“TACUINUM SANITATIS” (Introduzione alla Rubrica)
a cura di Federica D’Amato
I Tacuina sanitatis erano, nel Medioevo, dei manuali riguardanti la scienza medica legata alle proprietà di cibi ed erbe. L’intento era quello di compendiare, in brevi testi dal respiro divulgativo e precettivo, la funzione terapeutica di quanto la natura offriva, non solo in termini alimentari ed erboristici, ma anche – come diremmo oggi – “olistici”: cielo e terra erano legati dai doni di Dio, ed era in questi che bisognava risalire alla salute di corpo e anima, essi tra loro intimamente connessi dalla certezza della vita eterna. Qui, con le dovute differenze, si tenterà, all’insegna di brevità ed essenzialità, lo stesso scopo: risalire, attraverso la corrente carsica e divagante della poesia, la foce dell’umano, fino a giungere a quel guado del tempo dove la salute di quel che siamo veramente, e da sempre, ci attende.
6. Canto alla durata, di Peter Handke
Esiste una sensazione che coglie l’essere umano. Somiglia alla grazia, ma forse è più corretto dire che di questa è imitazione, una sua forma concepibile e avvertibile dalla limitatezza umana. Imprevista, imprevedibile, libera, cangiante, a tratti dormiente, salvifica, potente, ma umile, quieta e carezzevole: è la durata. Anche indefinibile, se non paragonabile a quelle montaliane deità in fustagno e tascapane dileguanti dal tentativo umano di smascherarle.
Si tratta di un momento di calma definitiva in cui il tuo corpo dimentica se stesso e tutta la tua storia, entrando in un lago di tempo che dà ragione alla tua esistenza, senza il bisogno di evocazioni, domande, risposte o conferme. Tanto è umana questa grazia della durata che, come ha scritto Peter Handke nel suo Canto della durata, “induce alla poesia”; degna di essere provata da ognuno di noi, almeno una volta nella vita, proprio perché è la sensazione senza la quale la vita stessa non avrebbe la percezione di essere esperita, tanto che
se esistesse un Dio
sarei stato la sua creatura
finché provavo quella sensazione della durata.
Tanto è prossima alla sicurezza di una origine, la durata, che induce anche colui che non crede a sospettare di essere una creatura ovvero quella parte del creato senza la quale, seppur nella sua piccolezza, il creato stesso non avrebbe modo di esistere, e il creatore se ne andrebbe a spasso, piangente e solitario.
Tanto è prossima, la durata, alla sensazione di vivere, che provarla continuamente ci impedirebbe la vita stessa, perché essa è
il momento in cui ci si mette in ascolto,
il momento in cui ci si raccoglie in se stessi,
in cui ci si sente avvolgere,
il momento in cui ci si sente raggiungere
da cosa? Da un sole in più,
da un vento fresco,
da un delicato accordo senza suono
in cui tutte le dissonnanze si compongono e si fondono
assieme.
I tempi che viviamo impongono che vi sia un modo, una tecnica, una via precisa per essere investiti, visitati, graziati dalla durata, ma chi vive addormentato e salvo tra le sfasature e le rotture, sa come sia impossibile guadagnarsi con il fare qualcosa che è il contrario del fare, che non rientra nemmeno nella gratuità del pregare, ma solo con un proprio stare e sostare. Non vi è un modo, no, ma c’è una possibilità
quando riesco
a restare fedele a ciò che riguarda me stesso,
quando riesco a essere cauto,
attento, lento,
sempre del tutto presente a me stesso sino nelle punte
delle dita.
Una possibilità che è una via di fedeltà ogni giorno da scegliere e accarezzare, come si fa con i capelli ambrati dei bambini, con il muso umido dei cani, o quando davanti a un quadro che ci lascia senza fiato vorremmo toccarne i colori, ripeterne con le dita le forme.
E qual è la cosa
a cui devo restare fedele?
Essa ti apparirà nell’affetto
per i vivi
– per uno di loro –
e nella consapevolezza di un legame
(anche soltanto illusorio).
… dovrà essere per me la cosa più importante.
Dovrà essere il mio vero amore.
E io,
affinché da me nascano i momenti della durata
e diano un’espressione al mio volto rigido
e mettano nel mio petto vuoto un cuore,
devo assolutamente esercitare
un anno dopo l’altro
il mio amore.
Nota Biografica:
Peter Handke, austriaco, è scrittore, drammaturgo e saggista. Celebre per le collaborazioni, negli anni Settanta e Ottanta con il regista Wim Wenders, tra le quali si ricorda Il cielo sopra Berlino, ha pubblicato romanzi diventati in Italia di culto, come Infelicità senza desideri (1972) e La donna mancina (1976). Ultimi lavori i saggi Saggio sul luogo tranquillo (2012) e Saggio sul cercatore di funghi (2015). Canto della durata è stato pubblicato per la prima volta in italiano nel 1988 da una piccola casa editrice friulana (Braitan), dietro desiderio diretto dello stesso Handke; il libro ebbe un forte successo tra i lettori “di nicchia” e, uscito presto fuori catalogo, nel 1995 fu ripubblicato dalle edizioni Einaudi.