo in un modo o nell’altro (anche se è necessario star dietro alle nuove pubblicazioni: ad esempio, la scoperta della poesia di Gennadij Gor – scritta durante l’assedio di Leningrado – è stata un evento di fondamentale importanza), con la seconda metà del secolo, da questo punto di vista, iniziano i guai: ogni esperto proporrà la propria lista. Secondo me è di fondamentale importanza capire che nel corso di tutta l’epoca sovietica le cose importanti si verificavano al di fuori della stampa ufficiale.
Per questo negli anni Venti è meglio scegliere gli oberiuty e non Tichonov o Il’ja Sel’vinskij; quanto alla Leningrado anni Trenta-Quaranta è meglio scegliere Gor e Alik Rivin e non Ol’ga Berggol’c; negli anni Sessanta-Settanta sono meglio Iosif Brodskij, Leonid Aronzon, il gruppo di Lianozovo, Oleg Grigor’ev, Elena Schwarz rispetto a Evgenij Evtušenko e Andrej Voznesenskij, e anche ad Aleksandr Kušner o David Samojlov (poeti validi ma limitati dal proprio ruolo socioculturale). Certo, ci sono stati poeti davvero notevoli che sono riusciti a penetrare nella cultura ufficiale: Arsenij Tarkovskij, Viktor Sosnora.
Lekmanov
Ehi, ehi, io avevo capito che si parlava solo degli anni venti. E poi, secondo me dovremmo cominciare col distinguere subito ciò che accadeva nella Russia sovietica dalla cultura dell’emigrazione: erano fenomeni davvero molto diversi, e certo non possiamo non tenere conto di autori emigrati come Georgij Ivanov, il tardo Chodasevič, Nabokov e, sì, anche Gajto Gazdanov.
Carpi
Avevo iniziato dagli anni Venti per poi muoverci in avanti: spero che arriveremo a parlare anche della letteratura contemporanea. Quanto al vostro modo di ridefinire il canone poetico, Valerij, non vi sembra che cada nell’eccesso opposto rispetto al canone “ufficiale”, sostituendo i poeti “sovietici” delle diverse epoche con altri che ai loro tempi erano dei marginali? Bagrickij, Tichonov, Nikolaj Aseev negli anni venti, e poi Samojlov, Boris Sluckij sono ad ogni modo veri poeti, che hanno definito gli orientamenti poetici dei lettori e spesso hanno influenzato i poeti underground o ne sono stati influenzati: cancellarli mi pare che renda impossibile comprendere l’immaginario delle varie epoche, i gusti del pubblico colto.
Šubinskij
Non ho detto che si debba rifare tutto da capo, ma che è necessario spostare il baricentro. In questo modo saremmo in grado di guardare in modo nuovo anche gli autori mainstream delle varie epoche. Ad esempio, ho di recente scritto un articolo sui paralleli fra la poesia di Vaghinov e quella di Bagrickij.
Carpi
Un parallelo fra il poeta snob per eccellenza, antiquario e “passatista” fino al surrealismo, e quella del cantore del romanticismo sgangherato e “coatto” dei contrabbandieri e dei ragazzini con la stella rossa?
Šubinskij
Allo stesso modo, Invidia di Oleša si legge in modo ben diverso nel contesto dei romanzi dello stesso Vaghinov e di Al di là della luna di Andrej Nikolev.
Carpi
Un’ideale terna di romanzieri a cavallo fra anni Venti e Trenta, sideralmente lontani dall’ufficialità del Primo piano quinquennale…
Šubinskij
Il fatto è che, secondo me, l’influenza che un testo ha avuto sui contemporanei e il successo che essi gli hanno decretato non devono essere il nostro criterio principale.
A proposito, parlando degli anni Venti abbiamo dimenticato alcuni prosatori notevoli: ad esempio Vsevolod Ivanov, nella cui opera corre una curiosa frattura fra la parte “ufficiale” e quella “non ufficiale”.
Lekmanov
Beh, di autori ne abbiamo “dimenticati” molti: dal giovane Veniamin Kaverin al Boris Žitkov della maturità e Sigizmund Kržižanovskij. Ma per l’appunto stavamo parlando dei “massimi”.
Carpi
Per quanto riguarda i prosatori degli anni venti, il problema è come offrirli al lettore italiano. So per esperienza quanto sia difficile tradurre il loro stile “sporcato” a bella posta: la loro lingua è il risultato di un completo rimescolamento dei registri stilistici dopo che la Rivoluzione ha smantellato tutte le istituzioni volte alla codificazione e alla trasmissione della lingua letteraria standard e ha distrutto i segmenti sociali che di tale lingua erano portatori, ossia il ceto urbano colto. In Italia non c’è stato nulla del genere: i tentativi di scardinare la lingua letteraria (ad esempio Carlo Emilio Gadda) hanno avuto un carattere sperimentale e sporadico. Noi, a differenza della Russia contemporanea, abbiamo un ricchissimo panorama di dialetti locali, ma non posso mica tradurre in veneto o in napoletano lo stile sub-standard di Zoščenko, Platonov o Michail Šolochov. A proposito: Il placido Don non lo avete nominato perché le posizioni politiche dell’autore vi sono odiose, oppure perché non vi piace dal punto di vista artistico?
Šubinskij
Secondo me il valore letterario de Il placido Don è sopravvalutato, anche se so che molti non saranno d’accordo.
L’importanza di questo libro è legata soprattutto ai tentativi di ricreare il grande romanzo epico. Tentativi simili se ne facevano da diverse direzioni: ad esempio Viktor Vavič di Žitkov è un tentativo di scrivere un romanzo partendo dalla prosa breve “ornamentale” degli anni Venti.
Carpi
Ma ahimè, sia la prosa migliore del periodo sovietico sia le poche cose valide che si scrivono ora, arrivano al lettore italiano in forma casuale e caotica, spesso senza il necessario apparato critico, in cattiva traduzione. Vi faccio un esempio: in una costosa e prestigiosa edizione dell’Arcipelago GULag hanno fatto scrivere l’introduzione a una giornalista di successo che manco sa il russo. Lo avrebbero fatto per Thomas Mann, Faulkner o Guimarães Rosa? Non credo…
C’è poi un altro problema a mio parere insolubile: come si fa a periodizzare e a organizzare in un canone la letteratura del periodo staliniano al suo apogeo (1925-1939), quando il sistema letterario si scinde in tre sottosistemi (la letteratura ufficiale, quella sotterranea e quella dell’emigrazione), e ognuna delle quali funziona in base a regole del gioco del tutto differenti? Esiste una cornice concettuale capace di circoscriverle tutte e tre?
Lekmanov
Io penso che non sia il caso di circoscriverle, almeno per quanto riguarda la letteratura sovietica e quella dell’emigrazione. Appena ci si prova, viene fuori un’infinità di luoghi comuni banali tipo quello della “lira spezzata” etc. Erano letterature che si sviluppavano secondo leggi del tutto differenti: sugli scrittori sovietici lo Stato esercitava una pressione pazzesca, mentre gli emigranti erano tormentati dalla consapevolezza che nessuno sapeva che farsene di loro.
Carpi
Poi c’è il problema della letteratura “celata” degli anni Trenta, che oggi è da noi considerata la “vera” letteratura di quell’epoca: si tratta di opere di portata colossale (dallo Sterro di Platonov ai Versi per il milite ignoto di Mandel’štam, dai Casi di Charms a Requiem di Achmatova e al Maestro e Margherita) che nondimeno non poterono esercitare alcuna influenza sul pubblico, né ottenerne alcun feedback; esse non influirono le une sulle altre né furono capostipiti di un genere, e di conseguenza non costituiscono alcuna “storia”.
Come scrivere una storia di una simile letteratura? È forse la questione più difficile da risolvere, tanto più che qualsiasi giudizio o tentativo di concettualizzare questi fenomeni si porta dietro senza meno un’etichettatura politica: quando nella mia Storia della letteratura russa (Carocci editore, 2 volumi) ho definito la letteratura dell’emigrazione fra le due guerre una sorta di “pecora Dolly”, un organismo clonato nato già vecchio, ecco che sono insorti tutti gli apologeti del buon vecchio mito dell’eroe-bianco-esule-per-l’idea… Era peraltro evidente che mi riferivo alla struttura della letteratura emigrata nel suo complesso, e che in nessun modo volevo stigmatizzare gli scrittori davvero notevoli, spesso peraltro marginalizzati nel contesto in cui si trovavano ad operare.
Šubinskij
Effettivamente, quello della letteratura separata dai lettori, di una letteratura “ad azione ritardata”, è uno dei problemi principali, reso vieppiù complesso dalla necessità di capire come, nonostante tutto, questi poeti e prosatori fossero in contatto fra loro. Ad esempio, si è a lungo pensato che gli oberiuty non avessero avuto seguaci immediati, mentre adesso conosciamo il retaggio di Pavel Zal’cman, Vsevolod Petrov, i versi di Gor: il quadro è in parte cambiato.
Carpi
Più che giusto. Fra gli immediati post-oberiuty io evidenzierei soprattutto Aleksandr Rivin (Alik der Meschuggener, ossia “lo strambo” in yiddish): ho cercato, nella mia Storia, di valorizzarne la figura, ma ahimè, la presentazione al nostro lettore dell’intero panorama underground degli anni Trenta – una sorta di “via sovietica al surrealismo” – è opera del futuro. Nemmeno gli oberiuty di prima fila sono ancora recepiti come si deve dalla nostra cultura (con l’eccezione del Charms prosatore).
Šubinskij
Rivin è una figura di grande interesse e rilevanza, ma, purtroppo, nemmeno in russo è stato raccolto e pubblicato il suo retaggio, nonostante l’edizione sia in cantiere da dieci anni. In generale, negli anni Trenta c’erano poeti “impubblicabili” molto interessanti, ad esempio Vladimir Ščirovskij. Ma i cardini restano Oberiu e il tardo Mandel’štam.
Carpi
Per dirigere la conversazione sulla letteratura contemporanea mi permetto una piccola provocazione. Voi, Šubinskij, in un vostro recente intervento vi siete lamentati suppergiù (scusatemi, ma non ho sotto mano il testo) del fatto che a scuola, in Russia, si insegni un canone vecchio di mezzo secolo, spacciandolo per “letteratura contemporanea”. Tu invece, Oleg, in un’intervista di qualche giorno fa hai detto che è meglio non fare degli scrittori viventi un argomento didattico, dato che è impossibile creare un canone stabile. Come la mettiamo?
Ve lo chiedo perché è una questione che non riguarda soltanto l’insegnamento da voi, ma anche le traduzioni da noi. Come possiamo mettere assieme una crestomazia per il lettore italiano se per me il principale prosatore del periodo postsovietico è Aleksandr Čudakov, mentre per una collega che gode della mia massima stima – e con cui non vedrei l’ora di lavorare a un’antologia – l’autore principale è, mettiamo, Vladimir Sorokin, che io invece considero un modaiolo furbastro?
Lekmanov
Secondo me, quando si incappa nella letteratura contemporanea, non c’è verso di giungere a conclusioni indiscutibili. Ed effettivamente penso che, a guardare troppo da vicino, la vista si confonda, e che, se ci mettiamo a insegnare alle medie o alle superiori gli scrittori viventi, rischiamo di ingarbugliarci senza speranza nei gusti personali. Del resto, c’è una gran quantità di corsi facoltativi e di seminari di approfondimento nel cui ambito puoi benissimo insegnare Čudakov, oppure Sorokin, a tuo piacimento.
Carpi
Sì, ma nel contesto della nostra chiacchierata quello che più mi interessa è verificare la possibilità di comporre un canone, prosaico o poetico che sia, da offrire al nostro pubblico. Qui non ci sono seminari facoltativi che tengano: bisogna scegliere questo o quello…
Lekmanov
Beh, io in una crestomazia probabilmente ci metterei Solženicyn e Brodskij come fenomeni indiscutibili (se non altro per il Nobel), e poi darei un brano breve per ogni tendenza: un racconto di Jurij Kazakov, uno di Vasilij Aksenov, magari La vittoria, un racconto per uno da Jurij Trifonov, Vasilij Šukšin, Viktor Astaf’ev, Valentin Rasputin (obtorto collo) e Sergej Dovlatov, ad esempio. E una poesia per uno da Evtušenko, Bulat Okudžava, Bella Achmadulina, Voznesenskij, Samojlov e Sluckij. Insomma, io mi baserei su una certa capacità di rappresentare la società del tempo. Magari a me piacciono di più Viktor Krivulin, Aronzon, di sicuro Lev Losev, ma così ci si butta sui gusti, come dicevo prima. E quelli vivi non li metterei proprio, anche se, diciamo, Sergej Gandlevskij, Timur Kibirov e Lev Rubinštejn secondo me sono poeti di grande valore.
Carpi
Beh, però così la nostra crestomazia è destinata in linea di principio a nascere già anacronistica: rifletterà il canone degli anni Settanta, e anche in quell’ambito risulterà deformata, dato che la povera Elena Schwarz ce la possiamo mettere, mentre il suo contemporaneo Rubinštejn, grazie al cielo tuttora in salute, dobbiamo tenerlo fuori…
A proposito: selezionare una scelta rappresentativa della letteratura russa contemporanea è tanto più necessario perché il nostro lettore, per inerzia, da voi si aspetta ancora qualcosa del tipo – “il Grande Scrittore della Terra Russa”, con tutti gli accessori: il messianismo, l’empito universalistico, la tendenza a sciorinare prediche, etc. Da Gogol’ a Solženicyn, il nostro lettore è abituato a identificare la letteratura russa con questo modello, così come dai sudamericani si aspetta la pioggia su Macondo e nei giapponesi cerca gli hikikomori: non a caso da noi non hanno mai “sfondato” le figure prive di questi accessori, da Puškin a Dovlatov.
Secondo me questa tradizione è ormai finita, né ci potranno più essere scrittori dall’empito “profetico-messianico”, dato che la Russia di oggi è totalmente priva di quella narrazione “universale” e di quella proiezione globale che avevano sia la Russia imperiale che l’URSS, a prescindere dal giudizio di merito che noi ne possiamo dare. Voi che ne pensate?
Šubinskij
Io penso che ciò non dipenda dal ruolo della Russia o dall’esistenza di una “narrazione universale”: quest’ultima, all’occorenza, la si può inventare per qualsiasi Paese, come Adam Mickiewicz fece a suo tempo per la Polonia. Ormai il modello del “Grande Scrittore della Terra Russa” è obsoleto e compromesso anche in relazione alle figure del passato: per uno scrittore di oggi possono fungere da modello Puškin e Čechov, non Tolstoj e Dostoevskij.
Per quanto riguarda la letteratura contemporanea in senso lato, sono contrario alla distinzione fra “vivi” e “morti”: non dovremmo parlare in classe di un capolavoro underground degli anni Settanta come La scuola degli sciocchi perché l’autore, Saša Sokolov, è ancora vivo? Oppure, fra i poeti “alternativi” del medesimo decennio, possiamo insegnare Krivulin ma non il tuttora vivente Sergej Stratanovskij? Mi sembra che la cosa importante da fare sarebbe un’altra: delimitare una cerchia di autori relativamente “consensuali” chiamando in causa un certo numero di esperti. Ciò ovviamente non significa che gli altri non si possano studiare, per lo meno a livello facoltativo.
Carpi
Per quanto riguarda l’esaurimento della figura dello “scrittore Maestro”, non pensate che una certa influenza l’abbia giocata la fine del “letteraturocentrismo”, ossia del ruolo sostitutivo che per tutto il periodo sovietico la letteratura si trovava a dover svolgere nei confronti di altre sfere della cultura, quali la sociologia, la pubblicistica e l’opinione pubblica in generale?
Šubinskij
Si potrebbe discutere in merito a cosa abbia influito su cosa. Ma certo, se trent’anni fa era normale utilizzare un testo letterario come base per una discussione su un tema sociopolitico, oggi la cosa apparirebbe assurda.
Carpi
In chiusura me la sentirei di chiedervi come spieghereste a degli studenti stranieri la specificità della letteratura russa. Per quanto vago sembri il modo stesso di porre la questione, ho la faccia tosta per arrischiare la seguente risposta:
la letteratura russa è il secondo polmone della cultura europea. Solo dopo averla compresa e avere imparato ad amarla, noi europei occidentali siamo in grado di respirare a pieno petto…
Šubinskij
Si può anche dire così. Ma io ho un’altra teoria: che la Russia sia un Paese del Nuovo Mondo come gli USA, il Canada, il Messico o il Brasile. E che la cultura russa sia in un certo senso una cultura coloniale: una cultura europea trapiantata in uno spazio extraeuropeo. E se la chiave stesse in questo?
Carpi
Non voglio immaginare quanto una simile definizione piacerebbe ai vostri nazionalisti! Ma anche a me, sinceramente, pare una forzatura: la Russia non è mai stata una colonia (se si eccettua il giogo mongolo, nel Medioevo), e come si fa a figurarsi una cultura coloniale senza contrapposizione fra dominatori stranieri e aborigeni sottomessi? E poi, a differenza dei Paesi che avete citato, in Russia la lingua letteraria è un prodotto indigeno, non è stata imposta da fuori.
Šubinskij
La Russia è stata colonia di se stessa, e per molti versi lo rimane. Certo, è un’esagerazione, eppure…