“TACUINUM SANITATIS” (Introduzione alla Rubrica)
a cura di Federica D’Amato
I Tacuina sanitatis erano, nel Medioevo, dei manuali riguardanti la scienza medica legata alle proprietà di cibi ed erbe. L’intento era quello di compendiare, in brevi testi dal respiro divulgativo e precettivo, la funzione terapeutica di quanto la natura offriva, non solo in termini alimentari ed erboristici, ma anche – come diremmo oggi – “olistici”: cielo e terra erano legati dai doni di Dio, ed era in questi che bisognava risalire alla salute di corpo e anima, essi tra loro intimamente connessi dalla certezza della vita eterna. Qui, con le dovute differenze, si tenterà, all’insegna di brevità ed essenzialità, lo stesso scopo: risalire, attraverso la corrente carsica e divagante della poesia, la foce dell’umano, fino a giungere a quel guado del tempo dove la salute di quel che siamo veramente, e da sempre, ci attende.
7.
Poesia tratta dalla raccolta Sebastiano in sogno, in Trakl. Le poesie, Garzanti, Milano, 1983. Traduzioni a cura di Vera degli Alberti e Eduard Innerkofler.
Se l’autunno avesse un suo colore, sarebbe l’azzurro, e non il rosso, il giallo o il bruno della natura che declina verso un’imperscrutabile rinascita. E in questo azzurro un’immagine: quella dello scolaro che solitario riprende la via, interrotta dall’estate, verso la scuola, nel mattino freddo e silenzioso, nel presentimento di quella malinconia che più tardi il bambino, fattosi ragazzo, e il ragazzo, fattosi uomo, chiameranno infanzia. Il suono di questa immagine somiglierebbe al sibilare di un ruscello, che quieto va, senza chiedersi del domani, ma passando di attimo in attimo solo in se stesso, a imitazione di un’acqua che, crede, non finirà la sua corsa.
Colmo di frutti il sambuco; tranquilla dimorava l’infanzia
in cavità azzurra. Sopra remoto sentiero,
dove brunastra sussurra l’erba selvatica,
medita silenziosa ramaglia; il fruscio del fogliame
è come quando l’acqua azzurra rumoreggia tra rocce.
Mite è il lamento del merlo. Un pastore
segue muto il sole, che dall’autunnale colle precipita.
In questa azzurra cavità c’era tutto quello che dovevamo diventare, ognuno solo se stesso e dolorosamente altri, di anno in anno più arresi al finire di certe stagioni che, inconoscibili, si sono trasformate nel loro opposto, fino a immetterci in un nome inquieto, uno stare tremante tra il ricordo e il futuro, smarrito il riposo di giorni in cui tutto poteva diventare vero. Ma
Un azzurro momento è puramente anima.
Al margine del bosco si presenta un timido animale in pace
riposano le antiche campane e i cupi borghi.
Più religiosamente avverti tu il senso di anni oscuri
frescura e autunno in solitarie stanze
e in sacra azzurrità risuonano luminosi passi.
Ma ci sono passi. Passi solitari che nelle vele dei momenti ci riportano nei boschi dove per la prima volta abbiamo visto la neve, e in essa l’autunnale malinconia di essere puri, ancora una volta, la speranza di avere ancora qualcosa da imparare, ancora qualcuno con cui giocare, ancora una primavera, di là da venire, in cui sentire l’anima, e ricominciare.
Sommessa cigola una finestra; fino alle lacrime
commuove la vista del diruto cimitero sul colle,
ricordo di narrate leggende; ma talvolta si rischiare l’anima,
se ripensa uomini lieti, cupo-dorati giorni di primavera.