di Paolo Risi
Nel leggere Idee per rimandare la fine del mondo (Aboca 2020) si ha spesso la sensazione di trovarsi di fronte a dei paradossi: l’interpretazione che Ailton Krenak offre del concetto di umanità, tanto per cominciare, è di segno contrario rispetto a quella plasmata e resa funzionale dall’occidente civilizzato, dal dogma propulsivo che presuppone un’idea grandiosa di verità, di glorificazione della tecnica. Ma forse quelli che ci appaiono come paradossi sono semplicemente le fonti dialettiche di una Terra abusata, proiezioni di esistenze abbagliate (ma non messe in ginocchio) dalle regole del mercato globale, che ancora sopravvivono – vergini e battagliere – ai margini del pianeta, nei luoghi dove tutto ha avuto e continua ad avere inizio.
Ailton Krenak è un’ambientalista indigeno e leader di un movimento che considera e analizza il distacco irreparabile fra l’umanità e l’organismo Terra. Ha partecipato – nel 1988 – all’assemblea nazionale che portò alla genesi della Costituzione brasiliana ed è uno dei fondatori dell’Unione delle nazioni indigene. Insieme a Chico Mendes ha dato vita all’Alleanza dei popoli della foresta, che riunisce e prova a tutelare le comunità fluviali dell’Amazzonia. La sua è una battaglia per l’autodeterminazione, ai margini della retorica degli stati nazionali e delle organizzazioni che formalmente stabiliscono i criteri di sopravvivenza delle comunità native.
Krenak si dipinse il volto di nero quando – più di trent’anni fa – pronunciò un discorso memorabile all’interno dell’Assemblea costituente brasiliana, una trasfigurazione dal profondo che rappresentava la sofferenza delle sue genti, gli abusi perpetrati dalle compagnie minerarie nei territori del Rio Doce, nello stato brasiliano del Minas Gerais. Da allora Krenak non ha più abbandonato la lotta, smesso di concepire visioni alternative agli stili di vita promossi e mediati dal progresso, dai semidei occulti della finanza globale.
La mia provocazione circa il posticipare la fine del mondo rappresenta la possibilità di riuscire a raccontare sempre una storia alternativa, scrive Ailton Krenak, e la sua vocazione scaturisce da un battito primario, dall’esperienza diretta che permette di comprendere l’inganno, le assenze (del senso di vivere in società, dello stesso senso dell’esperienza della vita) intorno a cui si modella il pensiero unificato. Il futuro è una caduta progressiva, e l’umanità sembra avvilirsi, contorcersi su se stessa per mancanza di prospettive, di antidoti efficaci. Ma una caduta – e qui, ancora una volta, Krenak ha la capacità di spiazzarci – può stimolare risorse sopite, attivare le nostre capacità critiche e creative per identificare degli obiettivi comuni. È un invito a superare i limiti, le diffidenze reciproche, a concepire lo spazio non come a un luogo limitato, autoreferenziale, ma come al cosmo da cui possiamo cadere giù, appesi a dei paracadute colorati. In questa discesa – gioiosa in mancanza di opzioni salvifiche – incontreremo “persone collettive” e non individui, seguiremo gli insegnamenti di chi ci ha preceduti e ha custodito la memoria profonda della Terra, quella che lo scrittore argentino Edoardo Galeano ha chiamato la memoria del fuoco.
In Brasile la comunità indigena consta di 250 popoli e indicativamente di 900.000 persone. È una società che si identifica in quanto Terra e che rifiuta l’attestazione di “risorsa” che le è stata affibbiata dagli economisti e dai dirigenti delle multinazionali. Le merci, i sistemi che generano capitale, spersonalizzano e forniscono un surrogato di senso all’umanità, quell’umanità – spiega Ailton Krenak – incapace di riconoscere che quel fiume in coma è anche il nostro antenato, che la montagna sfruttata in qualche parte dell’Africa o del Sud America e trasformata in merce in qualche altro luogo è anch’essa antenato, antenata, madre o fratello di qualche costellazione di esseri che vogliono continuare a condividere la vita in questa casa comune che chiamiamo Terra.
Idee per rimandare la fine del mondo permette di accedere a una dimensione realmente cosmica, dove il sogno, l’apertura verso strati di consapevolezza sopiti, marginalizzati, rende manifesto il distacco, la trappola entro cui l’uomo si dibatte in cerca di un’innocenza perduta. È la continua rincorsa di mezzi e di soluzioni in grado di attutire la caduta a distanziare gli esseri umani da una piena integrazione con il creato. Godere senza alcun obiettivo. Farsi allattare senza timore, senza alcuna colpa, e senza alcun obiettivo: Ailton Krenak, e chi con lui combatte per la sopravvivenza delle popolazioni indigene, delinea il profilo di un’epoca sradicata, orfana di una tensione verso il sacro e la memoria dell’origine.
Ailton Krenak, nato nel 1953, è un leader indi geno e un ambientalista di fama internazionale. Ha partecipato all’Assemblea nazionale costituente che elaborò la Costituzione brasiliana del 1988 ed è stato tra i fondatori dell’Unione delle nazioni indigene. Insieme a Chico Mendes, ha dato vita all’Alleanza dei popoli della foresta, che riunisce le comunità fluviali e indigene dell’Amazzonia. Nel 2016, l’Università federale di Juiz de Fora gli ha conferito la laurea honoris causa come riconoscimento per le sue lotte a favore dei diritti delle popolazioni indigene e per le cause ambientali del suo paese.