Quando si scrive di sentimenti il rischio di creare un effetto-harmony è sempre dietro l’angolo. Ci sono scrittori che provano orrore per parole come «cuore» o «anima» e così, reagendo come i soggetti fobici, attuano processi di evitamento.
L’alternativa che vi propongo è di “farlo minimalista”.
Non calcate la mano su quegli elementi che si prestano come per automatismo alla rappresentazione delle emozioni. Non lasciatevi andare alla deriva sentimentalista cui certe scene desiderano soccombere trascinandovi in un pozzo di melassa. Spostate l’attenzione su ciò che in apparenza non sembra prestarsi al momento narrativo, tipo un elemento quotidiano marginale o un gesto singolare o qualcos’altro di inadatto. Da ciò può derivarne, per contrasto e originalità, un effetto maggiore, e si evita che il pathos lasci il posto a robaccia patetica.
Si tratta di attingere alla potenza celata delle cose minime proprio come faceva Carver il furbo.
Imparate a considerare la scrittura anche come una questione di strategie da applicare, di problemi da risolvere, di tecnica. Guai a credere al flusso di pensieri e parole che si fanno magicamente libro.
Un buon editor, buono solo se ha pieno possesso dei cosiddetti ferri del mestiere, è come Mr. Wolf di Pulp fiction: risolve problemi.