Il genio della Natura per l’innovazione sostenibile
di Alessandro Bacci Bianciardi, PhD
Pronti, attenti, via! Economia circolare, economia ecologica, simbiosi industriale, bio-regionalismo, transizione ecologica, permacultura, eco-design, bioedilizia, costruzioni sostenibili, nature-based solutions, design rigenerativo, standard ecologici, agricoltura smart, energie rinnovabili, sistemi di gestione ambientale, capitalismo consapevole, resilienza industriale, Doughnut economics (economia della ciambella)… e chissà quanti altri mi sono perso. Tutti concetti e teorie considerati necessari per raggiungere questo strano sconosciuto: lo Sviluppo Sostenibile.
Sono quasi trent’anni di attività professionale che navigo ramingo in questo sempre più vasto mare di termini, ma non sembra esistere una bussola adatta. Mancano univoche definizioni e chiari obiettivi; i confini tra i concetti sono fumosi, si sovrappongono spesso e, soprattutto, mancano metodi e strumenti ben strutturati per metterli in pratica. In questa cacofonia di concetti si intravede tuttavia un filo comune. Sono tutti, alcuni più evidentemente di altri, imitazioni di processi che accadono in natura da milioni, in alcuni casi miliardi di anni. La natura, nel suo processo evolutivo, ha dovuto risolvere gli stessi problemi che ci affliggono: accesso a energia, acqua, alimentazione, comunicazione efficiente, risposta a crisi inaspettate e via dicendo. La natura infatti si rigenera, utilizzando risorse ed energie rinnovabili disponibili localmente; chiude le sue economie in modo da non creare rifiuti; è formata da sistemi, sottosistemi e sovrasistemi interconnessi e interdipendenti le cui entità comunicano e cooperano per essere resilienti di fronte alle crisi, mantenendo un equilibrio in cui tutti sopravvivono e prosperano.
Perché, quindi, invece di tirar fuori dal cilindro magico l’ennesimo concetto “verde” (spesso rimpastando quello già detto e ridetto in passato) per venderlo come sopraffina inventiva umana di nuove pletore di consulenti, non caliamo la maschera e consultiamo direttamente e apertamente quella che sembra essere la sorgente principale di tutti questi concetti? Per affinarli, renderli sinergici e magari trovarne di migliori. Perché non fare dei sistemi naturali, che spaziano dal batterio all’ecosistema, dall’ameba alla zebra, il nostro consigliere principale in materia di innovazione sostenibile? Consultereste una società di ricerca e sviluppo che ha quasi quattro miliardi di anni di esperienza nella risoluzione di problemi complessi legati alla sostenibilità? Perché la natura questo è: un processo evolutivo attraverso prove ed errori per adattarsi a un pianeta con risorse finite; forse l’unico esempio di vera sostenibilità che abbiamo e da cui possiamo imparare.
È questo lo scopo principale della cosiddetta progettazione ispirata dalla natura. Questo approccio lo si trova sotto diversi termini: design ispirato alla natura, imitazione dei sistemi naturali, biomimetica, biomimicry, biomimesi, biomimica; tuttavia lascio agli accademici la diatriba sulle differenze tra le varie definizioni e vado al nocciolo: si tratta di risolvere i nostri problemi prendendo ispirazione da come la natura li ha risolti. Da quando Janine Benyus, con il suo libro seminale del 1997 Biomimicry: Innovation inspired by nature, ha portato alla ribalta questa pratica emergente fatta di prodotti sviluppati con ispirazione naturale e metodi per elaborarli, si è assistito a una progressione geometrica in termini di pubblicazioni scientifiche sulla materia e registrazione di brevetti.
L’approccio metodologico generale può essere sintetizzato con il seguente algoritmo:
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Ho un problema da risolvere e identifico la funzione che me lo risolve (es.: devo rimuovere sedimenti da acqua inquinata, la mia funzione può essere: separare/filtrare solidi da liquidi).
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Esploro in natura le strategie naturali che risolvono tale funzione (es.: quali organismi filtrano solidi da liquidi?) e i meccanismi biologici associati a tali strategie (es.: membrane filtranti, forme idrodinamiche particolari).
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Trasformo il principio/meccanismo biologico in un principio di progettazione comprensibile e utile a un innovatore.
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L’innovatore utilizza tale principio per generare idee progettuali (nuovi sistemi filtranti).
Posso anche cambiare la sequenza suddetta e partire dall’osservazione di una specifica strategia naturale (2) che mi suggerisce un principio di progettazione (3) potenzialmente utile per risolvere uno specifico problema (1) sul quale l’innovatore si potrà cimentare (4).
Soluzioni ispirate alla natura popolano ormai svariati settori: superfici autopulenti e antibatteriche ispirate dalle microrugosità della foglia del loto e della pelle dello squalo; materiali più tenaci del Kevlar ispirati dalla tela del ragno; edifici che regolano passivamente la temperatura interna come i termitai; materiali che resistono agli impatti ispirati dalle spine del riccio e dalla buccia del pomelo; pale eoliche e ventilatori più efficienti che imitano la forma delle pinne delle megattere. E ancora: algoritmi genetici per ottimizzare le intelligenze artificiali; algoritmi dei comportamenti di api e formiche per creare software di gestione logistica ottimizzata e migliorare il controllo nell’Internet delle cose; robot ispirati da forme e fisiologie naturali. La lista è lunga.
In particolare, sebbene esistano solo alcune recentissime ricerche, mi auspico che la progettazione ispirata dalla natura possa avvalersi in futuro dell’intelligenza artificiale (peraltro prodotto a sua volta ispirato ai sistemi naturali) che, grazie all’accesso rapido a banche dati di informazioni biologiche, potrebbe generare una moltitudine di idee ispirate per settori di applicazione ancora inesplorati.
Detto questo, se la ricerca di base e applicata di progettazione ispirata alla natura ha toccato molteplici settori con successo, il salto dai dipartimenti di Ricerca e Sviluppo a quelli di Produzione e Commercializzazione ancora fatica ad avvenire. Complici i tipici ostacoli che si pongono di fronte alla commercializzazione di qualsiasi prodotto innovativo, con l’aggiunta di non aver ancora a disposizione macchinari di produzione a basso costo necessari a replicare a scala industriale certe soluzioni ispirate alla natura. Questo comunque nulla toglie al potenziale creativo e innovativo offerto dall’ispirarsi ai sistemi biologici.
Attenzione però: soluzione ispirata alla natura non coincide necessariamente con soluzione più sostenibile. La promessa iniziale di questo approccio all’innovazione è stata soprattutto quella di sviluppare prodotti più competitivi e non necessariamente più sostenibili; si sa, questo vuole il mercato, e un ritorno sugli investimenti che deve essere rapido e largamente maggiore di zero. Tuttavia, il potenziale per innovazione ispirata alla natura che sia anche e soprattutto sostenibile è alto; ma ovviamente ci vuole una giusta etica imprenditoriale che miri a un equo rapporto tra profitti e sostenibilità.
Solo poche tra le aziende più prosperose (parlo di colossi quali Google, Nike, Autodesk, Boeing) si concedono il rischio di investire in ricerca e sviluppo ispirata alla natura al fine di generare soluzioni più competitive e anche più sostenibili. Le altre mantengono un atteggiamento prudente e aspettano di vedere solide validazioni di ricerche e prototipazioni convincenti fatte in ambiente accademico, per poi eventualmente rischiare e saltare sull’onda. Esistono start-up di prodotti ispirati alla natura, ma, a mia conoscenza, non riescono ancora a sbarcare il lunario. Non mancano neanche i furbetti del ‘greenwashing’, in questo caso direi del ‘bio-inspired washing’, che creano auree di sostenibilità intorno ai loro prodotti brandizzandoli come “ispirati alla natura” anche se l’ispirazione si limita a tingerli di verde, a dar loro forme vagamente organiche o a produrli con materiale naturale.
Nella visione della Benyus, la natura può essere consultata in tre modalità: come modello per fare innovazione, come misura al fine di valutare prodotti e processi comparandoli con principi naturali per determinarne il grado di allineamento con questi ultimi (e di conseguenza un certo livello di sostenibilità) e anche come mentore, per suggerirci nuove etiche di sostenibilità e armonia con gli ecosistemi che ci circondano. È auspicabile che entrambe le modalità vengano integrate durante il processo di progettazione ispirata alla natura.
Università di tutto il mondo (che in Italia si contano ancora sulle dita di una mano) si stanno attrezzando con corsi e laboratori di progettazione ispirata, nei quali tuttavia si focalizzano sulle modalità modello e misura tralasciando completamente l’aspetto della natura come mentore.
Ho facilitato sessioni di ideazione ispirata alla natura dagli studenti liceali fino ai ricercatori universitari e imprenditori di azienda. I risultati sono ovviamente diversi, ma due aspetti emergono ogni volta: primo, la sorpresa dei partecipanti di come la natura possa farci pensare out-of-the-box e quindi migliorare la nostra capacità creativa; secondo, l’unanime commento: “Guardare alla natura ha senso; ma perché non lo abbiamo fatto prima?”. Non vi è dubbio: noi siamo natura e prendere ispirazione da questa appare essere ovvio.
Vedo quindi nell’approccio ispirato alla natura una concreta opportunità non solo per produrre innovazione sostenibile, ma anche per riconnetterci con la natura, sanando questo distacco cominciato agli albori della civiltà umana e sempre più accentuato nei millenni, che ci ha portato alle odierne crisi ecologiche globali. Senza nulla togliere alle pratiche di riconnessione con la natura tipiche dell’ecopsicologia e dell’educazione alla sostenibilità, ritengo che più ci ispiriamo coscientemente alla natura, più la apprezziamo e ci riconnettiamo, rendendoci conto di quanto sia importante preservarla e co-evolvere con questa.
Per questo fine c’è bisogno di espandere l’educazione all’approccio ispirato alla natura (nelle sue tre modalità suddette) in tutti i livelli educativi. Non solo nelle università, ma dagli asili ai licei. Rivedere i curricoli scolastici per introdurre anche brevi ma importanti momenti di pratica ispirata alla natura, per giocare e creare con la natura.
Sogno nuove generazioni di ingegneri, architetti, chimici, economisti e imprenditori, ma anche di politici e governanti che portano il genio inventivo della natura al tavolo di progettazione e nelle sale riunioni. Che si tratti di tecnologia, educazione, organizzazione e gestione della pubblica amministrazione e delle imprese o di piani di sviluppo economico e sociale, la natura è una saggia consigliera da interpellare, come già Leonardo da Vinci aveva compreso. Nelle sue parole: “Ancorché lo ingenio umano faccia inventioni varie, rispondendo con vari strumenti ad un medesimo fine, mai esso troverà inventione più bella, né più facile né più brieve della natura, perché nelle sue inventioni nulla manca e nulla è superfluo.”
È tutto là fuori; basta far tacere un po’ la nostra intelligenza e passeggiare nella foresta per osservare e ascoltare.
Alessandro Bacci Bianciardi è un ingegnere ambientale con quasi 30 anni di esperienza in identificazione e gestione di progetti ambientali e di sviluppo sostenibile. Ha lavorato per e all’interno di organizzazioni internazionali come il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) e la Commissione Europea, nonché per ONG e società di consulenza. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in Ingegneria Meccanica (su approcci alla progettazione bio-ispirata) presso il Politecnico di Milano; un Master in Biomimicry presso l’Arizona State University e un certificato per l’Educazione alla Sostenibilità presso lo Schumacher College (UK). Nel 2013 ha co-fondato Planet s.r.l., società dedicata all’innovazione bio-ispirata per aziende ed il Biomimicry Italia, network affiliato al Biomimicry Institute (USA), con l’obiettivo di promuovere la bio-ispirazione in Italia attraverso attività educative per le scuole e la società civile.