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Animalità e sguardi narrativi nelle opere di Gianna Manzini 

Eppure di bagliori ho bisogno, dato che di continuo mi si spezza il filo della storia.
Gianna Manzini, Ritratto in piedi

Gli occhi dell’animale hanno la ricchezza di un vasto linguaggio.
Martin Buber, Il Principio dialogico


di Ivana Margarese

Una modulazione in metamorfosi abita la scrittura di Gianna Manzini:

Io ero di volta in volta, il bambino cattivo, la vittima, il carnefice e magari il cavallo, il gatto e via dicendo. Col passare del tempo questo mio occulto trasmigrare ha preso quota. Mi sono fatta coraggio. Si può calarsi anche nelle creature più elementari, in una formica, per esempio, in un tarlo; perfino nel cuore delle cose”.

Con queste parole, in un’intervista concessa a Lia Fava Guzzetta, Manzini svela l’inquietudine del suo stile. Uno stile che sorpassa le parole, in cui è lo slancio per superarsi a contare.

Il concetto di soglia è infatti fondamentale per tutta la sua produzione, alla costante ricerca di un punto di contatto tra le diverse dimensioni sperimentate.

Il varco, la zona di limite, in cui coesistono gli opposti si rivela il luogo più congeniale allautrice.

Una creaturalità in metamorfosi, uno sconfinamento, dove ricorrente è, tra gli altri, il rapporto con gli animali: dalla silloge di racconti Incontro col falco del 1929 a Animali sacri e profani del 1953, all’Arca di Noè del 1960, fino allultimo romanzo Ritratto in piedi del 1971.

E Bestiario è il titolo del piccolo libro edito dall’editore pistoiese Via del vento, a cura di Maura Del Serra.

Sono storie, in cui gli animali – un cavallo, una trota, altri gatti – si rivelano veri e propri co-narratori che esplorano nuovi modi di prestare attenzione alla realtà che ci circonda.

I bestiari di Manzini furono apprezzati anche da Pier Paolo Pasolini, che in una recensione entusiasta a Animali sacri e profani scrisse : «Siamo […] di fronte a dei poemetti in prosa; o a una prosa veramente poetica non poetizzata. […] poesia degli oggetti in qualche modo caricati di sentimento […] emozione.»

Nella prefazione al suo bestiario Manzini affermava che “ogni animale è una forma e un significato splendidamente raggiunto […]. È nellintensità della loro espressione che ognuno di noi trova uno speciale silenzio, uno speciale spazio”
(Gianna Manzini, Prefazione,
Il mio bestiario, in Animali sacri e profani, Roma, Casini, 1953, p. VI).

Il primo dei tre racconti edito da Via del vento, intitolato Un cavallo, ha una prosa poetica fulminante:

Rasente al triste sacco floscio, appeso agli orecchi, volavano rondini, portandogli via qualcosa; e poiché garrivano vittoriose, e subito sfrecciavano dietro il proprio grido, il granello d’avena o il filo di ferro diventava prezioso.

Movendo in breve giro gli occhi, Giangio cercava in terra l’ombra di quel volo e di quella gioia. Fu proprio nell’allungare il collo, attento a quella fuga per un attimo specchiata, insieme a uno spicchio di cielo, in una pozza d’orina, che avvertì, di lato, nel dorso, una pressione interna vagamente affettuosa, come il sollecito d’un ricordo […] Sfilò di più il collo, articolò le zampe, trattenne il respiro, per precisare, in un dolore più chiaro, il peso che ora sembrava calare fra le costole; e col battere lo zoccolo intese rispondere a quella parvenza di ricordo, trattenerla, come talvolta per uggia, il pezzetto di carta che pigliava vento”.

La storia si dedica agli istanti che precedono la morte del cavallo, Giangio, sospeso tra un’euforia di ricordi felici la bellezza del trotto in un circo da giovane, accanto al morello Rho –  e il dolore fisico accompagnato dall’indifferenza cieca del vetturino che gli è toccato in sorte.

La dinamica si muove tra reale e onirico, tra la pozza d’orina e il cielo, contemplato come lo spazio, al di sopra della sua testa, dove non gli è mai riuscito di guardare.

Questo passaggio tra cielo e terra – così in cielo come in terra– permette un accostamento con quanto scritto da un’altra grande narratrice italiana del Novecento, Elsa Morante, ne Il mondo salvato dai ragazzini:

Forse
nei cieli non significa un al di là, e nemmeno
una regione altrui. Forse, la doppia
immagine così in cielo come in terra si può leggere capovolta
essendo una figura sola raddoppiata nel proprio specchio”.

Anche il tema del passaggio dalla vita alla morte è più volte evocato dalla scrittrice pistoiese nelle sue opere. Nel racconto dedicato ai gatti si legge:

Ma da che non c’è più, io non ricerco lappariscente pretesto dun inganno che portavo in cuore prima di lui, ricerco lui, e imparo molte cose: per esempio che non ci si deve mai burlare di ciò che si ama. Io spesso mi burlavo di lui. Lui di me, mai. È la lezione di un animale. Ne terrò conto”.

La lezione di animale di cui racconta Gianna Manzini è affine alla narrazione di Jacques Derrida in L’animale che dunque sono dove il filosofo interroga se stesso e i suoi lettori a partire dallo sguardo degli animali, dai loro sogni, dal nostro sorprenderci e rimetterci in questione: l’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui. E pensare comincia forse proprio qui.

Si esce dalla logica binaria di un rapporto verticale in cui lumano è posto sopra lanimale, per approdare a una dimensione reticolare di connessioni in cui non vi sono egemonie di sorta. Il tentativo è sempre quello di capire insieme allaltro, cambiare occhi per osservare una verità nascosta che può svelarsi se le si presta ascolto.

In Ritratto in piedi, dedicato alla memoria paterna, la scrittrice ricorre per descrivere se stessa all’immagine di un cavallo bloccato a metà dell’ arcata del ponte, quasi percepisse un misterioso ostacolo, invisibile a ogni altro:

Ebbene, in certi momenti, mentre mi provo a scrivere la vita del babbo, io sono quel cavallo, a metà dellarcata del ponte. Mi impenno. Non vado avanti. Addirittura torno indietro. Sconvolta? Tanto; ma non abbastanza. Infatti mi butto su un diverso lavoro; posso perfino attirare su di me un malanno o una malattia; prometto; riprometto; ma con un senso di colpa, di struggimento, di pace perduta. Vorrei capire qual è lostacolo che mi sbarre il passo: a qualsiasi costo capire”.

Quel cavallo ha “finezze di udito”, è un esperto del silenzio, un congegno di “poteri ultraumani”. “ Eppure” – scrive Manzini – “io ho a che fare con quel cavallo”.

Bibliografia

J. Derrida, Lanimale che dunque sono, Jaca Book, Milano 2006.
G. Manzini, Bestiario. Tre racconti, Via del Vento, 2002.
G. Manzini, Animali sacri e profani, 1953.
G. Manzini, Ritratto in piedi, 1971.
G. Manzini, Sulla soglia, 1973.
E. Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, 1968.
P.P. Pasolini,“Un bestiario celeste nella gabbia d’oro di Gianna Manzini”, in « Giovedì », II.

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