Il rifiuto di obbedire | Lev Tolstoj
a cura di Francesco Codello | Eleuthera 2019
Il rifiuto di obbedire: Tolstoj, oltre alle celebri opere di narrativa, ha scritto anche innumerevoli saggi, come testimonia la sua sterminata produzione letteraria ora raccolta in novanta volumi. Questa antologia propone una selezione di scritti sociali e politici nei quali emerge in modo netto la sua sensibilità libertaria. È infatti a partire da un totale rifiuto del potere e della sua intrinseca violenza che Tolstoj delinea un’originale visione anarchica della società, peraltro strettamente intrecciata a una religiosità cristiana molto lontana da quella delle Chiese istituzionalizzate. Di straordinaria attualità risultano le sue riflessioni sulle pratiche educative antiautoritarie, sulla nonviolenza (alla quale si ispira lo stesso Gandhi) e su temi come il vegetarianesimo o il rapporto uomo-natura che ne fanno un animalista e un ecologista ante-litteram. In questi scritti «eretici», Tolstoj dà voce a quell’esigenza morale che a suo avviso deve portare il singolo a non obbedire ad alcun potere esterno alla sua coscienza, tracciando così un inedito cammino verso la libertà, profetico per i suoi tempi e di estrema attualità per i nostri.
per gentile concessione della casa editrice vi proponiamo la lettura integrale della splendida introduzione di Francesco Codello
(tutti i diritti riservati)
Introduzione
di Francesco Codello
«Ho letto Kropotkin sul comunismo. Ben scritto e buoni concetti, ma stupefacente per l’intima contraddizione: per far cessare la violenza di alcuni uomini su altri uomini, bisogna impiegare la violenza. Il punto è questo: come far sì che gli uomini cessino di essere egoisti e violenti? Secondo il loro programma, per il raggiungimento di questo obiettivo occorre impiegare nuova violenza»1.
Ecco come Lev Nikolaevič Tolstoj (1828-1910), il grande scrittore russo, il famoso autore di grandi e intramontabili opere narrative, interrogava l’anarchismo. Eppure, nonostante le critiche forti e risolute che muoveva all’idea anarchica, Tolstoj era, ed è, considerato un pensatore sostanzialmente anarchico. Che lo sia sempre stato, oppure che lo sia diventato nella seconda parte della sua vita, è questione di non strategica importanza in questo contesto. Attorno a queste due possibili interpretazioni si sono cimentati diversi autori (critici letterari, storici o politici), e quel che mi pare di poter affermare è che una sensibilità libertaria del grande scrittore russo, pur avendo avuto esplicita manifestazione a un certo punto della sua vita, può essere rintracciata, in nuce, già nei suoi due più famosi romanzi: Guerra e pace e Anna Karenina2. In ogni caso, il fatto che il pensiero di Tolstoj possa legittimamente essere definito come anarchico, proto-anarchico o libertario, è un’interpretazione che accomuna tutti gli studiosi.
Anarchico dunque, ma di un anarchismo specifico, particolare, diverso sicuramente, per certi tratti che vedremo, da quello degli altri pensatori «classici» di questa idea. Infatti, se la critica allo Stato e al Potere, alla concezione «sviluppista» dell’economia, alla proprietà privata, all’educazione autoritaria e alla scuola istituzionalizzata, alla funzione repressiva della religione ufficiale, al militarismo e a ogni forma di esercito, alla nozione di patria e di patriottismo, al socialismo statalista, all’uso antropocentrico della natura e degli animali, se tutto questo (e altro ancora) può essere riconosciuto come patrimonio comune dell’anarchismo, per altre caratteristiche il suo pensiero si differenzia, in modo anche radicale, da quello tradizionalmente considerato come libertario. Tuttavia questo aspetto, lungi dal rappresentare un limite (anche se può esserlo), costituisce in realtà un utile e quanto mai significativo contributo a un pensiero anarchico non rigidamente rinchiuso in presunte inossidabili certezze.
Molti pensatori e militanti libertari hanno scritto e commentato le idee di Tolstoj fin dai primi momenti in cui queste hanno fatto la loro comparsa sulla ribalta internazionale. Il «tolstoismo» è stato presente in maniera significativa anche nel dibattito politico e cultural-religioso italiano3.
Nel 1900, a firma Étudiants socialistes révolutionnaires internationalistes, appare a Parigi un opuscolo dal significativo titolo Tolstoïsme et l’Anarchisme4 in cui viene appunto affrontata la questione del possibile rapporto tra pensiero anarchico e quello che ormai viene chiamato tolstoismo. Gli autori della brochure, dopo aver constatato come il pensiero tolstoiano si sia ampiamente diffuso in Europa e abbia offerto varie sponde a un certo numero di gruppi rivoluzionari, denunciano il ruolo deviante che a loro avviso il suo pensiero ha incarnato, soprattutto in Russia, in quanto fautore di una prospettiva controrivoluzionaria. E concludono: «In sintesi, noi pensiamo che la propaganda di Tolstoj abbia un’utilità teorica incontestabile, soprattutto quando attacca con vigore il militarismo e lo Stato. Ma essa contiene, a nostro avviso, anche dei gravi pericoli. […] Tolstoj, che critica con tanta asprezza e vigore i pregiudizi e le istituzioni, fa una propaganda che devia dal socialismo e dalla rivoluzione. Egli è forse un eccellente cristiano della Chiesa primitiva, ed è certamente un grande scrittore, e un pensatore, ma non è, in nessun caso, un anarchico comunista e rivoluzionario»5. Sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda, si troveranno, seppur con accenti diversi e sfumature non omogenee, molti altri pensatori e militanti anarchici italiani come Pietro Gori, Luigi Fabbri, Luigi Galleani, Errico Malatesta, Camillo Berneri e molti altri6.
Nel 1905 usciva a Londra l’opera di Pëtr Kropotkin Ideals and Realities in Russian Literature, nella quale il rivoluzionario russo dedicava un capitolo proprio a Tolstoj. In quel capitolo Kropotkin esprimeva le sue opinioni sul Tolstoj letterato ma anche sulla dimensione più complessiva del suo pensiero. La prima osservazione, di estrema attualità, la fa a proposito di due opere giovanili di Tolstoj, Infanzia e Adolescenza, in cui l’autore coglie bene la profondità delle intuizioni tolstoiane rispetto ai temi educativi. Scrive infatti Kropotkin: «L’infanzia è un periodo della vita del quale molti autori si sono occupati con grande successo. Eppure, nessuno forse ha così ben descritto la vita dei ragazzi dall’interno, cioè dal loro punto di vista, come Tolstoj. In lui è il ragazzo stesso che esprime i suoi sentimenti infantili, e lo fa in modo tale che il lettore è costretto a giudicare gli adulti dallo stesso punto di vista del ragazzo»7. In effetti, a partire proprio da questi iniziali capolavori letterari, Tolstoj elaborerà con anticipo (secondo solo a William Godwin) quelle che saranno le idee base, tuttora riconosciute, su cui si svilupperanno nel tempo le esperienze di scuola libertaria e l’approccio antiautoritario all’educazione e alla scuola. Sarà proprio il tema dell’educazione, infatti, che avvicinerà per primo la sensibilità dello scrittore russo alle idee dell’anarchismo8. L’altra grande fonte di ispirazione filosofica che caratterizzerà la sua scelta di un radicalismo antiautoritario sarà la sua particolare ed estrema lettura della figura di Gesù9.
Kropotkin però coglie, nelle sue opere, anche altri aspetti centrali del pensiero di Tolstoj e li interpreta in chiave libertaria: la denuncia dei mali della cosiddetta civiltà e il bisogno di un ritorno alla natura con l’abbandono di tutte quelle artificiosità che «chiamiamo vita civile»; la potente condanna della guerra e la rivalutazione del ruolo delle masse a scapito del singolo eroe nel progresso della storia; il tentativo di liberare il cristianesimo da ogni gnosticismo e misticismo e di descrivere Dio come la vita, o «come l’amore, o in generale come l’ideale, di cui l’uomo è cosciente in se stesso»; la lotta contro lo Stato, la Chiesa, il governo in quanto tale, i dogmi religiosi, le disuguaglianze sociali, il sistema capitalistico. E inoltre: l’incitamento alla disobbedienza civile; a una visione non antropocentrica e più rispettosa degli altri esseri viventi; alla costruzione di una società decisamente più semplice e umana. Rispetto alla questione della «non resistenza al male», concetto fondamentale nell’elaborazione di Tolstoj che ispirerà anche la vita di Gandhi10, Kropotkin – diversamente da altri anarchici – sottolinea che essa non va letta come il rifiuto di lottare contro le ingiustizie ma, piuttosto, come un’esortazione a non contemplare la violenza nelle lotte, peraltro giuste e sacrosante: si tratta cioè «della non resistenza al male con la violenza»11.
Anche Max Nettlau evidenzia in modo positivo il notevole apporto di Tolstoj al pensiero anarchico, soprattutto in Russia, e ribadisce le stesse sottolineature fatte da Kropotkin rispetto alla teoria della «resistenza al male» come una forma di lotta, di disobbedienza civile, di rifiuto di scelte autoritarie, di condanna della violenza dello Stato e dei governi. Tolstoj, secondo Nettlau, «non ha detto: sottomettetevi al danno che vi si causa o porgete l’altra guancia dopo aver ricevuto uno schiaffo, bensì: non fate ciò che vi si ordina di fare, non prendete il fucile che vi si dà per uccidere i fratelli». Inoltre, nel pensiero tolstoiano si trova il riconoscimento della forza che il bene, la bontà, la solidarietà possiedono. Si tratta, in altre parole, di un’energia veramente rivoluzionaria che ci appartiene e che deve pertanto essere incoraggiata a esprimersi al posto della malvagità e della sopraffazione. L’unica cosa che Nettlau lamenta è l’uso che Tolstoj fa della terminologia religiosa, che inevitabilmente confonde il popolo: «Ha errato perché […] le religioni sono state sempre uno strumento della reazione che perseguita coloro che le combattono a fondo»12. La maturità del grande romanziere russo è invece caratterizzata, secondo Gustav Landauer, dall’aver acquisito «la saggezza di un profeta e di un santo». La sua implacabile lotta contro i governi, gli Stati, le Chiese istituzionalizzate e ogni sorta di violenza dell’uomo sull’uomo e su tutti gli esseri viventi, sono esemplari verità che Tolstoj ha annunciato sistematicamente. Ma, sempre secondo Landauer, non bisogna scordare che la robustezza del suo pensiero sta molto nella capacità di cogliere l’importanza di una coerenza tra mezzi e fini: «Egli ha chiaramente dimostrato che il fine, la nonviolenza, è contemporaneamente il mezzo per conseguire questo fine», che ogni forma di dominio esercitato tramite la violenza può essere spazzato via solo quando ciascuno di noi cesserà di esercitare ogni sorta di violenza nei confronti degli altri e di se stessi13. Per Landauer, dunque, non solo Tolstoj è un grande pensatore ma proprio gli anarchici dovrebbero fare tesoro delle sue idee sulla nonviolenza: «Gli anarchici dovrebbero comprendere che il fine non può essere raggiunto se il mezzo non comprende già il fine stesso. Non si arriverà mai alla nonviolenza con la violenza. L’anarchia esiste solo là dove ci sono gli anarchici, dei veri anarchici, cioè degli individui che non esercitano più nessuna violenza. Dicendo ciò, non dico niente di veramente nuovo: è ciò che Tolstoj ci ha detto da molto tempo»14.
L’importanza che Tolstoj riveste tra gli anarchici è dunque ben sottolineata da questi interpreti (e attivi militanti) dell’ideale anarchico. A essi si può aggiungere anche Rudolf Rocker che non teme di evidenziare come il pensiero tolstoiano, tra le tante intuizioni libertarie che ha espresso, non si sia dimenticato di denunciare il colonialismo economico e l’imperialismo culturale che l’Europa e l’intero Occidente hanno messo in campo nei confronti di altri paesi più poveri15. Ma anche come il modello di sviluppo proprio del capitalismo sia stato imposto con la forza all’esterno del continente europeo e come, nei fatti, lo stesso capitalismo e lo sviluppo della tecnica non siano stati in grado di soddisfare le profonde aspirazioni di quegli uomini e quelle donne che coltivavano il sogno di una società più giusta e più libera. Per Rocker, Tolstoj non è dunque stato «un riformista, e infatti non rientra tra coloro che vogliono guarire il male con dei piccoli miglioramenti. Il suo pensiero è rivolto contro il fondamento stesso di questa società moderna: combatte l’essenza e non la forma di questa sedicente civiltà»16.
Nell’Encyclopédie anarchiste, alla voce «Tolstoïsme» si può leggere una corposa sintesi dell’evoluzione teorica di Tolstoj, delle sue convinzioni in ambito politico, economico, religioso ecc., e si afferma con decisione che egli debba essere sicuramente annoverato tra i pensatori anarchici17. Il maggior teorico (e militante) dell’individualismo anarchico, E. Armand (pseudonimo di Lucien-Ernest Juin), lo annovera tra i suoi principali punti di riferimento, assieme a Benjamin Tucker e Henry David Thoreau, soprattutto nel significato da attribuire alla concezione tolstoiana di non resistenza al male con la violenza, sostenendo questa forma di lotta e sottolineandone anche le implicazioni concrete18.
Come si può capire, esiste un filo rosso che unisce le riflessioni di questi autori anarchici nel giudizio sostanzialmente positivo del pensiero di Tolstoj, del suo legittimo anarchismo. Ma altri pensatori altrettanto autorevoli che hanno militato nelle file del movimento anarchico internazionale tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento hanno espresso critiche anche molto severe nei confronti dello scrittore russo. Errico Malatesta e Luigi Galleani, in modo particolare anche se con accenti diversi, non hanno esitato a criticare aspramente le implicazioni negative che le teorie tolstoiane sulla nonviolenza e sulla religione cristiana avrebbero sul processo di trasformazione rivoluzionaria della società19. Una posizione intermedia è rappresentata da Luigi Fabbri, il quale sceglie di privilegiare i punti di contatto tra il pensiero anarchico e quello tolstoiano. Poco importa, sostiene Fabbri, che il pensiero di Tolstoj dalle premesse decisamente libertarie sia poi giunto a un «ingenuo» concetto di non resistenza al male. Ciò che conta è che, in sostanza, il suo pensiero è sicuramente più vicino all’anarchismo di quello di altri riformatori sociali20.
Ma è lo stesso Tolstoj che precisa in modo esplicito il proprio rapporto con l’anarchismo in alcuni pensieri tratti dai suoi Diari: «Una volta l’anarchismo era impensabile. Il popolo voleva adorare e star sottomesso e i governanti erano certi della loro vocazione. […] Ora invece il popolo non adora più, e non solo non vuole star sottomesso ma vuole essere libero. […] I popoli […] non sono più disposti a sopportare il potere, vogliono la libertà, la completa libertà»21. Ma chiarisce subito che il suo anarchismo è peculiare, specifico, personale: «Mi considerano anarchico, ma io non sono anarchico, sono cristiano. Il mio anarchismo è solo l’applicazione del cristianesimo ai rapporti tra gli uomini. Così per l’antimilitarismo, il comunismo, il vegetarianesimo»22. Questi riferimenti espliciti all’idea anarchica collocano Tolstoj in una posizione particolare, dialettica, relativa, ma i contenuti che esprime in tutta la sua opera non possono che essere annoverati, per la gran parte, tra quelli specificamente anarchici, soprattutto nella denuncia del ruolo dello Stato e dell’inutilità di sostituire un governo con un altro, e nella critica tanto dell’ipotesi marxista di potere quanto di quella liberale23.
Naturalmente la discussione all’interno del mondo anarchico e libertario non si esaurisce qui. Tanti altri esponenti di questo mondo si sono interrogati sul significato delle idee tolstoiane, sul «tasso di anarchismo» delle sue convinzioni, sulla valenza più o meno rivoluzionaria delle sue denunce. È altresì indiscutibile che il pensiero di Tolstoj abbia avuto, e ancora abbia, molti seguaci e a esso si siano ispirati veri e propri pionieri di comunità tolstoiane alternative alle forme di vita dominante e di organizzazioni sociali sperimentali a carattere libertario24.
Tolstoj, dunque, ha in comune con il pensiero anarchico diverse e fondamentali idee che vengono però sostenute attraverso una lettura estremizzata e poco consueta del messaggio contenuto nel Vangelo. Gesù e la sua predicazione sono alla base della sua profezia anarchica. Anzi, come lo stesso scrittore russo ha ribadito, il suo pensiero filosofico, religioso e politico non è altro che una traduzione in questi ambiti della predicazione evangelica. Rimangono però aperte due grandi questioni: la centralità della fede religiosa e la nonviolenza, le quali hanno caratterizzato, come abbiamo sommariamente visto, le discussioni, le critiche, gli apprezzamenti, le adesioni, le denunce che i militanti e i pensatori anarchici hanno più volte sollevato.
La religione di Tolstoj è sostanzialmente un’etica universalizzata: «Questa religione c’è e noi tutti la possiamo conoscere, se soltanto evitiamo di nascondere a noi stessi i suoi imperativi, imperativi che ci sembrano esagerati e impossibili perché si oppongono direttamente a tutto il nostro sistema di vita e smascherano i vizi e i crimini abituali della nostra vita. Tale religione ci fu sempre e c’è oggi: essa è nei veda, nel confucianesimo, nel taoismo, nell’insegnamento dei sapienti romani e greci, nell’islam, nel bahaismo e nel cristianesimo; è nelle dottrine di Rousseau, Pascal, Kant, Schopenhauer, Emerson, Ruskin, Lamennais, e molti altri, e cosa principale è nel cuore e nella mente di ogni uomo del nostro tempo. […] Tutto il credo consiste in questo, come fu detto da Cristo e da tutti i sommi maestri del mondo: nel fatto che per avere coscienza del principio divino in se stessi e riconoscerlo in tutte le persone, bisogna amare tutti e non fare a nessun uomo ciò che non vuoi che sia fatto a te»25.
Questa fiducia nelle naturali virtù del popolo, dei contadini russi in particolare, seppur ammantata di un certo ottimismo naturalistico, non gli ha però impedito di denunciare i grandi livelli di corruzione che il Potere (nelle sue varie articolazioni) riesce a produrre negli animi e nei costumi delle singole persone26. Ma questa sua fede idealistica non gli ha compromesso neppure la volontà di proclamare la necessità di ribellarsi, in tutti gli ambiti della vita quotidiana, a ogni forma di dominio e di repressione. Lui stesso, in vari momenti della sua tormentata esistenza, non si è sottratto ad azioni di rifiuto di quei valori e comportamenti che contrassegnavano la società dell’epoca. «Non posso tacere!» è forse il mantra che riassume bene il suo sguardo obliquo verso il Potere27. La lotta che Tolstoj conduce contro ogni forma di dominio è sempre caratterizzata da una scelta morale. Per Tolstoj l’autorità, ogni forma di autorità, non è altro che il mezzo per forzare un uomo ad andare contro i suoi desideri, e contrasta con l’influenza spirituale, che viene invece salvaguardata dalla critica tolstoiana. La relazione fondata su una gerarchia autoritaria incoraggia l’ipocrisia, intesa non come una mera spinta ad agire contro i propri convincimenti ma come il recitare una parte nascondendo la propria identità.
Tolstoj conosce bene il contributo originale che l’anarchismo ha prodotto e ne condivide fino in fondo la critica radicale mossa verso ogni forma di dominio, ma indica anche quali sono i limiti, a suo giudizio, dell’intero impianto filosofico che ne anima l’essenza. Scrive infatti a questo proposito: «Tutti i teorici anarchici, uomini eruditi e intelligenti, da Bakunin e Proudhon fino a Reclus, Stirner e Kropotkin, che hanno dimostrato in maniera irrefutabile l’illogicità del potere, quando si mettono a parlare dell’organizzazione della vita sociale, al di fuori delle leggi umane che essi negano, cadono nel vago, nella loquacità, nella retorica e si lanciano nelle congetture più fantasiose. Ciò deriva dal fatto che questi teorici anarchici disconoscono la legge divina, comune a tutti gli uomini; mentre al di fuori della sottomissione a una sola e medesima legge, umana o divina che sia, nessuna società può esistere. Non è possibile dunque liberarsi della legge umana, se non a condizione del riconoscimento della legge divina, a tutti comune»28. Come si vede, dopo aver citato alcuni tra i principali pensatori anarchici, Tolstoj contesta la validità delle idee anarchiche quando queste sono chiamate a rispondere in positivo, nel prefigurare cioè un modello di organizzazione sociale alternativo a quello dominante. Pertanto assume e fa proprie le critiche al potere, ma lamenta l’inconsistenza delle idee e delle proposte praticabili che possano suggerire nuove forme di relazioni sociali. Se, in parte, questa critica può essere giustificata, rivela però, al contempo, una non approfondita conoscenza del pensiero anarchico a lui contemporaneo. È strano infatti che ciò avvenga, se per esempio pensiamo a quanto ipotizzato da Proudhon (che pure lui conosce) in termini economici e sociali o alle teorie federaliste di Bakunin, così come sono state argomentate in opposizione al centralismo marxista. Ancor più ingiustificato è il suo atteggiamento se ci riferiamo a Reclus e a Kropotkin. Ma l’affondo più radicale Tolstoj lo porta in termini più strettamente filosofici. Per lo scrittore russo, come abbiamo visto, l’unica possibilità di negare la legge umana e tutti gli apparati istituzionali che ne conseguono risiede nell’abbracciare totalmente un’altra legge, ben più grande e universale, che sarebbe quella divina dell’amore universale. In nome e per conto di questa, e solo in questo modo, è possibile riconoscersi uguali e radicalmente non assoggettati al potere secolare.
La filosofia tolstoiana è una filosofia sostanzialmente morale, kantiana, che basa la sua universalità proprio sull’adesione al pensiero del Cristo. Come giustamente rileva Giampietro Berti, «l’anarchismo di Tolstoj appare molto più radicale di quello ‘tradizionale’, dal momento che il rifiuto di obbedire all’autorità investe proprio ogni comando umano»29. Ma, come è noto a tutti, perlomeno a quegli studiosi non in malafede o ignoranti del tema, anarchia non è sinonimo di anomia. Quindi anche senza il riconoscimento di un’unica «autorità» (seppur universalizzata), per gli anarchici è possibile organizzare una società sulla base di un libero accordo, peraltro sempre modificabile, che impegna moralmente tutti gli esseri che lo sottoscrivono.
Il pensiero anarchico classico e quello tolstoiano arrivano alle medesime conclusioni – rifiuto di ogni forma di dominio – partendo da presupposti etico-filosofici opposti. Per Tolstoj l’emancipazione umana è possibile solo a condizione di obbedire alla morale che Gesù ci ha tramandato e la fede in Dio è assolutamente necessaria a tal scopo: proprio per questo è possibile e legittima la disobbedienza all’autorità umana, perché viene dopo quella divina e la contraddice30. Inoltre, i comandamenti di Dio sono insiti nella natura umana, sono cioè immanenti, dunque i valori cristiani e i valori umani coincidono: «Il cristiano si affranca da ogni potere umano per il fatto che egli considera la legge dell’amore, innata in ogni uomo e resa conscia dal Cristo, come l’unica guida della vita»31. Per il pensiero anarchico classico, invece, è necessario, nel disconoscere ogni forma di dominio, partire proprio dalla negazione di ogni divinità.
L’enfasi posta da Tolstoj su un misticismo sapienziale, identificato nei grandi maestri religiosi sia occidentali che orientali, conduce il suo pensiero a valorizzare una tensione continua verso la perfezione. Grazie a questo atteggiamento di perfettibilità costante, l’essere umano si pone in modo critico nei confronti della vita terrena e di ogni forma di dominio, proprio perché aspira a un modello universale e religioso di bontà. Scrive Berti, sintetizzando il pensiero tolstoiano a questo proposito: «La vera vita dell’uomo consiste nel perseguire il più possibile quella divina. Mentre la vecchia interpretazione del cristianesimo dichiara la necessità di seguire delle regole, la vera dottrina di Cristo afferma l’aspirazione continua alla perfezione interiore. Essa ricorda agli uomini la possibilità effettiva di raggiungere tale stato perché l’anima umana contiene in sé questa inesausta potenzialità»32.
La scelta di fondo che il pensiero tolstoiano esprime è di carattere morale. Sulla base di un principio universale e naturale, la legge dell’amore, attraverso una continua coerente testimonianza di questa fede nella vita terrena, Tolstoj nega ogni valore a qualsiasi autorità secolare e a qualsiasi istituzione che pretenda di rappresentarla. Il suo tasso di anarchismo è pertanto identificabile nella sua priorità morale: la possibilità di cambiare radicalmente questa società corrotta e autoritaria si risolve prioritariamente nella rivolta morale che ogni individuo deve compiere. La dimensione della rivolta (individuale) è essenziale dunque a quella rivoluzionaria (collettiva): «Nulla si oppone all’affrancamento degli uomini quanto questo traviamento inconcepibile. Invece di spingere ogni uomo a liberarsi da se medesimo, cambiando il proprio concetto della vita, si cerca un modo generale esterno, e non si fa altro che incatenarsi più strettamente. Sarebbe come se, per fare del fuoco, si volessero disporre i pezzi di carbone in modo da farli accendere tutti in una volta»33. Queste considerazioni derivano dalla convinzione di quanto fossero pertinenti le intuizioni dell’umanista Étienne de La Boétie, che Tolstoj fa proprie. Grazie a quelle intuizioni è infatti possibile cogliere il livello di corruzione che la società attuale esercita nei confronti di ogni essere umano e, pertanto, indicare in un profondo cambiamento tanto interiore quanto delle scelte di vita quotidiana il grimaldello indispensabile per ogni vera e duratura trasformazione sociale. Tolstoj è un «educazionista», e infatti il suo approccio alla trasformazione sociale si sostanzia in un atteggiamento pedagogico che prima di tutto è autoeducazione di se stessi. L’ideal-tipo dell’anarchico educazionista è, schematizzando, riconducibile alle seguenti caratteristiche: ritiene che l’agente della trasformazione non sia la classe o il popolo, ma l’individuo; si rivolge a tutti gli individui indipendentemente dal loro stato sociale o professionale; è convinto che le cause del dominio stiano all’interno di una relazione di accettazione del dominio stesso; è persuaso che la presa di coscienza della propria condizione di subalternità non sia frutto di un cambiamento repentino ma richieda tempo e lavoro su se stessi; non è un legalitario ma privilegia la rivolta. Tradizionalmente l’anarchico «educazionista» ha però un atteggiamento complesso nei confronti dell’uso della violenza nel processo di trasformazione sociale. In questo, come vedremo, si differenzia da Tolstoj. Sostanzialmente egli ammette, in casi estremi e con la più alta cautela possibile, l’impiego di mezzi violenti per sconfiggere la violenza istituzionalizzata del potere34.
La questione cruciale che differenzia il pensiero di Tolstoj da quello dei classici dell’anarchismo è, come abbiamo visto, la legittimità dell’uso della violenza, seppur come inevitabile, resistente risposta alla violenza istituzionalizzata. Questa tematica riconduce a una caratteristica fondativa di tutto il pensiero libertario: la necessaria coerenza tra mezzi e fini. Per l’anarchismo, per ogni corrente anarchica, il fine non giustifica i mezzi ed è solo con determinati mezzi che è possibile conseguire uno specifico fine. La coerenza tra gli uni e l’altro è quindi la garanzia, non solo teorica ma soprattutto fattuale, che l’obiettivo perseguito possa essere conseguito. I mezzi, in altre parole, contengono il fine. Data questa premessa e applicata alla contesa intorno all’impiego della violenza, non c’è alcun dubbio che la ragione e la logica stiano dalla parte delle teorie tolstoiane. Tolstoj, inoltre, non si limita a fare un ragionamento in prospettiva, ma si sofferma anche sulla realtà che lo circonda. In molte occasioni egli infatti denuncia, senza esitazione, come la violenza perpetuata dalle istituzioni statali – ben più grave – sia all’origine della violenza delle rivolte, individuali e sociali, intenzionate a combatterla. La sua idea di non resistenza al male, fatta successivamente propria da tutti i movimenti che si ispirano alla nonviolenza, esemplifica in maniera chiara i suoi convincimenti etici e morali. Lottare è non solo giusto ma soprattutto doveroso: è l’imperativo morale per eccellenza per ogni individuo che voglia trasformare questo mondo corrotto e degenerato ed edificare un nuovo rapporto tra gli esseri viventi. La legge dell’amore – amare gli altri come tu vorresti essere amato – è la legge universale che presiede la filosofia morale tolstoiana. Anzi, l’unica forza in grado di sconfiggere la violenza dello Stato e della proprietà è proprio questo amore portato alle sue estreme e più radicali conseguenze. La violenza genera violenza: pertanto, se il fine è fondare una società fatta di relazioni nonviolente, è impossibile pervenirci, nonostante i soprusi subiti, attraverso l’uso di forme violente. Ma pur ammettendo che questo approccio è intrinsecamente logico, vien da dire che lo è su un piano squisitamente astratto. Se infatti ci troviamo, secondo il pensiero anarchico classico, di fronte a una violenza che sta per soffocare ogni nostro anelito di vita, noi reagiamo per tutelarci e per salvaguardare la nostra esistenza e il nostro diritto a esprimerci pienamente e liberamente. E ci opponiamo anche usando mezzi che non sono coerenti, in modo assoluto, con il fine che abbiamo. C’è dunque nell’anarchismo, con sfumature e sensibilità anche molto differenti, una consapevolezza diversa da quella tolstoiana a questo riguardo. Tolstoj istituisce la sua scelta morale sulla legge dell’amore universale per tutti, ma proprio tutti, gli esseri viventi. Il pensiero anarchico classico antepone alla legge dell’amore la volontà della libertà. Essere liberi è infatti il fine dell’anarchismo, e solo se si realizza questa condizione è possibile vivere relazioni d’amore. Mentre per Tolstoj l’amore è assoluto, cioè sciolto da ogni altro vincolo, per gli altri pensatori anarchici è la libertà degli uguali a costituire il fondamento del loro agire35. Se per assurdo (ma non troppo) un tolstoiano che lotta per la libertà fosse costretto a rinunciarvi (magari temporaneamente) pur di non rinunciare a praticare la legge dell’amore universale (la nonviolenza totale), verosimilmente lo farebbe. Ma come è possibile continuare a lottare per sé e per gli altri, per una società interamente liberata da ogni forma di violenza, se lo Stato e le sue istituzioni sopprimono con sistematica violenza ogni possibilità di realizzare questa stessa società? Ci sono situazioni, tempi, realtà che per essere sconfitti, e per poter essere sostituiti con altre forme di relazioni libertarie, inevitabilmente richiedono, se non altro per legittima difesa, l’uso di una qualche forma di forza. E qui si apre una discussione enorme che ha animato e anima tuttora ogni dibattito interno all’anarchismo36.
Per Tolstoj la libertà si realizza in modo pieno e assoluto solo nella pratica dell’amore universale; per il pensiero classico dell’anarchismo la libertà si concretizza solo nella medesima libertà degli altri, è una libertà di uguali. Per raggiungere la sua idea di libertà lo scrittore russo non è disposto a rinunciare alla legge dell’amore, mentre per l’anarchismo vale esattamente il contrario. La filosofia tolstoiana è di impronta individualistica, in questo simile a quella di tanti anarchici individualisti alla Armand. Sta infatti, in ultima istanza, a ogni singolo individuo abbracciare consapevolmente l’etica dell’amore e comportarsi di conseguenza. Il cambiamento sociale è d’altronde prima di tutto rivolta individuale. In questo senso, l’anarchismo religioso di Tolstoj costituisce sicuramente una componente, seppur non molto estesa, del pensiero anarchico37.
Nondimeno, se rispetto a queste due questioni – religione e violenza – si discosta radicalmente dalla maggior parte dei pensatori anarchici, continuiamo a considerare Tolstoj un libertario a tutto tondo. Le sue opere, la sua stessa tormentata vita, la fuga verso la morte, il suo impegno e i suoi scritti, sono lì a testimoniare questa profonda assonanza tra le sue idee e quelle anarchiche38. Ecco un’ulteriore testimonianza di quanto fin qui detto: «Perché si compia questo grande rivolgimento, occorre soltanto che gli uomini capiscano che lo Stato, la patria, sono una finzione, mentre la vita e l’autentica libertà sono una realtà; e che non bisogna sacrificare la vita e la libertà a quell’unione artificiosa chiamata Stato, ma bisogna, in nome della vera vita e della vera libertà, liberarsi dalla superstizione dello Stato e dell’obbedienza delittuosa che quella superstizione comporta per gli uomini. In questo cambiamento dei rapporti tra gli uomini e lo Stato, tra gli uomini e il Potere, consiste la fine del vecchio e l’inizio del nuovo secolo»39. È qui palese che la radicalità del pensiero e dell’azione di Tolstoj sia fuori discussione e che la sua avversione a ogni forma di dominio sia non solo conclamata ma riconosciuta e sottolineata da molti studiosi40.
La mole degli scritti tolstoiani è davvero enorme anche perché nel corso della vita egli ha affrontato molteplici questioni e ha indagato numerose prospettive. Quelle a cui abbiamo accennato (e che si trovano in parte in questo volume) sono le questioni di carattere più squisitamente libertario. In altre qui non toccate – come la funzione e l’importanza della scienza, la condizione e il ruolo della donna o la filosofia dell’arte – il suo pensiero riflette maggiormente i condizionamenti dell’epoca e, talvolta, è addirittura prigioniero di una visione conservatrice. Per queste ragioni non sono stati inseriti scritti su tali argomenti, che avrebbero richiesto una più approfondita discussione. La scelta dei brani pubblicati in questa antologia è ovviamente arbitraria e risente della volontà di far emergere quelle parti del pensiero tolstoiano che più esprimono, a giudizio del curatore, una visione libertaria e anarchica del pensiero di Tolstoj.
Note all’Introduzione
1. L. Tolstoj, I Diari (8 agosto 1907), Longanesi, Milano, 1980, p. 560.
2. Pressoché tutti gli storici dell’anarchismo hanno annoverato Tolstoj, seppur con sfumature diverse, tra i precursori di questa idea. Vedi, per esempio, quanto scrivono a questo proposito: P. Eltzbacher, L’anarchisme, V. Giard & E. Brière, Paris, 1902; M. Nettlau, Breve storia dell’anarchismo, L’Antistato, Cesena, 1964; G. Woodcock, L’anarchia, Feltrinelli, Milano, 1966; J. Préposiet, Storia dell’anarchismo, Dedalo, Bari, 2006; G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Lacaita, Manduria, 1998; P. Marshall, Demanding the Impossible. A History of Anarchism, Fontana Press, London, 1993; G. Ragona, Anarchismo. Le idee e il movimento, Laterza, Bari, 2013; R. Kinna, Che cos’è l’anarchia, Castelvecchi, Roma, 2010; P. Brunello, Introduzione, in L. Tolstoj, Una rondine fa primavera, Spartaco, Santa Maria Capua Vetere (CE), 2006. Per una visione complessiva della pensiero libertario di Tolstoj vedi: I. Adinolfi e B. Bianchi (a cura di), «Fa’ quel che devi, accada quel che può». Arte, pensiero, influenza di Lev Tolstoj, Orthotes, Napoli, 2011. Centrale nell’evoluzione del suo pensiero è: L. Tolstoj, La confessione [1884], Sugarco, Milano, 1979.
3. Cfr. A. Salomoni, Il pensiero religioso e politico di Tolstoj in Italia (1896-1910), Leo S. Olschki, Firenze, 1998.
4. Étudiants Socialistes Révolutionnaires Internationalistes de Paris, Le Tolstoïsme et l’Anarchisme, Éditions de l’Humanité Nouvelle, Paris, 1900.
5. Ibidem, p. 12.
6. Per una rapida consultazione delle critiche di questi pensatori nei confronti di Tolstoj vedi: P. Brunello, Introduzione, in L. Tolstoj, Una rondine fa primavera, cit., pp. 157-247. Lo scritto di Camillo Berneri, Pensando a Tolstoj, si trova in «Pensiero e Volontà», a. i, n. 19, 1 ottobre 1924. Vedi anche: A Salomoni, Il pensiero religioso e politico…, cit., pp. 175-223.
7. P. Kropotkin, La letteratura russa, Anarchismo, Catania, 1980, pp. 79-80.
8. Gli scritti tolstoiani sull’educazione e sulla scuola sono raccolti nei volumi xii e xiv delle Œuvres complètes, Stock, Paris, 1902-1923. Un’eccellente sintesi si trova in: L. Tolstoj, Textes pédagogiques, Fabert, Paris, 2016. In italiano si può leggere: L. Tolstoj, Quale scuola?, Emme, Milano, 1975 (poi Oscar Mondadori, Milano, 1978).
9. Cfr. L. Tolstoj, Il regno di Dio è in voi, Manca, Genova, 2003; Id., Il bastoncino verde, Servitium, Sotto il Monte (BG), 1998; Id, Sulla vita, Feltrinelli, Milano, 2018. Vedi anche: P. C. Bori, L’altro Tolstoj, il Mulino, Bologna, 1995.
10. Sul rapporto tra Tolstoj e Gandhi vedi innanzi tutto la loro corrispondenza: M. Semenoff (a cura di), Tolstoï et Gandhi, Denoël, Paris, 1958.
11. P. Kropotkin, La letteratura russa, cit., pp. 79-108.
12. M. Nettlau, Breve storia dell’anarchismo, cit., pp. 259-263.
13. G. Landauer, Lev Nicolaïevitch Tolstoj, «Der Sozialist», n. 23-24, 15 dicembre 1910. Ora in G. Landauer, La communauté par le retrait et autres essais, Éditions du Sandre, Paris, 2009, pp. 115-120.
14. G. Landauer, Pensée anarchistes sur l’anarchisme [1901], in aa.vv., Gustav Landauer un anarchiste de l’envers, L’éclat, Á Contretemps, Paris, 2018.
15. Scrive Tolstoj a questo proposito: «L’inconsapevole, ma talvolta anche consapevole, errore che commettono gli uomini difendendo la civiltà consiste nel fatto che quella civilizzazione, che è di per sé solamente uno strumento, essi la considerano invece uno scopo e la ritengono sempre e comunque un bene»; L. Tolstoj, Perché la gente si droga? E altri saggi su società, politica, religione, Mondadori, Milano, 1988, p. 539.
16. R. Rocker, Tolstoï prophète d’une ère nouvelle, «L’En Dehors», n. 287, ottobre 1935 (trad. it.: R. Rocker, Artisti e ribelli, Archivio Famiglia Berneri, Cecina (LI), 1996, pp. 62-68). Le idee tolstoiane a questo riguardo sono contenute, principalmente, in L. Tolstoj, Il regno di Dio è in voi, cit.; Id., Quel che si deve fare, infra pp. 97-103; Id., La schiavitù del nostro tempo, infra pp. 60-62; Id., Al popolo lavoratore, in Perché la gente si droga? E altri saggi su società, politica, religione, cit., pp. 312-353.
17. Cfr. F. Elosu, Tolstoïsme, in S. Faure (a cura di), Encyclopédie anarchiste, Édition La Librairie Internationale, Paris, 1926-1934, tome quatrième, pp. 2774-2776.
18. E. Armand et al., Actualité de Tolstoï, L’Unique, Orléans, 1961; E. Armand, Iniziazione individualista anarchica, Tip. di C. Mori, Firenze, 1956; Id., In memoriam, in Les Amis d’E. Armand, E. Armand. Sa vie, sa pensée, son oeuvre, La Ruche Ouvrière, Paris, 1964. Un altro esponente anarchico, il poeta ebreo tedesco Erich Mühsam, nel 1912, nel dare la sua interpretazione dell’anarchismo, scrive: «Il fatto che respingo la violenza aggressiva, per motivi simili all’anarchico Tolstoj, non autorizza nessuno a dubitare del mio carattere anarchico»; E. Mühsam, Anarchismo e comunismo, Leonhard Schäfer, San Casciano (FI), 2009, p. 10.
19. Cfr. E. Malatesta, Errori e rimedi. Schiarimenti, in L’anarchia, London, agosto 1896; L. Galleani, Leone Tolstoj 1828-1910, «Cronaca sovversiva», 2 dicembre 1910.
20. Cfr. L. Fabbri, Il pensiero anarchico in Leone Tolstoj, «Il Pensiero», 16 dicembre 1910.
21. L. Tolstoj, I Diari (2 luglio 1904), cit., p. 519.
22. Ibidem (24 agosto 1906), p. 541. George Woodcock riporta un appunto di Tolstoj nel quale si legge: «Tutti i governi sono in egual misura buoni e cattivi. L’ideale è l’anarchia»; L’anarchia, cit., p. 195.
23. Vedi in particolare L. Tolstoj, La fine del secolo [1905], infra pp. 158-161. Vedi inoltre: L. Tolstoj, Lettera ai liberali [1896], in Scritti politici, Sankara, Roma, 2005, pp. 25-38; Id., Sul socialismo [1910], in Il risveglio interiore, Incontri, Sassuolo (MO), 2016, pp. 181-190.
24. Solo come esempi vedi: W. D. Miller, Dorothy Day e il Catholic Worker Movement, Jaca Book, Milano, 1981; B. Bianchi, E. Magnanini e A. Salomoni, Culture della disobbedienza. Tolstoj e i Duchobory, Bulzoni, Roma, 2004; V. Bagrianski, Gli anarchici mistici russi, latradizionelibertaria.over-blog.it; J. Thacker, Whiteway Colony, Printed in uk, 1993; M. Bevir, La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900, «Rivista storica dell’anarchismo», a. 7 n. 1, gennaio-giugno 2000.
25. L. Tolstoj, Sulla pazzia [1910], in Sulla pazzia del nostro tempo e del mezzo per rinsavire, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2016, pp. 13-14.
26. Tolstoj è stato un grande estimatore (come ha scritto lui stesso molte volte) del pensatore francese Étienne de La Boétie e della sua straordinaria opera Discorso sulla servitù volontaria.
27. Cfr. L. Tolstoj, Non posso tacere [1908], Fratelli Treves, Milano, 1908.
28. L. Tolstoj, Il primo gradino e altri scritti, Manca, Genova, 1990, p. 154.
29. G. Berti, Il pensiero anarchico…, cit., p. 668.
30. Cfr. L. Tolstoj, Il regno di Dio è in voi, cit.
31. Ibidem, pp. 230-231.
32. G. Berti, Il pensiero anarchico…, cit., p. 672.
33. L. Tolstoj, Il regno di Dio è in voi, cit., p. 239.
34. Cfr. G. Manfredonia, Anarchisme & changement social, Atelier de création libertaire, Lyon, 2007.
35. Cfr. G. Berti, Il pensiero anarchico…, cit., pp. 667-670.
36. Impossibile qui dare conto del dibattito storico e attuale a questo proposito. Mi limito a segnalare due contributi: aa.vv., Violence, contre-violence, non-violence, «Réfractions», n. 5, primavera 2000; A. Bernard e T. Ibañez, Pour continuer le débat: néo-anarchisme et non-violence, «Réfractions», n. 41, autunno 2018. Vedi inoltre quanto più volte dibattuto su questo tema all’interno di «A rivista anarchica» (arivista.it), ma anche di altri giornali e riviste anarchiche.
37. Sulla relazione tra pensiero anarchico e religione vedi come introduzione: J. Ellul, Anarchia e cristianesimo, elèuthera, Milano, 1993; L. Apps e A. Christoyannopoulos, Anarchisme & religion, Atelier de création libertaire, Lyon, 2018.
38. Lo storico delle idee Isaiah Berlin scrive a questo riguardo: «Così, per vie proprie, Tolstoj arrivò a un programma di anarchismo cristiano che aveva molto in comune con quello dei populisti russi, dai quali del resto egli dissentiva soltanto per il loro socialismo dottrinario, la loro fiducia nella scienza e la fede nei metodi del terrorismo»; I. Berlin, Il riccio e la volpe, Adelphi, Milano, 1986, pp. 406-407.
39. L. Tolstoj, Perché la gente si droga? E altri saggi su società, politica, religione, cit., p. 554.
40. Riporto qui, come esempio, il giudizio di Isaiah Berlin: «Vorrei solo sottolineare come il programma di Tolstoj sia soprattutto un programma di azione, una dichiarazione di guerra ai valori sociali in auge, alla tirannia degli Stati, delle società, delle Chiese, alla brutalità, all’ingiustizia, alla stupidità, all’ipocrisia, alla debolezza e, più che mai, alla vanità e alla cecità morale»; I. Berlin, Il riccio e la volpe, cit., p. 407. Vedi anche, seppur attraverso la critica letteraria, l’analisi fatta da George Steiner, Tolstoj o Dostoevskij, Garzanti, Milano, 2005. Ricordo inoltre che anche autori come Serge Latouche, che hanno affrontato tematiche economiche, lo annoverano tra i propri punti di riferimento: S. Latouche, La decrescita prima della decrescita, Bollati Boringhieri, Torino, 2016.