Intervista a Leonardo Luccone | Oblique
Sono poche le realtà in ambito editoriale in Italia che possano vantare un efficace modello organizzativo funzionale all’offerta di proposte di alto profilo sul panorama letterario e, allo stesso tempo, avere un occhio alla fucina creativa in cui tentare lo scouting di nuovi talenti attraverso iniziative di valore. Oblique è una di queste. Abbiamo intervista Leonardo G. Luccone che la dirige e che ringraziamo.
Nota biografica: Leonardo G. Luccone ha tradotto e curato diversi volumi di scrittori angloamericani tra cui John Cheever, Alexander Trocchi, F. Scott Fitzgerald, Sarah Shun-lien Bynum e Esther Freud. Ha ideato e curato le collane Greenwich e Gog per l’editore Nutrimenti. Dirige lo studio editoriale e agenzia letteraria Oblique. Da settembre 2012 a ottobre 2014 è stato direttore editoriale della casa editrice 66thand2nd. I suoi articoli e le sue traduzioni sono stati pubblicati sul /Corriere della Sera/, /Il Foglio/, /Satisfiction/, /Il Calendario del Popolo/.
Dal sito di Oblique si legge “Artigianato per l’editoria e la comunicazione” c’è una volontà di suggerire una visione sistemica, una differenziazione di concetto e di forma piuttosto audace… ci dica di più. Resta confermata nel tempo?
Se ci pensate, in fin dei conti i libri si fanno ancora come cinquecento anni fa. Non abbiamo inventato niente di nuovo dopo Gutenberg e Manuzio. Al di là dell’ideazione, si tratta di operazioni manuali, veri e propri corpo a corpo con le parole. Serve amore. Serve dedizione. Serve svegliarsi con il giusto animus.
Quanto alla visione sistemica, ci piace occuparci di tutte le fasi della lavorazione. Per noi il massimo del piacere si raggiunge quando curiamo un libro dallo scouting alla promozione stampa.
Con Oblique lei si occupa di più aspetti del sistema editoriale, dallo scouting alla rappresentanza, alla pubblicazione, ma una parte rilevante è rivestita dalla “formazione” ai mestieri nell’editoria.
Il termine “formazione” rievoca il concetto di “dare forma”, trasferendo contenuti e metodi per una buona pratica. Dalla sua esperienza che considerazioni può condividere a riguardo? Quali sono le skills pù efficaci?
Il nostro obiettivo è lavorare per costruire un’editoria migliore; per questo vogliamo formare una generazione di redattori e editor di livello, con maggiore senso di responsabilità e rispetto nei confronti del libro e della sua storia.
Domanda provocatoria: dove mettono il naso gli scout letterari oggi per fare emergere nuovi talenti, ci sembra che il settore attinga moltissimo all’estero…
Sì, è così: più del 60% dei libri pubblicati in Italia sono traduzioni. Non so dove cercano gli altri. Noi leggiamo tantissimo: libri di piccoli editori, riviste, blog; una quantità inesauribile di manoscritti spontanei e no, centinaia di suggerimenti di amici e editor. Oppure siamo noi stessi a chiedere di scrivere qualcosa, quando abbiamo la sensazione che una certa persona abbia qualcosa da dire. Abbiamo creato una rivista di narrazioni e illustrazioni, Watt, abbiamo creato 8×8, ci sono i racconti che pubblichiamo sulla nostra rassegna stampa, insomma abbiamo messo su un sistema di lavoro che ci permette di trovare testi di livello. Eppure ho la sensazione che le antenne non siano mai abbastanza e mi ingegno a cercare nuove piste di ricerca.
Quest’anno si è letto che dal Premio Strega si è astenuta Feltrinelli: Gianluca Foglia, direttore editoriale del gruppo Feltrinelli, su Repubblica.it ha dichiarato: “Lo Strega ha bisogno di un profondo processo di rinnovamento”. Può darci un commento a riguardo?
Il processo di rinnovamento è in atto. Stefano Petrocchi, il direttore, sta lavorando bene. Non partecipare non è una buona cosa. In questi casi si rinuncia perché non si hanno libri all’altezza.
Veniamo all’esperienza del concorso8x8 che è ormai un’istituzione solida, ha una formula molto innovativa e ben strutturata (vissuta direttamente essendo stata tra i finalisti del 22 marzo), perché abbinare voce e racconto? e cosa, a vostro avviso, aggiunge alla formula classica?
La voce permette di trovarci di fronte agli autori dei testi selezionati. Metterci la faccia impone a chi manda un racconto un processo di revisione più accurato e severo.
Volevamo che si stabilisse un contatto più intimo tra chi scrive e chi sceglie di pubblicare.
Ho avuto modo di riscontrare molta ricerca nelle proposte del concorso, racconti che sperimentano strade narrative diverse, che mescolano generi che hanno riferimenti autorali di spessore, questo dovrebbe confortare chi crede che in Italia scriva chiunque senza grande cultura, qual è il vostro riscontro dopo tanti anni di osservazione?
Arriva materiale molto eterogeneo. La qualità media è bassa, e non c’è da sorprendersi. Non è poi così difficile scrivere un racconto da 8000 battute. In molti provano tanto per provare. Magari non leggono nemmeno il regolamento e vengono squalificati perché il racconto supera la lunghezza o perché non hanno seguito bene le istruzioni. I manoscrittori professionisti che partecipano a tutti i concorsi possibili non ci interessano: di solito producono testi scadenti.
Facciamo 8×8 perché sappiamo che ogni anno ci troveremo di fronte quelle sette-otto perle, e una decina di altri autori da seguire con attenzione.
Domanda in cui le chiediamo di sbilanciarsi: ci dica un paio di nomi di autori (va bene anche uno!) che avrebbe voluto scoprire e lanciare e perché.
Emmanuela Carbé (autrice di Mio salmone domestico, Laterza) perché è audace e ironica; spero che con il suo primo vero romanzo possa confermarsi. Avrei voluto lanciare Daniele Rielli, ovvero Quit the Doner, può fare benissimo (è in uscita per Adephi). Spero non si perda. Ha leggerezza e talento.
Una domanda cara a ZEST: in che modo, se crede ci sia, la letteratura e l’arte possono supportare una visione di vivere sostenibile?
La visione di una vita ecologicamente ed economicamente sostenibile è un aspetto della coscienza di ogni individuo. È raro che la presa di coscienza si tramuti in azione, poi in azione collettiva. Dipende dai princìpi comuni, certo, e da cosa si vuole condividere.
Qualcuno ci ha provato, specie i filosofi. Hans Jonas con il suo principio di responsabilità è un esempio concreto. Dall’altra parte sono convinto che basterebbe pochissimo, “una spinta gentile”, per ottenere subito significativi risultati nel campo della riduzione dell’inquinamento, dello sfruttamento delle risorse e dell’alimentazione. Chi se non i grandi personaggi dello spettacolo e dell’arte possono dare il buon esempio?
Per rimanere ai libri penso a Se niente importa, il libro di Jonathan Safran Foer, qualche decina di migliaia di coscienze le ha smosse.