Ecopoesia, una introduzione |
Samantha Walton
Traduzione autorizzata e concessa a ZEST Letteratura sostenibile in esclusiva. Tutti i diritti sono riservati.
Si potrebbe definire l’ecopoesia come poesia che affronta (o può essere letta in modi che affrontano) le condizioni attuali della nostra crisi ambientale. L’ecopoetica si riferisce alla sua teorizzazione, e il termine ecopoeti, ovviamente, agli stessi scrittori, anche se solo pochi tra loro hanno adottato tale etichetta senza riserve. Questi termini sono emersi alla fine degli anni ‘90 e, da allora, sono stati sempre più ampiamente riconosciuti, mentre studiosi e scrittori ne hanno dibattuto e raffinato il significato. Sono state fondate riviste dedicate alla nuova ecopoesia, e la pubblicazione di antologie dedicate alla stessa ha contribuito alla formazione di un nuovo canone di versi orientati all’ecologia. La ricerca accademica ha promosso questo progetto di formazione retrospettiva di un canone tramite il lavoro degli ecocritici, che si sono impegnati nel rintracciare e identificare tradizioni ambientali alternative nei canoni letterari occidentali e non.
L’ecopoesia può dunque essere suddivisa in due categorie: ciò che è stato consapevolmente scritto come “ecopoesia” e ciò che viene considerato oppure riclassificato come tale. Questa definizione è stata adottata da alcuni degli scrittori viventi che scrivono poesia ambientale od orientata alla natura, mentre altri preferiscono distanziarsene. Adottando tale definizione, i poeti dichiarano apertamente le intenzioni e l’orientamento del loro lavoro. Per esempio, autori e critici spesso suggeriscono che l’ecopoesia potrebbe ricondurre l’umanità a una consapevolezza cosciente dell’entanglement ecologico e incentivare attenzione e interesse verso di esso. Da questo punto di vista, l’ecopoesia può essere inquadrata come una forma di scrittura e lettura impegnata e attivista, che contribuisce al compito di riparare le divisioni tra l’umanità e gli ecosistemi che ci costituiscono e ci sostentano. Non esiste una forma o uno stile definitivo di ecopoesia. Nei termini di contenuto e di argomento, l’ecopoesia potrebbe focalizzare l’attenzione sul linguaggio utilizzato per descrivere la natura, che esso sia poetico, scientifico, tecnico od ordinario. Potrebbe far venire alla luce tropi e tradizioni della rappresentazione della natura e mettere in discussione discorsi dominanti come l’estetica dei paesaggi, la cartografia, o l’economia ambientale. L’ecopoesia può mettere in evidenza dei luoghi specifici in modo da approfondire la comprensione dei processi naturali e delle storie culturali, o riflettere sul tipo di legami e sentimenti che le persone provano in relazione al mondo oltre-che-umano.
Sin dai suoi albori, l’ecopoesia si è mescolata alla critica letteraria orientata all’ambientalismo. Nel tentativo di evidenziare le radici culturali della crisi ambientale, gli ecocritici hanno analizzato i concetti di natura presenti nella storia intellettuale occidentale, e in particolare le visioni pastorali di armonia, isolamento e nostalgia derivate dalla Ecloghe di Virgilio (vedere Gifford 2010), nonché il concetto romantico di Natura come un “tutto dinamico, vivente e autotrasformante” (Rigby, p.24), del quale facciamo parte. Le prime teorizzazioni dell’ecopoesia originano dai critici, e non dai poeti, e nascono dalla rivalutazione ecocritica del romanticismo. Ancora oggi si continua a dibattere sulla possibilità che il romanticismo abbia veramente romanticizzato la natura, e questi dibattiti hanno un’influenza decisiva sull’ecopoesia. Alcuni critici ribadiscono che la poesia romantica ha determinato un atteggiamento nei confronti del mondo naturale che potrebbe tornare utile agli scrittori contemporanei impegnati nel tentativo di affrontare la crisi ambientale attraverso una letteratura che stimoli l’immaginazione e i sensi. Per altri, per esempio Timothy Morton, l’adorazione romantica per la natura e il desiderio di ristabilire un’unità non fa altro che approfondire la separazione: “La natura non può ben servire l’ecologia” (2010, p.3).
La definizione di “letteratura ambientalista” di Lawrence Buell fornisce un altro punto di partenza importante per le teorie ecopoetiche. Secondo Buell, non tutte le opere il cui tema è la natura sono “ambientali”, ma solo quelle che a) evidenziano l’interconnessione tra storie umana e naturale; b) descrivono la natura come un processo, e non come una costante o in stasi; c) esprimono preoccupazioni etiche che vanno oltre la sfera umana; e/o d) ammettono una responsabilità per i danni ambientali antropogenici. Jonathan Bate ha perseguito quest’approccio esclusivo in The Song of the Earth (2000). In quest’opera, definisce l’ecopoesia come “non la descrizione dell’abitare la terra, non un pensiero distaccato nei suoi riguardi, ma il farne esperienza” (p.42). Secondo Bate, Wordsworth risulta essere un ecopoeta (o piuttosto l’ecopoeta per antonomasia) a causa della sua attenzione agli impatti affettivi, emotivi, etici e intellettuali che la natura opera sull’Io lirico. L’ecopoesia è, nella sua definizione, più fenomenologica che politica.
Non si occupa tanto delle rappresentazioni politiche efficaci ai fini delle teorie femministe o della critica della razza, quanto dell’evocazione o determinazione di uno stato d’animo, di un tono o della forza di un attaccamento in grado di ricostruire quella connessione con la natura che abbiamo perduto.
Il linguaggio organizzato come poesia non ci separa necessariamente dalla terra (secondo Bates, la teoria predominante tra i critici letterari postmoderni del tempo), ma potrebbe essere un mezzo per “rispondere ai ritmi propri della natura, e fare eco alla stessa canzone della terra” (p.76).
Non sorprende dunque, data la depoliticizzazione del momento di “esperienza della natura” operata da Bates, che gli ecopoeti da lui menzionati siano tutti uomini bianchi occidentali, il cui maggior ostacolo al contatto diretto con la natura sono le condizioni della modernità, la conoscenza della scienza, le “ingerenze” dell’intelletto e lo stesso linguaggio. L’ecopoesia fu dunque all’inizio costituita come dominio di un “club abbastanza esclusivo di poeti neo-romantici maschi”, come spiega Harriet Tarlo (2007). Questa distorsione da selezione è stata riprodotta in numerosi studi, per esempio in Sustainable Poetry, Leonard Scigaj indica quattro uomini bianchi, inclusi Gary Snyder e Wendell Berry, come i più importanti ecopoeti americani. La loro poesia riesce a misurare la capacità referenziale del linguaggio, e chiede se questa possa avvicinare l’umanità al mondo naturale o invece la allontani, senza alcuna delle intricate complicazioni relative a razza, genere o orientamento sessuale.
Molti scrittori oggi rifiutano coscientemente il romanticismo come fonte di ecopoetica. Dopotutto, il romanticismo affrontava le specifiche condizioni dell’espansione urbanistica e delle rivoluzioni agricola e industriale, offrendo come risposta parchi nazionali e riserve naturali. Probabilmente, tale modo di pensare e di sistematizzare non è adatto a far fronte alle condizioni globalizzate della nostra crisi ambientale. Inoltre esclude le interpretazioni e le spiritualità ambientali non bianche e non occidentali, concentrandosi invece sulle esperienze di uomini non disabili formatisi nelle tradizioni intellettuali della filosofia europea. I drammi esistenziali ed emotivi di questi scrittori si sono dimostrati tutt’altro che universali. Nelle parole di Camille Dungy: “Molti scrittori neri semplicemente non osservano il proprio ambiente dallo stesso punto di vista degli scrittori Anglo-Americani… Il pastorale come svago, come costrutto di una cultura che sogna, attraverso il paesaggio e la vita animale, un certo lusso o innocenza, è meno prevalente.” Al contrario, le poesie sono “scritte dal punto di vista dei lavoratori nei campi”; queste poesie sono innegabilmente dei pastorali che “descrivono muschio, fiumi, alberi, suolo, caverne, cani, campi: elementi di un ambiente immerso in un passato di violenza, di lavoro forzato, di tortura e morte” (p.xxi). A riprova di ciò, la poesia “Surely I am able to write poems” di Lucille Clifton rivela un punto di vista conflittuale e di profonda ambivalenza sulla natura, basato sulla storia afroamericana, sul romanticismo occidentale e sulle personali esperienze sensoriali del contatto con essa . La poesia inizia con la celebrazione del mondo naturale, ma si conclude con la domanda: “perché / c’è sempre sotto quella poesia / un’altra poesia?” (Dungy ed., p.vii). “My First Black Nature Poem™” di LaTasha N. Digg affronta la Natura™ come un costrutto artificiale che esclude i corpi neri e collude nella cancellazione dei retaggi della schiavitù e della violenza razzista nella wilderness americana a prima vista incontaminata: “quell’acqua ricorda troppo.” Un’attenzione alla scrittura nera della natura non rivela solamente la dimensione politica delle storie culturali della natura, ma è fondamentale per comprendere il modo in cui la percezione dell’ambiente naturale non è mai scevro di condizionamenti sociali. La qualità affettiva del momento di contatto con la natura che, secondo Bate, l’ecopoesia dovrebbe catturare, sarà qualitativamente differente a seconda della misura in cui si è, al contempo, vulnerabili e traumatizzati dall’intolleranza e dall’oppressione.
Poeti e critici hanno iniziato a descrivere storie alternative dell’ecopoesia, allargando l’enfasi iniziale sul patrimonio romantico, riconoscendo i contributi di donne e poeti di colore, incorporando ulteriori approcci intersezionali alla natura e all’ecologia, ed esplorando il significato ecopoetico di tradizioni sperimentali e di avanguardia. The Ecopoetry Anthology (2013) di Ann Fisher-Wirth e Laura-Grey Street include gli scrittori Langston Hughes e Jean Toomer, appartenenti alla corrente Harlem Reinassance, la cui poesia “Reapers” affronta le esperienze di dislocazione, diaspora e le relazioni oppressive della terra in condizioni di schiavitù e di povertà rurale. Le catastrofiche ingiustizie sociali e ambientali della colonizzazione e i suoi strascichi si riflettono nelle differenti ecopoesie coloniali. In “Genocide, Again”, Kwame Dawes racconta una terra invasa dalle piante e spopolata di abitanti umani attraverso la brutalità e i massacri, mentre “all with ocean views” di Craig Santos Perez utilizza frammenti di testo rinvenuti per criticare i modi in cui la sua Guam natale è diventata una destinazione turistica idilliaca per i suoi occupanti militari precedenti e attuali che si sono sostituiti alle popolazioni indigene Chamorro.
La critica del romanticismo e, forse cosa ancora più importante, del suo retaggio, è particolarmente efficace in questi scritti. Ciò è vero anche perché le modalità di abitazione e dimora favorite dai primi teorizzatori dell’ecopoesia sono irrilevanti al modo indigeno di concettualizzare l’ambiente oppure hanno così completamente colonizzato l’immaginazione dei turisti occidentali e degli indigeni che molti concetti nativi sono stati perduti insieme ai diritti fondiari, al linguaggio e alle relazioni ecologiche di mutuo sostentamento.
La decolonizzazione dell’ecopoesia potrebbe concretizzarsi nella riabilitazione di lingue indigene soppresse con la violenza. È possibile reperire tale approccio in varie letterature post-coloniali. Per esempio, il poeta Hugh MacDiarmid scoprì che le parole “watergaw” e “yow-trummle” del vernacolo scozzese descrivevano “ogni tipo di eventi e fenomeni naturali evidentemente mai registrati dalla mente inglese. Non esistono parole a loro corrispondenti in inglese” (Grieve, p.28). Un altro esempio è la parola Anishinaabe “puhpowee”, riscoperta da Robin Wall-Kimmerer, un’etnobiologa e un membro della tribù Potawatomi. Puhpowee è “la forza che fa spuntare i funghi dalla terra durante la notte” (2015). Questa parola rivela una comprensione dei processi naturali che sorpassa la padronanza della scienza occidentale, la quale è delimitata a tutti gli effetti da un vocabolario tecnico impreciso. Seppur non sia una poetessa, il lavoro di Wall-Kimmerer è stato portato avanti da poeti interessati al modo in cui il linguaggio influenza le percezioni socioculturali del mondo naturale e il comportamento verso di esso (vedere Keller).
Anche la teoria critica del genere ha contribuito all’ecopoetica. Femministe e teorici queer si sono adoperati per mettere a nudo e criticare i presupposti binari che sottendono le relazioni tra umanità e natura, e che gravitano attorno ai costrutti di uomo/donna, mente/corpo, intelletto/emozione e, ovviamente, cultura/natura. Anche se grande parte dell’ecofemminismo iniziale era profondamente essenzialista nella propria comprensione del genere, gli studi ecofemministi e queer più recenti hanno svelato le modalità in cui i dualismi gerarchici rinforzano lo sfruttamento di donne, persone queer e natura. Nell’ecopoesia, questo potrebbe significare prendere in considerazione sia le modalità in cui è stato assegnato un genere all’apprezzamento della natura e alla sua espressione, sia gli ostacoli che le scrittrici affrontano nella società patriarcale. Per esempio, una poesia di Lila Matsumoto offre una risposta all’opera di Dorothy Wordsworth, compresa la divisione del lavoro secondo il genere durante le escursioni a piedi con suo fratello William e Coleridge: “(gli uomini scrivono le loro poesie) … lei cerca dei cottage in cui possano ristorarsi e passare la notte”.
Come nella totalità degli studi femministi, i contributi femministi all’ecopoetica hanno coinvolto il recupero retrospettivo della scrittura femminile. Le moderniste anglo-americane H.D., Muriel Rukeyser e Marianne Moore sono state rivendicate dal movimento ecopoetico. Sia il tentativo di H.D. di risiedere in posizioni soggettive non-umane in “Oread”, sia l’attenzione di Moore al movimento e ai punti di contatto tra i corpi e la materia in “The Fish” evitano completamente l’esperienza dell’Io lirico (Fisher-Wirth and Street, p.40; p.48). Secondo la poetessa e curatrice Harriet Tarlo, il rifiuto dell’Io lirico “dominante” e “dominatore” è essenziale al fine di abbandonare gli strascichi del Romanticismo (Fisher-Wirth, cit. in Tarlo 2007). Nelle opere raccolte nella sua edizione straordinaria How2 Ecopoetry, le poesie resistono all’Io lirico tramite pezzi tradotti con voci multiple o tramite l’uso di frammenti di testo rinvenuti come forma di pratica ecologica modellata sul riciclo. L’ecopoesia si trasforma, dunque, da un movimento tardo-romantico a uno tardo-modernista. Si utilizzano innovazioni formali e pratiche concettuali per snaturare il linguaggio della “natura”, per rivelare interdipendenze socio-ambientali e per modellare relazioni ecologiche. Secondo Lynn Keller, “la poesia sperimentale … potrebbe contribuire a modificare il nostro senso delle relazioni tra umani e non-umani, allontanandolo dall’antropocentrismo, e aumentare il nostro senso di affinità con le altre forme di vita.”
Nell’atto di oltrepassare le barriere dell’immaginazione, la poesia sperimentale condivide terreno e tecniche sia con l’ecopoetica della disabilità sia con quella queer. Attraverso opere multimediali, la collaborazione e le rappresentazioni artistiche, i poeti mettono in scena incontri tra corpi che trasgrediscono le forme normative d’intimità (vedere Kuppers e Leto). Come afferma Angela Humes, “le intimità nonnormative sono il pane quotidiano dell’ecopoetica della disabilità, una poetica d’interrelazione tra umani e ciò che è altro dall’umano su un sentiero condiviso.” Con ecopoetica, qui si intende un orientamento verso i corpi e la materia che può svolgersi in una miriade di modalità, spesso inaspettate, in poesie individuali o progetti creativi.
Si stanno coniando nuovi termini per meglio distinguere tra (od occuparsi ulteriormente di) diversi tipi di opere orientate all’ecologia, inclusa la biopoetica, la litopoetica (poetica della pietra, vedere Weishaus), idropoetica (influenzata dalle proprietà connettive dell’acqua), poetica dei meticci (creata attraverso gli scontri culturali e l’ibridazione nel contesto latinoamericano, vedere Vicuña), e infine ciò che Tarlo definisce “poesia del paesaggio radicale”, che si occupa di nuovi approcci alla rappresentazione del paesaggio. Molto probabilmente, l’ecopoetica rimarrà un termine generale riferito alla scrittura e alla pratica coscientemente ambientalista, anche se pur sempre un termine che scrittori, critici, curatori e lettori continueranno a mettere in discussione, a ridefinire e a trasformare.
NdT: Il termine entanglement (in inglese, “groviglio”) è un’espressione mutuata dalla fisica quantistica che indica in ambito ecocritico l’intreccio e l’assenza di separatezza tra esseri viventi (Cfr. Salvadori, Diego, Ecocritica: diacronie di una contaminazione, 2016, p. 684)
Biografia dell’autrice
Samantha Walton vive a Bristol, Regno Unito, è scrittrice, accademica e editor. Il suo libro di prossima pubblicazione, Everybody Needs Beauty: In Search of the Nature Cure (Bloomsbury UK, 2021; e di prossima pubblicazione anche in Italia per la casa editrice Ponte alle Grazie) esplora la storia culturale, la scienza e la politica della “natura che cura”. È membro del Research Center for Environmental Humanities dell’Università di Bath Spa e co-editor della rivista Green Letters: Studies in Ecocriticism di ASLE-UKI. Il suo saggio accademico più recente, The Living World: Nan Shepherd and Environmental Thought, è stato pubblicato da Bloomsbury nel 2020 e la sua raccolta di poesie, Self Heal, è stata pubblicata da Boiler Press nel 2018.
Biografia del traduttore:
Alessandro Macilenti è docente, traduttore, ricercatore indipendente e autore. Nel 2015 ha conseguito un dottorato di ricerca in letteratura italiana alla Victoria University of Wellington. È autore del saggio Characterising the Anthropocene: Ecological Degradation in Italian Twenty-First Century Literary Writing (Peter Lang Gmbh, 2018) pubblicato come volume della serie Studies in Literature, Culture, and the Environment. Collabora al progetto ZEST Letteratura sostenibile | FUSP in qualità di traduttore.
Dettagli descrittivi della pubblicazione originale
Walton, S (2018) ‘Ecopoetry.’ In: Castree, N, Hulme, M and Proctor, J.D, eds. Companion to Environmental Studies. Routledge, Abingdon, pp. 393-398. ISBN 9781138192201
Risorse per lo studio
Online
Ecopoetics. Pubblicato tra il 2001 e il 2009. https://ecopoetics.wordpress.com/
Ecotone. Pubblicato dal 2005. https://ecotonemagazine.org/
Epizootics Zine: Online Literary Journal for the Contemporary Animal. Pubblicato dal 2016. https://epizooticszine.wordpress.com/
Jonathan Skinner ha contribuito a Jacket2 con alcuni articoli: http://jacket2.org/commentary/jonathan-skinner
Stampa
Abs, P. ed. (2002). Earth Songs: A Resurgence Anthology of Contemporary Eco-poetry. Dartington: Green Books.
Dungy, Camille ed. (2009) Black Nature Poetry: Four Centuries of African American Nature Poetry. Athens: University of Georgia.
Corey, J. and G. C. Waldrep.(2012). The Arcadia Project: North American Postmodern Pastoral. Boise: Ahsahta.
Tarlo, H. ed. (2011). The Ground Aslant: Radical Landscape Poetry. Shearsman Books.
Bibliografia
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Dungy, Camille ed. (2009) Black Nature Poetry: Four Centuries of African American Nature Poetry. Athens: University of Georgia.
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