Una volta molti leggevano Miller. Oggi sono rimasti in pochi. È il destino nefasto che attende gli scrittori di moda, e Miller, ahimè, lo è stato. Eppure quanta bellezza e sesso e pensiero in Tropico del cancro, della cui lettura tanto ho goduto, negli anni furenti delle passioni felici.
Ora lo sfoglio e penso: quanto scrive della scrittura, Henry Miller; la scrittura è in lui sempre ossessione. Come per molti. Solo che la sua è di quelle produttive, di cui dobbiamo ritenerci fortunati. Per i più, l’ossessione si traduce in posa decadente e sterile, si fa chiacchiericcio irritante. Tornando a Miller l’ossesso, si consiglia la lettura di un’antologia edita da minimum fax, Una tortura deliziosa (2003), che raccoglie dalla sua opera alcune cose che ha detto della scrittura. Tra tutte questa:
“La scrittura, come la vita stessa, è un viaggio di scoperta. L’avventura è di tipo metafisico: è un modo di accostarsi alla vita indirettamente, o di acquisire una visione totale piuttosto che parziale dell’universo. Lo scrittore vive sospeso tra il mondo superiore e quello inferiore: imbocca una strada per poter diventare lui stesso quella strada.”
(p. 151; da La saggezza del cuore, 1941, trad. it. di Bruna Tortorella)
C’è, in questo passo, tanto: la scrittura come itinerario metafisico, come strumento di conoscenza di sé senza rischiare di sprofondare in sé, come chiave d’accesso a diversi mondi senza rischiare di essere catturati in nessuno di essi. Poi Miller dice che lo scrittore coincide con la strada che percorre, con il viaggio. Come dire che tutto avviene durante, e non è detto si arrivi alla fine (o almeno non è questo il punto). E io sono d’accordo: la scrittura è tutta in questa indeterminatezza, in questa assenza di scopo, in questa eterna ricerca il cui senso è la ricerca stessa.
Si deve scrivere per scrivere, e non per diventare scrittori. Del resto Miller dice altrove ciò che pensa di certo modo di interpretare il ruolo, lo scrittore pecca sempre nel solito banale modo:
“Lo scrittore corteggia il proprio pubblico ignominiosamente quanto l’uomo politico o qualunque altro ciarlatano; gli piace tastare il gran polso, prescrivere ricette come un medico, conquistare un posto tutto per sé, essere riconosciuto come una forza, bere la coppa colma dell’adulazione, anche se questa dovesse essere rinviata di mille anni.”
(p. 17; da Sexus, 1949, trad. it. di Bruno Oddone)
Fonte foto The New Yorker
Photograph by Larry Colwell/Anthony Barboza/Getty.