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Cos’è la natura? Chiedetelo ai poeti | Davide Rondoni
Fazi 2021

di Paolo Risi

Cos’è la Natura, si chiede Davide Rondoni, e d’appresso suggerisce possibili interlocutori, il mio viaggio nella Natura e nei suoi interrogativi lo farò con il filo d’amore in una mano. E le voci di tanti poeti nell’altra.

Natura in cui si specchia l’incompletezza, e l’irriducibilità dell’uomo a conoscere. Il desiderio di unirsi alla Natura è fervore, il mistero di una conoscenza che ammalia, che si fa desiderare.

È un tentativo di integrare, di rendere permeabile il codice scientifico, di mappare tensioni che nessuna lente astronomica potrà mai cogliere e verificare: materia per poeti, che hanno dalla loro la spericolatezza e il desiderio inappagato; voci che testimoniano la volontà di esserci nell’Universo.

Ma cos’è l’uomo, un errore nel software dell’Universo? Il tema della sostenibilità, alcune visioni del collasso ambientale, tendono a mettere l’uomo spalle al muro, a collocarlo sulla scena di un crimine e a immobilizzarlo come farebbe un tutore dell’ordine male addestrato. Viene citato G.G. Simpson, uno dei paleontologi più importanti del secolo scorso: «Sembra quasi che l’uomo debba scusarsi di essere un uomo e di pensare, come se si trattasse di un peccato originale, o che un punto antropocentrico nella scienza o in altri campi del sapere sia automaticamente falso».

Natura co-protagonista nella nostra vita; esperienza da assimilare per poter godere delle traiettorie planetarie, le ragioni dell’amore e della fine di un amore, l’eventualità memorabile di fare pensieri strani sulla vita e su noi stessi.

Ciò implica una connessione: l’istruttoria di un linguaggio comune che renda l’uomo ospite (in entrambi i sensi) della Natura.

E la matematica è l’unico linguaggio che ci permette tale rapporto con la Natura o ne esiste un altro più profondo? si chiede Rondoni e subito dopo regala al lettore Corrispondenze, una poesia di Baudelaire che per l’appunto dissoda un terreno, una possibilità di adesione,… realtà che si espandono infinite per le vie e cantano i trasporti dell’anima e dei sensi.

Commuove lo sguardo di Rondoni, il suo spogliarsi nella dimensione del sentimento, che è qualcosa di più dell’istante vissuto, ma che non è altero, inviolabile. Nell’amore, nel vivere in poesia, c’è un vibrare di assoluto, una fuga in avanti fiduciosa. Da Paul Valéry uno spunto: “scienza e arte, ciascuna con «i propri linguaggi e i propri simboli», non sono altro che «variazioni di una materia comune»”; materia che è ritmo, sorgente universale.

Indagare il paradosso è da poeti (i più vivi fra loro) e da scienziati (i più autentici fra loro). Modi per scansare il paradosso: uno di questi – molto sostenuto, molto ideologico, suggerisce l’autore – è l’impuntarsi sulla “durata del pianeta”. Il necessario dibattito sulla sostenibilità, da un certo punto di vista, si appropria di formule semplificatrici, parziali, che provano ad aggirare il fenomeno umano, il paradosso di respirare e nutrire Natura.

Il senso, non solo la durata. E, a volte, più della durata, dicono i viventi umani. Il kit di sopravvivenza rattrappisce l’umano, ne limita il campo di azione e il godimento; svilisce le performances dell’Io. Una presenza disponibile, che sperimenta: l’Io auspicato non si lascia incastrare dai guardiani del tempo biologico; regge il confronto con la Natura e ne riconosce il paradosso, e come la Natura è disponibile a farsi attore e bersaglio del perfezionamento.

Una delle 1775 perle di Emily Dickinson (“Natura” è ciò che noi conosciamo – Ma non abbiamo arte per dirla…) offre l’occasione per ribadire come il mistero si addentra nel conosciuto e getta la sua luminosa ombra nello spazio che esiste tra percezione ed espressione. La getta nel territorio del linguaggio. Il territorio dove Natura e natura umana si incontrano ma non si annullano l’una nell’altra. Dove abita più splendente e inafferrabile il paradosso.

Nell’ideologia persiste il rifiuto del paradosso. Nel gioco delle rime e delle assonanze l’autore vede spuntare il binomio ideologia-economia. Verniciature green, l’architettura della riconversione, progetti che trovano fertile applicazione nel commercio, nella pianificazione delle smanie. Multinazionali che propagandano rimedi e che convertono gli stessi in mantra, in echi semplificati del disequilibrio: trovate qualcuno che si auguri la fine della Terra, e dietro a questo abbozzo di strategia non ci si può che accodare, marciare compatti a favore della sostenibilità, anche se dietro questa parola si nascondono tante idee diverse e ipotesi politiche ed economiche contrastanti, ad esempio tra Paesi ricchi e Paesi poveri.

Nei protocolli di commercializzazione dell’antidoto si avverte, sotto la sintassi di design, il tambureggiare attutito della dissonanza. Ragioni pecuniarie, ma anche la pretesa di certa poesia di quietare il cosmo a parole, in una sorta di auto-celebrazione consolatoria, tutt’altra cosa rispetto alla Ginestra di Giacomo Leopardi, uno dei culmini poetici di confronto di una mente poetica con la Natura.

Sapere e potere come abbrivio verso la riduzione della Natura in processo storico; o specularmente, la storia come intelaiatura del progresso e dei suoi maggiori azionisti. Occorre conoscere, scovare la saggezza dove ancora palpita: nei canti, sulle rotte della pastorizia e del mare, nel mistero del ritmo e del linguaggio poetico. Diffidando dalle imitazioni e da taluni strusciamenti autoindotti: la riduzione dell’arte a fiera delle espressioni, sradicandola dal suo statuto di viaggio di conoscenza, avviene in modo plateale o subdolo in molti modi, basti pensare all’abuso della parola “artista” per qualunque pirla canticchi qualcosa o dipingiucchi o scribacchi in nome del suo “sentire” che deve “esprimere”. E porta infine a quella situazione oggi più che mai attiva di irrilevanza e di “asservimento” dell’arte ai poteri e alle lobby dominanti.

Anche dove le teorie, le scienze derivative tentano di prefigurare il controllo, la poesia (la poesia che se ne sta sulla soglia, in attesa) esplode o ricama i suoi colpi: il volume di Davide Rondoni può anche essere intercettato come si intercetta, incoscientemente, da bambini, il primo dorso su cui si è soffermato l’occhio, nel complesso di una libreria o di una piramide caotica; si apre e si sfoglia, mandando poi a memoria nomi, riconoscendone o riadottandone altri, da Lucrezio a Pascoli, da Leopardi a Zagajewski, solo per citarne una manciata. E per chi volesse: dove il “nominalismo” lascia dietro di sé faglie, un retrogusto di polimeri, risuona abissale il leopardiano “Ed io che sono?”


Davide Rondoni: nasce a Forlì nel 1964. Poeta e scrittore, ha pubblicato diversi volumi di poesia con i quali ha vinto alcuni tra i maggiori premi. È tradotto in vari paesi del mondo, collabora a programmi di poesia in radio e tv e come editorialista per alcuni quotidiani. Ha fondato il Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna e la rivista «clanDestino».

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