Pierre Vinclair e la poesia di resistenza ecologica
di Mauro Candiloro
Poeta, traduttore, critico letterario, ricercatore, blogger1, direttore di collana: l’eterogeneità di Pierre Vinclair trova un’immediata corrispondenza nella sua produzione. Vi figurano infatti sei raccolte di poesia, che vanno da Barbares (2009) al complesso dispositivo de La Sauvagerie (2020), passando per Les gestes impossibles (2013), vincitore del prestigioso premio Hérédia dell’Académie française. Sul versante della prosa, Vinclair ha dato alle stampe un paio di romanzi epici, frutto indiretto della sua tesi di dottorato sui rapporti tra epopea e romanzo, una fiaba urbana e politica di ambientazione giapponese (Giappone, e più precisamente Tokyo, dove nel 2010 Vinclair è stato scrittore in residenza presso la Villa Kujoyama, un istituto artistico francese), le traduzioni di poeti come John Ashbery, Christine Chia, Derek Walcott o Alexander Pope, e per finire alcuni saggi incentrati sulla poesia. A quest’ultima categoria appartiene il saggio del 2020 Agir non agir. Éléments pour une poésie de la résistance écologique, ideale complemento del già citato La Sauvagerie, entrambi peraltro pubblicati dall’editore parigino José Corti.
Il legame tra La Sauvagerie e Agir non agir è chiaro sin dalle soglie di quest’ultimo. Come ricorda la quarta di copertina, la prima parte del titolo, Agir non agir, evoca, rovesciandolo, il motto Souffrir non souffrir del poeta cinquecentesco francese Maurice Scève, noto in particolare per il suo capolavoro Délie, objet de plus haute vertu, pubblicato anonimamente nel 1544. Al gioco dell’intertestualità partecipa anche La Sauvagerie, la cui struttura ricalca proprio quella del canzoniere di Scève. Grande ammiratore di Petrarca, il poeta lionese scelse infatti di cantare il proprio amore impossibile per una donna misteriosa attraverso 449 poesie di dieci decasillabi l’una, precedute da un’ottava e alle quali s’intercalano cinquanta emblemi, vero e proprio genere rinascimentale. Dal canto suo, La Sauvagerie di Vinclair comprende 499 poesie di dieci decasillabi l’una, tra le quali figurano anche testi di una cinquantina di poeti cui Vinclair ha chiesto di contribuire con dei dizains, delle poesie appunto di dieci decasillabi. Nell’intertestualità in questione si trova infine la scelta di dare, come si è visto, una forma precisa al libro e a ogni singola poesia, che Vinclair argomenta proprio in Agir non agir. Prima però di addentrarci nel corpo del «dittico selvaggio»2 vale la pena soffermarsi ancora sulle soglie del saggio critico.
L’epigrafe posta in limine da Vinclair proviene infatti da una delle massime voci dell’ecopoetry o ecopoesia mondiale, Gary Snyder:
il linguaggio come sistema selvaggio, la mente come habitat selvaggio, il mondo come fabbricazione (poema), il poema come creatura della mente selvaggia3.
Vinclair inscrive il proprio «manifesto»4 per una poesia di resistenza ecologica nella dimensione di quel selvaggio – sempre più addomesticato, quando non in via di estinzione – che la poesia come poiesis deve recuperare per ritagliarsi uno spazio tra i «pragmata che bisognerà mettere in campo per rendere la Terra di nuovo abitabile»5. Che Agir non agir voglia essere un manifesto è ancor più esplicito una volta addentratisi nel sommario che segue l’epigrafe. Il saggio è infatti suddiviso in sette capitoli, composti ciascuno da quattro paragrafi. Al di là della struttura perfettamente regolare, già presente ne La Sauvagerie, ciò che conferisce al saggio una veste programmatica è la scelta di intitolare ciascun capitolo con un aggettivo volto a definire la poesia di resistenza ecologica cui ambisce Vinclair: Selvaggia, Totale, Tesa, Interessante, Pensante, Collettiva e Rituale.
Nel primo capitolo Vinclair sgombra subito il dubbio sul senso antielegiaco della sua operazione, attribuendo al testo poetico la capacità di divenire un «piccolo essere selvaggio»6, invocando vari numi tutelari tra cui quelli di H. D. Thoreau e T. Hughes. Per Vinclair il testo poetico è selvaggio per «sua stessa natura»7, non illustrando nessun pensiero preesistente. Se il richiamo allo «stato sciamanico»8 in cui si troverebbe qualsiasi poeta nell’atto di creare, lascia un po’ perplessi, decisamente più convincente è la definizione del poème che propone:
È […] un luogo di articolazione senza risoluzione della diversità. Vale a dire un corpo. Si può ricondurre questa diversità ad almeno sei logiche differenti: per rendere conto della posizione di una parola in una poesia […], si può infatti mettere in evidenza una logica referenziale […], ma anche pragmatica […], fonica […], sintattica […], testuale […], culturale […]9.
Per Vinclair il testo poetico è una «belva in gabbia»10 di cui ogni singolo passo – fuor di metafora, ogni singolo verso – segue uno o più ritmi, un «supergioco»11 che cerca di realizzare un equilibrio perennemente instabile tra queste diverse istanze. Insomma, il testo poetico è animale nella misura in cui «riesce a incarnare nel linguaggio, su una pagina, nei versi, una presenza selvaggia, brutale e opaca, che si muove e vive»12.
Quanto al carattere totale della poesia, oggetto del secondo capitolo del saggio, Vinclair si domanda se essa, pur nella povertà pratica dei suoi mezzi, non debba innanzitutto riprendersi ciò che la parcellizzazione propria della poesia (e non solo) del Novecento le ha tolto, ossia la sua capacità di restituire un’immagine della «Terra come sistema»13. A fronte di qualche altro svolazzo verticale («questo dio cosiddetto creatore è a sua volta poeta»14), l’argomentazione di Vinclair non sconfina mai nel demiurgismo, affermando la necessità di rispondere alla «fede nel poema tramite un sano odio della poesia, che è a un tempo l’esercizio della lucidità sul desiderio di totalità e il suo paradossale strumento»15. Un «odio della poesia» che scaturisce dalla sua essenziale incapacità di dire la totalità che vorrebbe dire. Di qui la proposta del poeta Vinclair per un ritorno della forma in poesia come pegno della «detotalizzazione ermeneutica»16 e contro la poetica del frammento come espressione della «molteplicità aperta»17 propria della totalità. Invocando la necessità ermeneutica della forma e dello schema, da intendersi rispettivamente come «principio di unificazione dei versi in una poesia […] e delle poesie in un libro»18, Vinclair illustra e giustifica la complessità formale del dispositivo dispiegato ne La Sauvagerie di cui accennavo all’inizio, nonché, implicitamente, la simmetria architettonica di Agir non agir:
Attraverso questi due livelli successivi (la forma e lo schema), il libro di poesie perviene a organizzare l’omnia del mondo in un totum che, dandogli senso, è (senza essere il tutto dell’essere) un punto di vista sul tutto dell’essere19.
Selvaggia e totale, la poesia per Vinclair ha il compito di essere sempre in tensione (Tesa è appunto il titolo del terzo capitolo del saggio) verso la sua missione impossibile di dire e curare la catastrofe ecologica. Il tutto, peraltro, rimanendo per definizione all’interno della lingua, opponendo per esempio una strenua resistenza alla corruzione utilitarista delle parole, pur badando al contempo a non rifugiarsi nella «intransitività»20 della torre d’avorio né a farsi mero megafono di una lotta: «il testo poetico non è né al servizio della lotta (engagé) né estraneo (intransitività), ma piuttosto in una situazione di complementarietà critica»21. Articolata insomma in schemi e forme, in equilibrio tra engagement e intransitività, la poesia della resistenza ecologica è per Vinclair un «dispositiv[o]»22 di trasmissione di energia selvaggia tra la catastrofe e i lettori23.
Nel capitolo quarto, intitolato Interessante, Vinclair si addentra nei meccanismi del testo poetico che vuole farsi attività di resistenza ecologica. Qui è il poeta de La Sauvagerie che parla, illustrando la fecondità di alcune scelte da lui operate. Secondo Vinclair, il dispositivo poetico è interessante quando in esso (inter)agiscono diversi fattori come «la pagina, i caratteri tipografici, i suoni, la punteggiatura, i codici linguistici […], la grammatica, l’intertestualità […], il figurale […], gli enunciati […], i denotati […]»24. Questi fattori – Vinclair li chiama «personaggi»25 – fanno del testo poetico interessante «un dramma», «una forma», «un’esperienza» e «una lotta», per riprendere i titoli dei paragrafi in cui è suddiviso il capitolo, in cui «[t]utto è questione di equilibrio»26.
Se per Vinclair è essenziale che il testo poetico non venga considerato «come una cosa, ma come un’attività»27, è altrettanto vero che esso non può ridursi ad azione pura, come scrive Vinclair nel capitolo successivo, intitolato Pensante: «Dioniso è […] contenuto da Apollo. Senza la bella forma che lo contiene, l’energia del testo poetico si disgregherebbe in una logorrea informe»28. Quanto alle modalità di espressione del pensiero e dell’energia del testo poetico, Vinclair indica le strade della tragedia e dell’epopea. In entrambi i casi, la proposta è ben sostenuta dall’argomentazione:
Mi sembra che la sua reticenza (o la sua incapacità) di operare una sintesi concettuale facciano sì che il pensiero del testo poetico, che presenta un corpo aperto di significazioni, si presta meglio a incarnare la tragedia [ambientale] che a proporre una risoluzione immaginaria29.
In altri termini, la corporalità della poesia, la sua natura intrinseca di «corpo sofferente», di corpo lacerato tra due logiche (quella del verso e quella della frase, e dunque anche quella del suono e del senso)»30 la rendono lo strumento ideale per dire la catastrofe. Per quanto concerne la sua epicità, per Vinclair la poesia può essere assimilata all’epica nella misura in cui entrambe possono assurgere a strumento espressivo di un tema quando «gli strumenti intellettuali che conosciamo sono assenti o inefficaci»31. Malgrado l’esiguità del suo lettorato, la poesia può inoltre farsi strumento popolare in quanto strumento attivo e non passivo come il cinema, le serie TV, ecc., senza dimenticare, conclude Vinclair, che nell’universo della poesia «non si trovano VIP […] ci sono solo poeti dal basso»32, il che contribuisce a renderla «un’arte del “poetariato”, il cui valore è tanto più grande che può, come l’epopea, pensare e fare pensare, non semplicemente un individuo, ma un collettivo: facendo confluire le forze dei “poetari”, per fabbricare insieme delle armi per abitare il futuro»33.
Da questa tensione collettiva dal basso, diretta verso il collettivo dei lettori, nasce la riflessione del penultimo capitolo del saggio, intitolato appunto Collettiva. In esso Vinclair propugna la dimensione corale della scrittura poetica, tanto più necessaria di fronte a «un tema così vasto, così ramificato come l’ecologia»34. Se l’invito a pensare a progetti collettivi – in un certo senso, La Sauvagerie lo è – non ha nulla di esoterico, quello a mettere in valore quattro dimensioni spesso trascurate come «il riciclaggio, l’invito, l’edizione e la traduzione»35 è decisamente più interessante nella misura in cui queste quattro operazioni «partecipano di una stessa concezione non feticista della letteratura, nella quale gli autori non si prendono per dei geni solitari, ma si leggono e si commentano reciprocamente per giungere insieme, certo sotto la direzione di un singolo […] a un libro collettivo»36. Onde premunirsi da eventuali critiche, Vinclair aggiunge immediatamente dopo questo passo che la collettività della poesia non presuppone la morte della lirica, a patto però di non concepire l’io «come un soggetto sovrano dai gusti singolari, indipendente dagli altri e ancor più dalle cose della natura»37, bensì come un elemento a loro connesso. Di qui nascerebbe peraltro la ritualità della poesia.
Intitolato Rituale, l’ultimo capitolo di Agir non agir… presenta il rifiuto della ritualità in generale come un altro trofeo raccolto da quanti «si preoccupano dell’aumento del capitale escludendo qualsiasi altra dimensione»38 (187). La poesia parteciperebbe invece, secondo Vinclair, «di una preoccupazione collettiva e regolata»39, le cui radici affondano nelle antiche pratiche cultuali del consorzio umano. In tal senso, e siamo alle pagine conclusive del saggio, la poesia sarebbe il luogo nel quale fare rientrare tutto ciò che l’evoluzione umana ha allontanato da sé, esorcizzato: in una parola, l’alterità.
Da leggere parallelamente a La Sauvagerie, di cui è anche il pendant critico, il saggio di Vinclair Agir non agir. Éléments pour une poésie de la résistance écologique indica di fatto la crisi ecologica e la resistenza poetica ad essa come le sole poiesis e praxis possibili, approntando un’argomentazione limpida, al netto di qualche tentazione sciamanica – dionisiaca, direbbe Vinclair – a una proposta formale – apollinea – decisamente interessante e a controcorrente dell’evoluzione informale seguita dalla poesia dagli inizi del XX secolo in poi.
1 Oltre ad avere un blog personale, https://vinclairpierre.wordpress.com/, Pierre Vinclair è tra i confondatori del blog Catastrophes: https://revuecatastrophes.wordpress.com/
2 https://vinclairpierre.wordpress.com/francais/ (consultato il 13 novembre 2021).
3 Vinclair P., Agir non agir. Éléments pour une poésie de la résistance écologique, Paris, Éditions Corti, 2020, p. 7. Tutte le citazioni da questo volume, inedito in italiano, sono di mia mano.
4 Ibid., p. 14.
5 Ibid.
6 Ibid., p. 17.
7 Ibid., p. 24.
8 Ibid.
9 Ibid., p. 25.
10 Ibid., p. 30.
11 Ibid., p. 25.
12 Ibid., p. 38.
13 Ibid., p. 50.
14 Ibid., p. 53.
15 Ibid., p. 55.
16 Ibid., p. 63.
17 Ibid., p. 61.
18 Ibid., p. 64.
19 Ibid., p. 67.
20 Ibid., p. 88.
21 Ibid., p. 89.
22 Ibid., p. 107.
23 Cfr. Ibid.
24 Ibid., p. 115.
25 Ibid.
26 Ibid., p. 131.
27 Ibid., p. 115.
28 Ibid., p. 141.
29 Ibid., p. 151.
30 Ibid., p. 153.
31 Goyet F., «Le ‘travail épique’, permanence de l’épopée dans la littérature moderne», La Réserve, 25 novembre 2015, citato in Ibid., p. 155.
32 Ibid., p. 158.
33 Ibid. Vinclair prende in prestito il termine poétariat dalle riflessioni di un altro poeta e critico francese, Jean-Claude Pinson. Si veda in particolare il suo À Piatigorsk, sur la poésie, Nantes, Cécile Defaut, 2008.
34 Ibid., p. 164.
35 Ibid., p. 165.
36 Ibid., pp. 182-3.
37 Ibid., p. 183.
38 Ibid., p. 187.
39 Ibid., p. 188.