Danilov il violista | Vladimir Orlov
Traduzione di Daniela Liberti
Carbonio editore 2019
di Davide Morganti, per Rubrica Glaza
Il libro di Vladimir Orlov è l’apoteosi delle invenzioni, è il desiderio di scrivere senza fermarsi, è la folle vertigine delle idee disinteressata a romanzi sparagnini costruiti su esangui storielle familiari e psicologiche.
Danilov, il violista dello scrittore russo morto nel 2014 oggi appare in Italia per la prima volta grazie a Carbonio Editore (sempre siano lodati questi editori che allargano la monocamera Italia), quasi cinquecento pagine di passione e di forza che Daniela Liberti ha saputo tradurre con grande aderenza emotiva. La comparsa del romanzo è del 1980, quando l’Urss ancora si contrapponeva all’universo statunitense che stava per entrare nell’orbita di Reagan e giusto un anno dopo il celebre bacio tra Erich Honecker e Leonid Brežnev.
Romanzo potente e satirico, irriverente e fantasioso racconta di Danilov, padre demone e madre terrestre; il giovanotto si impegna molto poco a fare il diavolo, preferisce infatti passare il tempo a suonare la viola, a intrattenere gli amici e a inseguire Nataša donna da lui amata. Un giorno, però, arriva una chiamata dalla Cancelleria dei Nove Livelli e gli annuncia che sta per arrivare l’ora X. La commissione, per il suo atteggiamento, ha deciso di licenziarlo; qualcuno però nel frattempo gli ha rubato la viola. Da quel momento hanno inizio una serie di assurde avventure tra il mondo demoniaco e quello umano. Accade davvero di tutto: ex mogli furiose, voli ad altissima e bassissima quota, tutto stordito da un’atmosfera surreale che travolge burocrazia, idiozie e decine di personaggi. Opera di tragica e comica complessità come ormai oggi pochi osano affrontare, preferendo tremebondi romanzi che raccontano il meno possibile.
“L’oscurità era in ogni dove. Non era proprio oscurità, più un nero assoluto. Danilov non si dissolse, poiché percepiva di essere ancora vivo e presente. Questo non alleggerì la sua situazione. Intuiva di essere circondato da quattro pareti che non esistevano, ma proprio perché non esistevano, non poteva attraversarle per recarsi da qualche parte. Lui sapeva che quelle pareti continuavano verso l’alto e verso il basso e non avevano né pavimento né soffitto, e il pozzo era senza fondo, e Danilov non vi poteva né volare né nuotare”.
Orlov descrive i Nove Livelli dove il demone scende spesso, più che gironi infernali sono gironi burocratici e qui avvengono processi che diventano grotteschi recital fatti da grottesche macchiette dello Stato. Il personaggio creato dallo scrittore ha il fascino ottocentesco del bene e del male e il suo amore trattiene la fragile disperazione dell’uomo. Nel romanzo tutto è sussulto, sconquasso, travolgimento, non c’è un attimo di tregua, sembra di essere dentro un vulcano o un tifone, che sia amicizia, demonio, inganno, ricerca; una bizzarria che si scatena forsennata, rivelando il lato umano del male che non è mai sempre e solo male.
“Dei vortici di fuoco avvolsero Danilov. Avvertì come il missile volasse a fatica, come venisse ostacolato e subisse la resistenza di Karmadon, ma lui con la propria volontà lo spingeva in avanti, sempre più avanti. Il missile trovava difficoltà, come una trivella nelle rocce di granito, e ci sono momenti in cui bloccava per l’azione contraria di Karmandon”.
Orlov si diverte e ci fa divertire con la sua azione continua e una lingua che rimescola i generi come fossero pietruzze da sminuzzare; non sempre facile da seguire per i nomi e le situazioni che si accumulano, la scrittura ricorre alla leggerezza all’umorismo che diluiscono certi passaggi narrativi piuttosto grevi.
“Danilov non corrispondeva con suo padre e non l’aveva mai incontrato. E non avevano neanche il diritto di cercare informazioni l’uno dell’altro. Il paragrafo “b” della clausola diciassette del suo contratto stabiliva che Danilov era obbligato a volare nei pressi di Giove (dove suo padre era stato condannato a vivere dopo essersi reso colpevole di amore terrestre), con gli occhi chiusi e con del cotone nelle orecchie.”
Il romanzo di Orlov pretende pazienza, non è un libro – yogurt che bisogna leggere presto, prima che la sua convinzione sia scaduta. L’allegra follia che attraversa le pagine, soprattutto quando irride il potere sovietico che di lì a pochi anni si sarebbe sgretolato in maniera rapida, ha l’effetto di spingersi sempre oltre, usando le parole come fuochi d’artificio; la scrittura di Orlov è un grido di gioia e un grido d’allarme, non teme di esagerare, di dire più di quello che una delle tante scuole moderne contesterebbe (la trama, i personaggi, la struttura, bla bla bla che noia queste lezioni di maestrinume insipido) per meravigliosa esagerazione; questo è uno di quei libri che o ami o odi, proprio per la sua natura elefantiaca che non teme giudizio.
“Disgrazie, malanni, morte – che mi possono fare, se io sono con te e ti sono necessaria? Se qualcosa mi minaccerà, significa che minaccia anche te. Se tu sparirai e uscirai dalla mia vita per tua stessa volontà, che sia. Ma se tu dovessi sparire per volontà altrui, tu sai bene quello che mi accadrà. Però non sparire. Ti prego. Se hai qualche colpa, se hai soggiogato a un duro obbligo, io prender su di me la tua colpa e i tuoi obblighi. Se bisognerà pagare con la vita, lo farò”.
Discorso tragico di Nataša di una forza che trova la sua radice dolorosa nella tradizione cristologica, è la devozione estrema all’amore e al sacrificio, alla rinuncia e al riscatto, è quanto di più grande si possa trovare in un essere umano quando si dà a un altro essere umano. Ogni uomo è da salvare, anche a costo della morte. Lo dice Vladimir Orlov, SCRITTORE.