Roma pare dissolversi in una nube d’acqua mentre con Mónika Szilágyi cammino sotto un ombrello aperto, un palazzo è incastrato tra due strade e le finestre chiuse oppongono resistenza all’acqua, ci fermiamo vicino a una vecchia cabina telefonica e allora, nell’attesa che il temporale si esaurisca, Mónika comincia a parlare.
“Ho studiato lingua e letteratura ungherese all’Università, oltre che lingua italiana, i primi libri della vostra letteratura che mi colpirono furono Il giardino dei Finzi Contini di Bassani e le opere di Goldoni. All’epoca il muro di Berlino era già caduto, nel 1989 avevo da poco terminato la scuola media e percepivo l’importanza del passaggio a ovest”.
Un tuono travolge la strada, che dà l’impressione di capovolgersi per il forte rumore ma dura un attimo.
“Già da un paio di anni, in Ungheria, si avvertiva un senso di libertà, ricordo infatti che mi chiesero se volessi partecipare all’Associazione Giovani Comunisti (KISZ), impensabile fino a poco prima quando era obbligatorio”.
Il viso di Mónika si accende di continui sorrisi, le mani si muovono come per fermare chi passa in fretta, i capelli biondi si spostano sereni sulle spalle, la voce indugia prima di uscire.
“Dopo aver eletto il primo governo democratico, mia mamma non voleva gettare il libretto comunista perché il comunismo poteva tornare! Non era sicura che fosse davvero finita. Devo ammettere che in quegli anni terribili ho compreso il senso delle parole, si parlava per allusioni perché non era possibile parlare in maniera chiara e diretta, troppo pericoloso. Mio nonno ascoltava Radio Europa però sempre col timore che una bambina, cioè io, potesse raccontarlo”.
Il cielo si abbassa sulla terra, tra i palazzi, il buio porta altra pioggia, noi restiamo dove siamo.
“Comunque dopo la laurea volevo lavorare all’estero per poi tornare in Ungheria a insegnare italiano, un amico voleva che gli dessi una mano per una piccola casa editrice a Milano. Mi accorsi di poter influire molto perché il mio futuro marito, Alain Lapointe, che partecipava al progetto, aveva problemi a reperire autori. Io, eravamo a Budapest, gli dissi che se voleva potevamo pubblicare autori ungheresi, li conoscevo tutti. E così in pochi minuti fondammo le Edizioni Anfora. Era il 2003”.
Questo piccolo ma straordinario editore ha pubblicato autori importanti come la celebre Magda Szabó, il paradossale Lajos Grendel (scrittore di potente forza espressiva e inventiva, appartiene alla minoranza ungherese in Slovacchia), l’immenso Dezső Kosztolányi, l’intenso Imre Oravecz, il cupo Milán Füst; oggi, in Italia, Anfora ha un ruolo fondamentale per la scoperta di scrittori che fanno la storia dell’Europa moderna, tra gli altri anche cèchi, russi, polacchi. Fuori da ogni tendenza, l’editore di origine ungherese si pone in linea con il grande Novecento che non finisce mai.
“Dal 2016, quando sono diventata proprietaria della casa editrice regalatami da mio marito, siamo ripartiti e stiamo ottenendo buoni risultati. Non posso far morire magnifici libri, Davide, quando non sono nemmeno così conosciuti. Si parla molto di Márai ma lui è soprattutto un grande diarista, il romanzo ungherese ha radici in Kosztolányi e nella Szabó”.
Entro la fine dell’anno uscirà di nuovo uno dei libri più felici della grande scrittrice ungherese: La notte dell’uccisione del maiale. Romanzo ambientato negli anni Cinquanta: in una città di provincia ungherese, Debrecen, durante un cupo e gelido inverno, una famiglia si prepara all’annuale uccisione del maiale. È così che veniamo a conoscenza della storia del matrimonio di János e Paula, del loro passato e delle loro famiglie, lungo la narrazione sarà svelato un segreto che porterà alla morte ma nello stesso momento a una fondamentale rinascita. Intanto la pioggia si è persa nel buio, l’asfalto rammollisce per la luce dei neon, la sera alle spalle di Mónika Szilágyi regge la città.
“Gli italiani dovrebbero avvicinarsi di più alla letteratura ungherese, ritenuta pesante senza manco conoscerla e ci riuscirò”,
afferma con convinzione e mentre va via senza aspettare che spiova, notando però la mia perplessità, si ferma e mi dice in ungherese:
“Menni fog ez!”, Andrà bene.
Intervista e cura di Davide Morganti