Frankenstein Was a Vegetarian di Michael Owen Jones
/ Book Review
(Traduzione* della recensione di John Yunker apparsa su Ecolitbooks)
Non ha mai riecheggiato tanto spesso nella mia mente la frase “Siamo quel che mangiamo”, come da quando ho letto Frankenstein Was a Vegetarian di Michael Owen Jones.
Il libro comprende un’ampia selezione di saggi su diverse tematiche, tra cui: cosa mangiano i detenuti nel braccio della morte, quali sono i pasti che i politici preferiscono consumare mentre vengono fotografati o l’importanza culturale del comfort food.
Essendo vegano, sono stato attirato dal capitolo su Mary Shelley e la sua creazione, il romanzo Frankenstein. Frankenstein (lo scienziato pazzo) non era vegetariano, ma la creatura a cui è stata data la vita lo era e come.
Essere vegetariani agli albori del ‘800, per Mary e Percy Shelley, era come essere dei vegani ai giorni nostri. Trovo poco opportuno che Jones dedichi una cospicua porzione del saggio a Percy. Avrei voluto saperne di più su Mary e sui suoi genitori, anch’essi vegetariani, così come su cosa la spinse a creare un personaggio che aveva come unico desiderio quello di vivere in pace, anche se attorno a lui c’era solo violenza.
Ho scoperto che Percy protestò contro l’uso che veniva fatto dei terreni fertili, in gran parte dedicati alla nutrizione di bestiame che avrebbe fornito la carne per le classi più agiate. Anche se le sue ragioni avevano poco a che fare con gli animali, sono attuali oggi come allora. È importante ricordarlo perché gran parte di ciò che abbiamo ereditato dal movimento vegano affonda le sue radici nella storia.
Jones scrive: “Diverse credenze che hanno relazione con il cibo, immagini e simboli del ‘700 e del ‘800 hanno resistito fino ai giorni nostri. Non è strano che il mangiare carne venga ancora paragonato all’ingestione di un cadavere che, anche se cotto, contaminerebbe il ‘tempio’ del nostro corpo.” Usando le parole di Thomas Tryon (1691): “[Chi] mangia carne si rende Sepolcro dei Cadaveri delle Bestie”, un’immagine tutt’altro che estranea ai vegetariani moderni.
Jones dedica dei capitoli al linguaggio del cibo e al cibo come identità. Proprio su questo punto ho notato che, nonostante le ragioni di chi evita di mangiare carne per salvaguardare l’ambiente siano ben documentate, milioni di persone continuano a mangiare carne, non perché siano indifferenti alle sorti del pianeta, ma perché sono più preoccupati di come verrebbero visti dagli altri. Talvolta la carne viene associata alla mascolinità (Carol Adams), quindi un uomo deve essere coraggioso per non mangiare più carne.
E, come scrive Jones, gli americani hanno un rapporto profondamente insano con la carne…
Per quanto riguarda la carne, chi visita l’America rimane stupito dalla quantità di carne ingerita. Nel libro Domestic Manners of the Americans, Frances Trollope scrisse: “Consumano una quantità impressionante di bacon. Prosciutto e bistecche di manzo sono presenti dal mattino fino alla sera.” Lettere su lettere dal Vecchio Continente dicono: “Abbiamo mangiato carne tre volte al giorno”, in un’occasione un immigrato ha scritto “due volte al giorno”, temendo che i suoi lettori non avrebbero mai creduto che fosse la frequenza reale.
Nonostante ciò, le identità possono cambiare ed evolversi. Forse, con il tempo, vedremo nuovi archetipi eroici emergere quando torneremo a consumare solo verdure.
Jones scrive sul simbolismo legato al cibo: “Gli esseri umani adorano l’uso di metafore per poter parlare di qualcos’altro. Abbiamo fame di qualcosa, rendiamo tutto più saporito, gradevole, sminuzziamo, addentiamo o troviamo qualcosa di difficile da digerire.”
Qualsiasi persona interessata alle relazioni complesse e spesso contraddittorie con il cibo troverà questo libro piacevole e stimolante da leggere.
*Traduzione a cura di Fabrizio Chillemi Progetto tirocinio SSML | ZEST