Come sono diventata un albero| una canzone d’amore
Sumana Roy
Aboca 2022
Per concessione della casa editrice vi proponiamo la lettura di un ESTRATTO
La letteratura degli alberi
Gli alberi non hanno volto. Forse e per questo che mi sono avvicinata a loro, per sfuggire all’analisi minuziosa dei lineamenti. A forza di osservare foto, disegni e dipinti del mondo vegetale, sono giunta a una conclusione: si fotografano più fiori che volti. Ma gli alberi? Deve sempre essercene almeno uno sullo sfondo, così sostengono gli adulti. Incitati da genitori e maestri, da piccoli, disegniamo tantissimi alberi ma nel corso della nostra intera esistenza non arriveremo mai a disegnare altrettanti volti.
Manuel Lima, inserito tra i “cinquanta creativi più influenti del 2009” da un sondaggio della rivista “Creativity”, nel suo straordinario The Book of Trees: Visualizing Branches of Knowledge esplora oltre otto secoli di diagrammi ad albero. Lima scrive che l’albero e “tra i più popolari e affascinanti archetipi visivi” (23), e all’interno dell’elenco, tanto divertente quanto esaustivo, ne include vari tipi: alberi figurativi, verticali, orizzontali, multidirezionali, radiali, iperbolici, diagrammi rettangolari e circolari, diagrammi di Voronoi, grafici a rosa dei venti, diagrammi ad aghi. Nella prefazione al volume di Lima, Ben Shneiderman racconta come si è trovato a usare i diagrammi ad albero lavorando sulla struttura dei computer: “Stavo sviluppando un diagramma che mi permettesse di visualizzare la gerarchia delle cartelle di un pc, e in cima ai miei pensieri c’era la struttura ramificata e ricorsiva degli alberi, perfetta per riprodurre graficamente l’organizzazione del sapere. Ma mi ero spinto oltre, trasformando il classico albero tridimensionale in un diagramma planare. Intendevo rappresentare il fogliame di ogni ramo come un’area le cui dimensioni relative mostrassero l’ampiezza del fogliame stesso.
Volevo inoltre che tutte le aree fossero contenute all’interno del rettangolo e non debordassero. I paletti che mi ero imposto, insieme alla profondità variabile dei diagrammi ad albero, mi hanno fatto dannare per mesi finché, mentre mi trovavo nella sala ricreativa del dipartimento di Scienze informatiche dell’Università del Maryland, mi è arrivata l’illuminazione”(24).
Solo allora mi ero resa conto che il mio computer, il cellulare e il tablet sono strutturati proprio come gli alberi: “rami della conoscenza” e un’espressione molto significativa. I file sono le foglie, le cartelle i rami, e insieme trasformano il mio computer in un albero. Forse dovrei sentirmi meno in colpa all’idea di passare tanto tempo davanti allo schermo: in fondo, e un po’ come arrampicarsi su un albero. Mentre sfogliavo le pagine del libro di Lima, mi sono resa conto che la civiltà occidentale ha immaginato ogni genere di struttura – sociale, biologica, religiosa, politica, scientifica, tecnologica – in termini di diagramma ad albero, ma allo stesso tempo ha negato all’albero l’imprevedibilità, o più precisamente la geometria dell’imprevedibilità, dando per scontato che i rami crescano a intervalli predefiniti, alternativamente a destra e a sinistra, e sempre in modo lineare, senza mai curvare o rifiutarsi di spuntare. Il diagramma ad albero presuppone un’uniformità lineare – e al contempo venera la struttura. La cosa mi ha suscitato molte perplessità: non era quello il tipo di albero che volevo diventare. Deleuze e Guattari, tra i pochissimi a scrivere di filosofia usando la forma dialogica tipica delle tragedie greche, avevano criticato il modello ad albero e le innumerevoli assurdità della cultura occidentale nel celebre Mille piani. Capitalismo e schizofrenia. Ben prima di leggere Deleuze e Guattari, quando ero poco più che ventenne, avevo capito che i diagrammi ad albero mi creavano disagio. Me n’ero resa conto al liceo, durante una lezione sulla letteratura bengalese.
Sulle ali di un entusiasmo a tratti esagerato, la nostra professoressa, una donna brillante, anche se ogni tanto le capitava di appisolarsi in aula, aveva disegnato l’“albero genealogico” della famiglia Tagore, che tanta influenza aveva esercitato sulla cultura bengalese, e poi ci aveva chiesto di disegnare il nostro.
I miei genitori non avevano inculcato il senso della storia familiare né in me né in mio fratello, forse perché la nostra era una stirpe senza infamia e senza lode. Potevo andare a ritroso di una sola generazione, risalire ai nomi dei nonni paterni e materni; ma dei loro fratelli e sorelle, come dei loro cugini, non sapevo niente, e neppure mi importava molto. Perciò il mio “albero genealogico” non somigliava affatto a un albero, semmai a un cactus.
Leggendo un passaggio di Mille piani sono arrivata a pensare che Deleuze e Guattari lo avessero scritto apposta per me: “e se si diventasse animale o vegetale attraverso la letteratura, e questo non vuole dire di certo letterariamente?”(25). In fondo, non facevo altro da anni: cercavo aderenze perfette all’albero in quell’ammasso informe che chiamiamo letteratura. Lima trova “normale che gli esseri umani, osservando gli intricati schemi dei rami, il modo in cui le foglie avvizziscono e rinascono al ritmo delle stagioni, considerino gli alberi simboli potenti di crescita, declino e risurrezione. Il culto degli alberi, detto anche dendrolatria, e collegato all’idea della fertilità, dell’immortalità, della rinascita, ed è spesso raffigurato in forma di axis mundi (asse dell’universo), di albero del mondo, o di arbor vitae (albero della vita)”(26). Lima offre al lettore una carrellata affascinante: l’albero Tuba del Corano; l’Yggdrasill, il frassino che nella mitologia norrena sorregge la terra, gli inferi e la volta celeste; dipinti, affreschi e sculture dell’albero della vita; la caduta dell’uomo; il tempio della Croce Fogliata, l’albero della Bodhi; le nozze tra Shiva e Parvati ai piedi di un albero sacro; l’albero del rifugio di Tsongkhapa; il gelso di Van Gogh; l’albero della vita di Gustav Klimt con il suo intricato ecosistema di animali, uccelli e frutti, e via di seguito. Ma ancora più affascinanti sono gli alberi mentali: “nel corso della storia dell’umanità, la struttura ad albero e stata utilizzata per spiegare qualsiasi aspetto della vita: dalla consanguineità alle virtù cardinali, dall’ordinamento giuridico a vari campi della scienza, dalle associazioni biologiche ai database. E un modello che ha avuto successo perché riesce a tradurre in termini visivi rapporti e relazioni, esprimendo la molteplicità”.
“Un primo tipo di libro e il libro-radice”, scrivono Deleuze e Guattari. “L’albero è già l’immagine del mondo, oppure la radice e l’immagine dell’albero mondo. E il libro classico, come bella interiorità organica, significante e soggettiva (…). Il libro imita il mondo, come l’arte la natura (…). La natura non agisce così: le radici stesse sono a fittone, a ramificazione più ricca, laterale o circolare, non dicotomica” (27). Seppure in modo puramente intuitivo, sapevo di non voler diventare quel genere di albero. La parola “mondo” mi spaventava, l’“albero mondo”
era un mostro. Ma non finisce qui. “Molta gente ha un albero piantato nella testa, ma il cervello stesso è più un’erba che un albero”, scrivono ancora Deleuze e Guattari. Parlavano di me: e mentre leggevo mi ero portata la mano destra alla testa, proprio dove pensavo ci fosse il cervello. “Mathaye gachh gojiyechhey” mi diceva mia madre quando mi abbandonavo a fantasie sfrenate o, distratta, ingoiavo i semi dell’arancia: “Ti + spuntato un albero nella testa”.
“È strano come l’albero abbia dominato la realtà occidentale e tutto il pensiero occidentale, dalla botanica alla biologia, l’anatomia, ma anche la gnoseologia, la teologia, l’ontologia, tutta la filosofia: il fondamento-radice, Grund, roots, foundations. L’Occidente ha un rapporto privilegiato con la foresta e col disboscamento; i campi strappati alla foresta sono popolati di graminacee, oggetto di una coltura di discendenze che si basano sulla specie di tipo arborescente (…). L’Oriente presenta un’altra figura: il rapporto con la steppa e il giardino (in altri casi, il deserto e l’oasi) piuttosto che con la foresta e il campo, una coltura di tuberi che procede per frammentazione dell’individuo (…). Occidente, agricoltura di una stirpe scelta con molti individui variabili; Oriente, orticoltura di un piccolo numero di individui che rinvia a una grande gamma di cloni. Non vi è forse in Oriente, e precisamente in Oceania, una specie di modello rizomatico che si oppone da ogni punto di vista al modello occidentale dell’albero? Haudricourt vi vede perfino una ragione dell’opposizione tra le morali o le filosofie della trascendenza, care all’Occidente, e quelle dell’immanenza in Oriente: il Dio che semina e che falcia, in opposizione al Dio che inietta e dissotterra (l’iniettare contro il seminare) (…). Un rizoma non incomincia e non finisce, e sempre nel mezzo, tra le cose, inter-essere, intermezzo. L’albero e la filiazione, ma il rizoma e alleanza, unicamente alleanza. L’albero impone il verbo ‘essere’, ma il rizoma ha per tessuto la congiunzione ‘e… e… e…’. In questa congiunzione c’è abbastanza forza per scuotere e sradicare il verbo essere.”
È un brano interessante, un manifesto che rivendica un nuovo modo di osservare e di vivere, ma dopo averlo letto e riletto, mi sono chiesta perché non mi fossi mai imbattuta in un dipinto o in una scultura che raffigurasse un rizoma, per esempio dello zenzero. E non solo. Se il nostro modo di pensare è totalmente modellato sugli alberi e sulla ramificazione, perché nessuno si considera un albero? Le emoticon che usiamo per scrivere messaggi sul cellulare, per esempio i due punti seguiti da una parentesi tonda, si rivelano spesso una panacea, perché ci tolgono dagli impicci. Ma se nei secoli gli esseri umani hanno fatto ricorso alle immagini degli alberi per illustrare ogni situazione o evento della vita, oggi non esiste una sola emoticon per dichiarare che mi sento un albero.
23. Manuel Lima, The Book of Trees: Visualizing Branches of Knowledge, Princeton
Architectural Press, 2014.
24. Ibidem.
25. Gilles Deleuze, Felix Guattari, A Thousand Plateaus: Capitalism and Schizophrenia, University of Minnesota Press, 1987; trad. it. Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Orthotes, Napoli-Salerno 2017.
26. Lima, The Book of Trees, cit.
27. Deleuze, Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, cit.