Prontuario di ecosofia. Bibliografie metastabili
Gianluca De Fazio, Paulo F. Lévano, Irene Sorrentino
Ventura Edizioni
Questo libello mira, da un lato, ad esporre in maniera succinta e pronta all’uso la complessità di un lavoro di ricerca transdisciplinare attualmente in corso, che ha il fine di istituire i protocolli di base di una particolare metodologia filosofica che risponde al nome di Ecosofia; d’altro lato, ha lo scopo di istituire una variegata e molteplice banca dati bibliografica che, nel corso degli anni, in maniera spesso imprevista e imprevedibile, rizomatica, si è generata progressivamente. Ma occorre andare con ordine. Il progetto è curato da ubi minor – Laboratorio di ricerca e didattica in Ecosofia, in collaborazione con la cattedra di «Filosofia della Storia» dell’Università di Bologna presieduta dal prof. Manlio Iofrida, insieme a due centri di ricerca della stessa università, Officine Filosofiche presieduto dallo stesso prof. Iofrida e il Centro Universitario Bolognese di Etnosemiotica (cube), presieduto dal prof. Francesco Marsciani, e con Deckard, una piattaforma cross-mediale fondata dal prof. Marco Ciardi, storico della scienza e della tecnica presso l’Università di Bologna. Questo laboratorio mira a istituire una metodologia orizzontale che produca delle analisi ecologicamente orientate relative ai principali risvolti culturali, sociali e scientifici del pensiero contemporaneo.
Gianluca De Fazio e Paulo F. Lévano hanno fondato ubi minor – Laboratorio di didattica e ricerca in Ecosofia. Attualmente il gruppo organizza il seminario curriculare presso il dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna, coordinato dalla cattedra di Filosofia della Storia. Il gruppo collabora con i centri di ricerca dell’Università di Bologna Officine Filosofiche e C.U.B.E. e con la piattaforma cross-mediale di storia della scienza Deckard. Irene Sorrentino è studentessa in Scienze Filosofiche presso l’Università di Bologna e membro del gruppo di ricerca, attivo nella stessa università, Dalla Ridda: Percorsi in superficie.
Per concessione degli autori vi proponiamo un estratto che riassume e spiega il concetto:
Che cos’è l’ecosofia?
Partendo dall’assunto per il quale l’ecologia è la scienza delle interazioni tra gli individui viventi, tra di loro e con l’ambiente che li circonda, la nostra ecosofia esprime il tentativo di sviluppare una metodologia filosofica finalizzata a studiare e analizzare le relazioni “parte-tutto” che si configurano tra individualità psichiche e collettive, tra enunciati della gnoseologia ed enunciati dell’epistemologia, tra denotazioni naturalistiche dell’ambiente e connotazioni valoriali del paesaggio. Questa metodologia, che sarà declinata nei termini di una pragmatica del molteplice, si articola su tre piani che ne determinano l’assiomatica di partenza: ecologia psico-sociale, ecologia epistemica ed ecologia ambientale. Per operare il passaggio da un piano a un altro è (quasi) necessaria una invariante simmetrica che è data dai protocolli etno-ecologici.
L’ecologia filosofica ha una storia relativamente recente, forgiata negli spazi transdisciplinari che hanno avuto maggior rilevanza durante il secolo scorso: si pensi ad esempio alla fenomenologia e alla teoria critica francofortese in ambito continentale, alla risemantizzazione della nozione di mind in area anglofona, l’avvento delle epistemologie decoloniali, etc. All’interno di questo complesso dibattito, tutt’ora in corso, l’ecosofia si distingue, rispetto ad una molteplicità di possibili itinerari nel pensiero ecologico contemporaneo, per il fatto di proporsi come un’analitica istituzionale e relazionale. Essa risulta sensata sulla base di un problema che ci rifiutiamo di chiamare “emergenza”, poiché viene da lontano. La relazione ecologica ricoprì una posizione di rilievo nelle riflessioni spiritualistiche di reazione al positivismo a cavallo tra il XIX e il XX secolo: le nozioni di biosfera ed ecosistema, ad esempio, sviluppate e promosse dalle opere di P. Teilhard de Chardin, V. Vernadsky e A. Tansley, fungono da spartiacque tra una fase embrionale dell’ecologia filosofica e la successiva apertura del campo teorico nel quale tenta di installarsi l’ecosofia della nostra proposta.
Tuttavia, nella sua forma primordiale, la nozione di biosfera, strutturalmente legata alla complementare nozione di noosfera – dalla quale dipende la nozione di ecosistema –, non era concepita ancora in termini relazionali e non risultava adeguata ad una analisi sensata delle istituzioni. Eppure, già nella distinzione tra una noo- e una bio- sfera, è presupposto un principio di individuazione, asimmetrico e dualistico, che istituisce una partizione tra la sfera dell’umano, da una parte, e di ciò che pertiene al non-umano, dall’altra.
Tale principio si è ulteriormente consolidato negli anni della galvanizzazione di due tipi di punto di vista propri delle comunità scientifiche: da un lato, la possibilità di individuare il non-umano tramite le scienze naturali e, dall’altro, quella di individuare l’umano tramite le scienze sociali e culturali; nel primo caso, lo scienziato diviene il prototipo di essere umano (inteso come soggetto epistemico), espressione di una natura umana immutevole che nella ricerca della Verità trova la logica della propria Storia; nel secondo caso, invece, lo scienziato è una figura dello sviluppo umano, espressione di una Teleologia della ricerca che fonda la propria Logica nel condizionamento puramente storico della nozione di Verità. Nel secondo dopoguerra, a partire dal racconto delle “due culture” e dall’avvento dello strutturalismo, si è sempre più materializzata la distinzione tra “laboratorio” e “campo”, distinzione intesa come polarità complementare all’asimmetria tra umano e non-umano.
In un simile contesto, il pensiero ecologico si è sviluppato sempre di più nelle vesti di un pensiero olistico e volto alla riconciliazione con una natura edenica: una siffatta modalità di pensiero è del tutto incapace di riconoscere le istanze di conflitto che scaturiscono all’interno di una crisi ecologica. Nella cornice teorica di questo olismo, la tecnica viene discussa in termini essenzialisti, cioè viene concepita come il momento negativo (ovvero, non-umano) in cui la Natura, accanto a tutta la sua feconda potenza per ibridazione tecnologica, espone simultaneamente la sua fragilità come suolo precario; per tali declinazioni è stata decisiva la svolta tecnologica, rappresentata, in diversa misura, ora con l’avvento del nucleare, ora con la biologia molecolare, oppure con il proliferare delle reti televisive, con lo sviluppo della scienza delle costruzioni, etc.
Aver conferito una certa essenza alla tecnica ha permesso comunque di introdurre nell’ecologia filosofica il tema della diacronia e della necessità di fondare nuovi paradigmi per rappresentare il rapporto moderno tra Uomo storico e Natura, tradizionalmente considerata come elemento impolitico e astorico. Con la diffusione dell’ambientalismo e le conseguenti battaglie di ricercatori di tutti gli ambiti per la conservazione della biodiversità, si sono verificate le condizioni teoretiche necessarie per trasformare la dicotomia noosfera/biosfera in uno schema di azione politica programmatica orientato alla problematica delle impronte ecologiche e delle economie duali, dimostrazione dell’asimmetria fra progresso tecnico e conservazione dell’ambiente.
Per esempio, negli scritti di autori dai posizionamenti teorici molto diversi, come Murray Bookchin, Wendell Berry o Rachel Carson, è possibile tuttavia individuare una linea teorica comune in quella che possiamo chiamare una prospettiva futurologica, che vede una possibile sintesi, in un tempo a venire, tra l’eco-centrismo e il tecno-centrismo. Tale prospettiva corrisponde, a grandi linee, all’inserimento dell’azione politica nella questione ecologica attraverso una serie di programmi regolativi che dovrebbero, infine, condurre ad un equilibrio definitivo tra ecologia e tecnologia. Questa sintesi, riscontrabile appunto in posizionamenti teorici molto differenti, è basata sul postulato dell’esistenza di un equilibrio naturale originario tra natura e tecnica che nel progresso tecnologico sarebbe andato perduto. Ora, a partire da questa idea di equilibrio perduto, si fondano le due vie percorribili: da una parte un’ecologia profonda, dall’altra un’ecologia di superficie.
Dagli anni Settanta, l’avvento della decolonizzazione e i movimenti sociali nelle economie industrializzate contribuiranno a introdurre nella problematica ambientale una molteplicità di elementi che rimandano specificamente al tema del conflitto. La questione ambientale prenderà pieghe innovative, ibridandosi e interagendo con gli sviluppi della riflessione marxista, i posizionamenti femministi e le molteplici strategie teoriche della “teologia della liberazione”, aggiungendosi al coro post-strutturalista che decretava la fine delle architettoniche concettuali univoche e la necessità di ripensare l’equivocità del rapporto fra pensiero e azione, rapporto che, in quella che possiamo definire filiazione essenzialista, è rimasto in ombra come un continuo rilancio nel futuro del momento ecologico.
Proprio tenendo conto che si tratta di una distinzione prettamente essenzialista, sia le posizioni tecno-centriche che quelle eco-centriche non possono che dare avvio a regimi di senso che talora sono “assolutisti”, talaltra invece “referenziali”. Sulla linea del tecno-centrismo, ad esempio, si collocano quelle prospettive che ritengono fondamentale l’inclusione, nel resoconto storico della natura umana, della questione della tecnica, declinata nei termini di una evoluzione ideale e teleologicamente orientata del saper-fare, intesa come declinazione privilegiata dello sviluppo tecnologico. In siffatta prospettiva, la questione ecologica deve risolversi nei termini del determinismo tecnologico, sia che si tratti di una ottimistica speranza nello sviluppo di una rete tecnologica salvifica, sia che prospetti l’orrore di un disastro apocalittico dovuto agli sviluppi ecumenici della tecnica. In ogni caso, le dinamiche della crisi ecologica trovano il suo senso esclusivamente all’interno dei sistemi tecnologici, ai quali è demandata tanto la missione salvifica quanto la responsabilità apocalittica. Questa linea corrisponde a quella che è definibile ecologia della superficie. Un tale modo di approcciare la questione è palesemente una concezione “antropocentrica”, in quanto sostiene la fattibilità di rispondere alla questione ambientale con un preventivo intervento sulla tecnologia.
In senso opposto a questa concezione, prolifera invece la linea dell’ecologia profonda che propone, se non altro come intento programmatico, una transizione al non-antropocentrico: questa linea rifiuta in pieno il determinismo tecnologico, convinta di poter rifare da sé un nuovo resoconto della natura umana all’interno del genere homo. Così facendo, tuttavia, rinuncia ad un criterio di continuità e procede per eccezioni verso la sostituzione di una tecnica tecnologica con una tecnica naturalistica, artificiale nella minore misura possibile. Mediante un tale posizionamento, l’ecologia profonda propone, concependo, da un lato, la dimensione impolitica della natura come assioma e, dall’altro, delegando l’azione politica all’expertise scientifica, di agire ingenuamente e sempre in nome di cause di forza maggiore, come la minaccia di un disastro imminente. Insomma, l’ecologia profonda tende a trasformare l’etnografia della crisi ecologica in agiografia o martirologio.
Tanto l’ecologia della superficie quanto l’ecologia profonda trovano attualmente, senza dubbio, una grande fortuna editoriale, e hanno avuto il merito di riadattarsi, negli ultimi quarant’anni, agli sviluppi tecnologici globali e di trovare nuovi veicoli di espressione, come ad esempio nelle teorie della decrescita e negli accelerazionismi di stampo ooo (Object Oriented Ontology). Senza sottovalutare l’importanza strategica di alcune considerazioni di queste linee di lettura, sotto il profilo ecosofico occorre tuttavia rilevare che molto spesso questi approcci hanno contribuito all’invisibilizzazione delle istanze minoritarie portatrici di alti gradi di conflittualità a sfondo ecologico.
La proposta ecosofica, perciò, richiede di fare un passo indietro rispetto a queste riflessioni, per cogliere nel modo più adeguato possibile il momento in cui, nelle sue progressive diramazioni, l’ecologia filosofica si è trovata davanti alle peculiarità della relazione e dell’istituzione come istanze territoriali. Come in ogni campo di battaglia, dove il terreno diventa sfondo passivo dell’esito del combattimento, i territori e i rispettivi ambienti diventano luoghi in cui non è facile istituire delle distinzioni nette e in questo senso un pensiero ecologico che vuole porre due schieramenti – “eco” vs. “tecno”, “profondo” vs. “superficialità”, “specismo” vs. “anti-specismo”, “antropico” vs. “non antropico”, contrapposizioni queste tutte riconducibili alla grande partizione “presente” vs. “futuro” – rischia di perdere di vista le variegate implicazioni che fuoriescono da tali dualismi. Contro questa proliferazione di opposizioni, sembra molto difficile proporre una riconciliazione di fronti che sono già disposti chiralmente. Sembrerebbe piuttosto necessario ri-territorializzare questi antagonismi, e con essi alcuni aspetti importanti del pensiero ecologico contemporaneo. Con questo spirito, potrebbe essere opportuno rifarsi ai programmi originali che hanno ispirato questa ecosofia, ovvero le ecosofie di Arne Næss e Félix Guattari.
Naess ha senza dubbio il merito di distinguere in maniera netta l’antropocentrismo da un’ecologia profonda, ma occorre comunque ricordare che tanto l’idea proposta da Naess di anthropos quanto la sua idea di Natura non sono tuttavia due contenitori distaccati dai propri contenuti. La molteplicità della soggettività umana rispecchia le molteplici possibilità aperte alla realizzazione del Sé, mentre la molteplicità oggettiva della Natura è analoga alla varianza del suo valore intrinseco: tanto il Sé non-naturale quanto il valore in sé del naturale non avranno senso al di fuori di una dimensione del vissuto, in cui sono inscindibili vita e ostinazione per restare in vita.
La vita, nell’ipotesi di Naess, non è riducibile a ciò che la fa funzionare, né alle condizioni che la rendono possibile. Il vissuto si infunziona (termine ecosofico che indica l’azione della mappatura) e presenta una dimensione gestaltica che ogni volta deve realizzarsi. Solo mediante questa realizzazione si può decidere sul valore intrinseco della Natura: egenskap è il termine che Naess usa per parlare di questa inerenze singolare di realizzazione e valore. In questa reciprocità consiste il rifiuto di Naess del tecno-centrismo. Non si tratta di una svolta primitivista né della rivendicazione di una originalità autoctona, ma è un’operazione teorica finalizzata alla costituzione di quella che potremmo definire piattaforma monadologica dell’ecologia profonda. Siamo in un contesto radicalmente diverso dall’immagine paternalistica del simposio interdisciplinario.
In virtù di questa inerenza monadologica della vita e dell’ambiente, ciò che Naess chiama ecosofia è una pragmatica atta a preparare ogni punto di vista individuale al proprio divenire-minoritario. Così delineata, l’ecosofia mostra subito la sua caratteristica principale: essa non può che presentarsi come pragmatica transindividuale, che non è definita per tratti in comune ad altre ecosofie possibili, ma per comunanza di processi in cui pragmatiche ecosofiche vengono prodotte. Nel caratterizzare l’ecosofia, Naess è attento a non darle le apparenze di una specifica e monolitica disciplina che si arroga il diritto esclusivo di pronunciarsi in materia ambientale, conservando per l’accezione di ambientalismo la dicitura “ecofilosofia”, la quale in questa sede potremmo equiparare alla “filosofia critica”, alla “filosofia del diritto”, alla “filosofia della natura”, ma anche all’“ecofemminismo” e all’“ecomarxismo”, ossia a pragmatiche teoriche consolidate alle quali viene semplicemente aggiunto l’epiteto green; per converso, rispetto all’ecofilosofia, ogni ecosofia ha la peculiarità della singolarità del vissuto, allo stesso modo in cui si dice che due autori agli antipodi abbiano comunque qualcosa in comune, come una e un’altra filosofia.
Nel suo essere orientata a una definizione di uso comune dell’ecologia profonda – occorre ricordare le necessità dell’attivismo ecologico –, l’ecosofia di Naess è un importante tentativo di costruire una semantica di quasi-necessità delle assiomatiche singolari che si integrano nell’ecosfera.
L’ecosofia come articolazione etico-politica singolare di ogni punto di vista su una questione globale è l’aspetto che interessa invece Guattari. Nel porre come obiettivo polemico della propria riflessione il capitalismo mondiale integrato [capitalisme mondial intégré], è opportuno segnalare che Guattari non è sollecitato dalle questioni prettamente semantiche ma da quelle semiotiche, nella misura in cui la sua ecosofia si caratterizza come produzione di esistenze umane in contesti storici sempre diversi, come ri-costruzione delle prassi sociali sotto domini disposizionali diversi.
È di ispirazione guattariana anche la nostra maniera di articolare l’ecosofia su diversi piani per seguire le traiettorie delle linee di soggettivazione. Nel suo caso, Guattari trova opportuno distinguere un’ecologia mentale, un’ecologia sociale e un’ecologia ambientale. Apre così tre piani di sperimentazione per ripensare le relazioni tra soggetto e corpo, tra soggetto e arcani del quotidiano, per quanto riguarda l’ecologia mentale; le relazioni nei contesti urbani, di coppia, di famiglia e di lavoro per quanto riguarda l’ecologia sociale; le relazioni tra natura e vita vivente, tra caos e cosmos, tra prassi e meccanosfera per quanto riguarda infine l’ecologia ambientale (detta anche ecologica macchinica).
In questo modo, la crisi ecologica non viene decostruita, ma ricomposta al di fuori di qualsiasi schema teleologico: essa ora è presente in ogni tentativo di standardizzazione del mentale, in ogni ingegneria del benessere, in ogni delega di un saper-fare locale a un expertise globale. L’intera proposta guattariana ha come asse tematico la possibilità di sperimentare nuove forme di territorialità, declinando l’abitabilità non come la mera soddisfazione, ma come produzione di bisogni mediante la indessicalità e la significazione, ovvero mediante processi di domesticazione. L’ecosofia non può dettare regole di comportamento, ma può invece mettere in funzione le contraddizioni che avvengono tra i singoli livelli articolati, renderle produttive anziché castranti.
Dal confronto tra Naess e Guattari, pur con le molte differenze e contraddizioni che si possono riscontrare, emerge la cifra anti-dualistica della nostra ecosofia: il primo postula un valore intrinseco del non-umano mentre il secondo propone gli scenari in cui questo valore deve venire effettivamente prodotto, ovvero le battaglie quotidiane (e perciò, umane) che vengono però da lontano e che soltanto una storia militare condotta con criterio etnologico potrebbe restituire nelle sue molteplici complessità.
La sfida posta da entrambi e che, nella misura che le è propria, la nostra proposta ecosofica vuol rilanciare, riguarda molto da vicino il problema del rapporto tra pensiero e azione, motivo ricorrente dell’intero pensiero ecologico contemporaneo: in che modo la riflessione filosofica può orientare la discussione sulla questione ambientale? Naturalmente, la risposta ad una simile domanda non appartiene ai contenuti di questo Prontuario di Ecosofia, e nemmeno può diluirsi nella generalità. Quel che qui ci preme fare è contribuire, per quanto possibile, ad aprire il dibattito con quella che riteniamo essere la domanda centrale di questa ecosofia relazionale e istituzionale: come si può pensare un valore non naturalistico in ecologia?1
1 PERCORSO BIBLIOGRAFICO: p. amoroso, Pensiero terrestre e spazio di gioco. L’orizzonte ecologico dell’esperienza a partire da Merleau-Ponty, Milano-Udine: Mimesis 2019; m. bookchin, L’ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, Milano: elèuthera 2012; r. carson, Primavera silenziosa, Milano: Feltrinelli 2016; m. ciardi, Terra. Storia di un’idea, Roma-Bari: Laterza 2017; s. consigliere, Antropo-logiche, Milano: Colibrì 2014; g. de fazio, p.f. lévano (cur.), Ecosofia. Percorsi contemporanei nel pensiero ecologico, Modena: Mucchi 2017; g. deleuze, f. guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia 2, Napoli-Salerno: Orthotes 2017; u. fadini, Il senso inatteso. Teoria e pratiche degli affetti, Verona: ombre corte 2018; g. foladori, n. pierri (comp.), ¿Sustentabilidad? Desacuerdos sobre el desarrollo sustentable, México, df: Miguel Ángel Porrúa/uaz, Cámara de Diputados, lix Legislatura, México 2005; d. gregory et al. (eds.), The dictionary of Human Geography, Malden: Blackwell 2000; f. guattari, Le tre ecologie, Milano: Sonda 2019; m. iofrida, Per un paradigma del corpo. Per una fondazione filosofica dell’ecologia, Macerata: Quodlibet 2019; h. jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino: Einaudi 2009; s.e. jorgensen (ed.), Handbook of Ecological Models used in Ecosystem and Environmental Management, Boca Ratón: crc 2011; b. latour, Non siamo mai stati moderni. Saggio di antropologia simmetrica, Milano: elèuthera 2015; f. marsciani, Tracciati di etnosemiotica, Milano: FrancoAngeli 2007; a. naess, Ecosofia, Como: Red 1994; t. o’riordan, Environmentalism, Londra: Pion 1981²; v. plumwood, Feminism and the Mastery of Nature, Londra-ny: Routledge 1993; m. serres, Il contratto naturale, Milano: Feltrinelli 2019; C.S. Snow, Le due culture, Venezia: Marsilio 2005; t. villani, Ecologia politica. Nuove cartografie dei territori e potenza di vita, Roma: manifestolibri 2013.