Gli abbiamo rivolto alcune domande per approfondire alcuni interessanti temi del suo libro:
Il titolo del suo libro 2 °C evoca l’impegno a non andare oltre l’incremento massimo di due gradi della temperatura globale entro il 2100. Il sottotitolo recita inoltre “Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia”, la sfida del clima si può realisticamente vincere dunque?
Considerando che le emissioni mondiali di anidride carbonica generata da combustibili fossili sono aumentate del 56% tra il 1990 e il 2013, la possibilità di un’inversione di tendenza fino a poco tempo fa sembrava piuttosto improbabile. Ma la situazione sta cambiando, e più rapidamente del previsto. Negli ultimi due anni si è infatti registrata una stabilizzazione delle emissioni segno di un progressivo disaccoppiamento tra crescita economica e produzione di CO2. Vedremo se, sotto la spinta dell’Accordo di Parigi, questo trend si accelererà consentendo di avviare la poderosa trasformazione necessaria per dimezzare le emissioni a metà secolo e per azzerarle nei paesi industrializzati.
Quali sono i nuovi scenari energetici del pianeta che concretamente possono essere realizzati in questo arco temporale?
La decarbonizzazione delle economie implica un deciso spostamento degli investimenti dal mondo dei combustibili fossili a quello delle rinnovabili, dell’efficienza, della mobilità sostenibile. Uno spostamento già in atto, che vede fortemente penalizzato il comparto del carbone, con grandi aziende minerarie sull’orlo del fallimento o già fallite. Gli scenari climatici impongono che oltre due terzi delle riserve di combustibili fossili non potranno essere utilizzati. Questo implica una seria riflessione anche per le multinazionali “Oil and Gas”, come la nostra Eni, che dovrebbero pensare seriamente a diversificare le proprie strategie. Un cambiamento che qualche gruppo, pensiamo a Statoil e Total, sta già avviando, ma che incontrerà forti resistenze.
In che termini ecodiplomazia, disruptive technologies e impegno etico del Papa rappresentano risposte efficaci?
Uno dei motivi dell’attuale cauto ottimismo nella lotta ai cambiamenti climatici risiede nella fortunata congiuntura che ha consentito di raggiungere gli importanti risultati di Parigi. Parliamo del forte impegno di alcuni paesi, Usa e Cina in testa e dalla disponibilità di una serie di tecnologie che nel corso dell’ultimo quinquennio hanno visto una riduzione dei prezzi tale da mettere in discussione il precedente sistema energivoro alimentato dai fossili. Pensiamo al successo delle rinnovabili e dei Led che si stanno imponendo sui mercati di tutto il mondo. O al boom della mobilità elettrica in arrivo.
Ma le trasformazioni tecnologiche e l’impegno dei governi sono stimolate dalla presa di coscienza diffusa dell’opinione pubblica. L’enciclica Laudato Sì ha svolto in questo senso un ruolo molto importante per la radicalità con cui ha associato le risposte alla sfida ambientale con quelle necessarie per aggredire le disuguaglianze sociali.
Le determinazioni raggiunte con COP21 sono davvero rassicuranti?
Si può dire che l’Accordo sul Clima di Parigi rappresenti l’inizio della fine dei combustibili fossili, proprio come il Protocollo di Kyoto aveva messo in moto la rivoluzione delle fonti rinnovabili.
Due impressioni rilasciate a caldo a Parigi raccontano, più di centinaia di analisi, il suo significato più profondo. Secondo Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International “l’accordo raggiunto mette l’industria dei combustibili fossili dalla parte sbagliata della storia”. Simmetrico il parere di Brian Ricketts, segretario di Eurocoal: “Saremo odiati, come lo furono un tempo gli schiavisti”.
Come è noto, l’accordo raggiunto prevede un impegno da parte di tutti i paesi del mondo ad evitare che l’incremento della temperatura del pianeta superi i 2 °C, possibilmente limitandolo a 1,5 °C rispetto al periodo preindustriale. Un obiettivo che implica non solo una decarbonizzazione spinta, ma anche l’adozione di soluzioni per eliminare CO2 dall’atmosfera, ad esempio arricchendo l’humus dei suoli.
L’importanza della COP21 è già stata colta dai mercati. Le istituzioni finanziarie stanno rapidamente rivedendo le proprie strategie. Morgan Stanley, ad esempio, ha predisposto un rapporto che indica i pericoli per gli investitori legati al mondo dei fossili e fornisce consigli sulle scelte da compiere nel nuovo contesto energetico.
Quali sono i settori che secondo gli impegni dei governi vedranno avanzamenti più significativi nei prossimi anni e in che termini?
La prima rivoluzione vincente è quella delle fonti rinnovabili. Basti pensare che, oltre tre quarti della variazione netta della potenza elettrica registrata in Europa tra il 2000 e il 2015 sono attribuibili all’energia verde. E che nel 2030 oltre la metà dell’elettricità europea verrà da sole, vento e altre fonti rinnovabili.
Il prossimo settore che verrà investito dal cambiamento riguarda la mobilità, con l’irruzione dei veicoli elettrici, connessi e condivisi. Anche in questo comparto è immaginabile che in molte parti del mondo il 50% delle vendite alla fine del prossimo decennio riguarderà le auto elettriche. Parallelamente il mondo dell’edilizia, molto inefficiente, vedrà un’accelerazione delle riqualificazioni energetiche “spinte”, con soluzioni innovative in grado di ridurre tempi e costi, con un’industrializzazione degli interventi.
In che modo può essere determinante una “fiscalità ecologica”?
Per garantire la celerità della transizione occorrerà generalizzare la penalizzazione delle emissioni di CO2, che attualmente viene perseguita attraverso sistemi nazionali di carbon tax o schemi sovranazionali come l’Emissions Trading System europeo. Considerato che il modello ETS finora è risultato piuttosto inefficace, è possibile che nell’arco di un decennio si arrivi ad una forma di carbon tax condivisa da un ampio numero di paesi.
Come cambieranno gli scenari urbani e la vita comune a partire dai prossimi anni, ci riferiamo a smart cities, mobilità, ecoarchitettura?
Le città rappresenteranno il cuore della trasformazione sia perché dovremo adattarci ai cambiamenti del clima, sia perché è proprio nei centri urbani che si registreranno i più incisivi tagli delle emissioni. Così, occorrerà prepararsi alle bombe d’acqua come alle ondate di calore, aumentando ad esempio le aree verdi e usando a questo scopo anche le coperture degli edifici. Gli edifici, d’altra parte, diverranno energeticamente sempre più “leggeri” arrivando in alcuni casi anche ad esportare energia, invertendo quindi l’attuale status di centri dissipatori di energia.
La mobilità rappresenta infine il settore nel quale aspettarsi i principali cambiamenti. Immagino un’espansione dei veicoli condivisi, con una crescente quota di quelli a trazione elettrica. Nella seconda parte del prossimo decennio si diffonderanno inoltre i veicoli senza guidatore, un’opzione destinata a ridurre il numero di auto su strada, a rendere inutili molti parcheggi e che al tempo stesso farà risultare sovradimensionate anche molte strade e autostrade.
Insomma, l’urbanistica dovrà reinventarsi: non si occuperà più dell’espansione delle città, ma della loro rigenerazione fortemente influenzata dalla variabile climatica.