Certi ricordi non tornano – Dario Pontuale – ESTRATTO
(carta canta editore 2018)
illustrazione di Elena Miele
La Fortezza è una fabbrica di liquori ormai in disuso, compressa fra il Barrio e il Fiume. Tra i palazzi del quartiere periferico svetta il civico 49, ultimo baluardo di resistenza nei confronti della Panopticon, la società proprietaria dell’impianto che vorrebbe trasformare in un moderno centro commerciale. È qui che Michele, sedici anni, viene sorpreso a scrivere una grossa O con una A all’interno su un muro dell’edificio da Alfiero, un condomino con gli occhiali alla Pertini.
“L’inizio è insolitamente conradiano – un uomo cade in mare mentre un’onda si abbatte su una scialuppa. Ma subito una parola incrina, o semplicemente dissona, nell’immagine quasi sovratemporale da romanzo d’avventura di mare. È una parola ipercontemporenea: “resilienza”. Utile a leggere l’intero romanzo come una meditazione narrativa sul tema, o meglio ancora: un racconto lungo in cui lampeggia quel lemma come la chiave di un enigma.”(dalla prefazione di Paolo Di Paolo).
per gentile concessione della casa editrice e autore qui di seguito il primo capitolo
Adesso: in questo preciso istante
Un’onda si abbatte su una scialuppa, un uomo cade in mare, risale a bordo, si salva. Sembrerebbe l’inizio di un romanzo avventuroso, invece è il modo escogitato per spiegarmi il significato della parola: Resilienza. Sebbene sia trascorso molto tempo da quella spiegazione, non ho dimenticato la capacità di paragonare l’assorbimento di un corpo alla tempra umana, soprattutto mai ho scordato l’uomo che me lo spiegò.
Una strana meraviglia, inoltre, ci accomunò: l’ammirazione per le formiche e per la loro perfetta organizzazione sociale. Minuscole creature, puntini a sei zampe che perfino ora scalano la parete eclissandosi nelle crepe del soffitto, perfino adesso che tento di tramutare della carta in petali. Procedono operose, ostili agli sguardi indiscreti, lavorando senza soste. Come loro detesto essere osservato, mai avrei voluto destare tanto clamore, ma è stata una speranza sciupata quanto il tentativo di costruire un fiore di loto con riviste usate. Comunque sto seduto e piego. Seguo l’esatto ordine dei gesti, altrimenti nulla prende la forma voluta, almeno credo. Ho sbagliato e ricominciato spesso, sempre. Non ho premura, meglio non averne, meglio far sedimentare la confusione che ho dentro.
In ogni caso sto seduto e piego. Le formiche marciano. Ricostruisco i giorni, le ore, i secondi di un passato prossimo. Sono i secondi, soprattutto, a interessarmi. Ne basterebbero pochi, uno solamente, a dir il vero.
Ciononstante sto seduto e piego. Sopra la testa un calendario scandisce date che d’improvviso trovano dimensione, dentro riquadri rossi e neri ritrovo momenti precisi. «Michele ricordati» mi ripeteva spesso quell’uomo saggio «ognuno ha le proprie date rosse, i calendari sono inutili». Aveva ragione. Oggi è un giorno da segnare. Mi concentro nell’ordine dei gesti. Intanto sto seduto e piego.