Ecopoesia:
poesie ecologiche
di Giovanni Asmundo
Sollazzi e agrumeti
cantarono i poeti
monili andati persi
che le tue dita indugiano scoprendo
in un brillio fugace sul tuo collo
ma l’oro della conca
è un canto quasi spento
al posto dei giardini è tutto un sacco
lo ammutiva
cemento con cemento
città per un milione di abitanti
si diceva
eppure tu che vivi
rinascite costanti
saprai gemmare zagare dovunque.
(inedito)
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Ma la scoloritura chi la diede
ai giovani limoni
alle ramaglie verdi
legnose al masticare
vitalità sprezzanti
slanciate, ancora esposte
all’arpeggiare secco del maestrale
al crepitio dei frutti
come si giunse al tatto
di una città sbocciata
sull’arenaria bruna
eretta come un piede tra le acque
e a cupole e pietruzze
mosaici e palme azzurre
e stragi ed eroi giusti
tra la rassegnazione
e le speranze forti
di costruzione di spazio migliore.
(inedito)
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A Salma Zidane
Non un limone, siamo giardino
dai verdi getti slanciati nel sole
gemmiamo l’aria, se ascolti il lucore
corale di unico manto di zagara
non c’è confine, se non la plurale
pace esultante dei muri essiccati
meraviglia di mille sterpaglie.
(da “Disattese. Coro di donne mediterranee”, Versante Ripido, 2019)
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La voce non mi levi
città, tu, complicata
non serve che sia un canto
io finché campo, dico.
Sto qua fra le mie pietre
tra gli olivastri in prestito
dal suono delle schiume
che arriva da oltre i muri
carezzo i loro rami
dovrò restituirli un giorno o l’altro
ma finché posso resto e non mi sposto
e vai e torna
ed entra ed esci
e parlo piano
sommesso tra le pietre
con un bicchiere d’acqua al tavolino
con chi sa fare pace con l’agosto
con chi resiste al morso tentatore
di bocca chiusa fuori dal giardino.
(inedito)
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Ma noi crediamo ai visi
che possono cambiare
dall’arido al frutteto
e presteremo fede
ai dolceamati cedri
per il rinnovamento
con occhi lucidati.
Noi siamo soglie innanzi al divenire.
(inedito)
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E gioca con le essenze
di acque senza spine
ridona al gelo e imprimi quei profumi
mai più assenti
e il dolce torna ad essere
fragranza rampicante
rinnova originaria leggerezza
il cambiamento è stella gelsomina.
(inedito)
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XXXIV. Se un giorno, chiusa la conta del sale
Se un giorno, chiusa la conta del sale
salperemo con vele triangolari
sfuggiti al logorarsi delle carni
smembrato il coro per vie laterali
rinati all’affacciarsi sul sole
darà la gioia del mandorlo in fiore
l’aver vibrato fino al compimento
indossata la giusta voce e lasciato
nel tepore anche di una sola mente
un pane appena avvolto a lievitare.
(da “Stanze d’isola”, Oèdipus, 2017)
Tutti i diritti riservati all’autore
Giovanni Luca Asmundo (Palermo, 1987) vive e lavora a Venezia, dove svolge un Dottorato di ricerca presso l’Università IUAV. Sue sillogi di poesia sono pubblicate in “Trittico d’esordio” a cura di Anna Maria Curci (Cofine, 2017), “Stanze d’isola” (Premio Felix 2016: Oèdipus, 2017) e “Disattese. Coro di donne mediterranee” (Versante Ripido, 2019). Vincitore e finalista in diversi concorsi nazionali, sue poesie e prose liriche sono inoltre pubblicate in antologie, riviste e blog letterari. Promuove progetti, mostre, pubblicazioni e festival di scrittura e fotografia su temi quali migrazioni e dialogo, cura dei luoghi, riflessioni sul paesaggio e l’urbanità contemporanei, che raccoglie sul blog “Peripli”.