“La coscienza di Zucchi”
ovvero un racconto in chiave epistolare – ironica (ma non troppo) sul delicato rapporto editor-scrittore
(di Antonio Russo De Vivo e Alfredo Zucchi)
Io sono l’editor di cui in queste mail si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di editing s’intende, sa dove piazzare l’antipatia che lo scrittore mi dedica.
Di editing non parlerò perché qui entro se ne parla già a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto lo scrittore a descrivere la sua esperienza; gli editor arricceranno il naso a tanta novità. Ma egli era scrittore talentuoso e presuntuoso ed io sperai che in tale rievocazione la sua protervia trovasse sfogo, che l’esperienza raccontata fosse un buon interludio all’editing. Oggi ancora la mia idea mi pare buona perché mi ha dato dei risultati insperati, che sarebbero stati maggiori se lo scrittore sul più bello non si fosse sottratto al lavoro truffandomi del frutto della mia lunga paziente analisi del testo suo.
Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia però ch’io sono pronto di dividere con lui i lauti onorarii che ricaverò da questa pubblicazione a patto egli riprenda l’editing. Sembrava tanto bramoso di mettersi in discussione! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate!…
Editor Antonio Russo De Vivo
22 maggio 20**
Caro editor – l’idea stessa di nominarti, qui, in questo spazio privato eppure ormai, dopo quello che hai fatto, senza pudicizia né privacy, non farebbe che ravvivare le immagini di una mutilazione.
L’idea che tu abbia preso quel passo – proprio quello, con tutta la materia secondaria del romanzo a spirale intorno al centro, proprio quel punto nevralgico sei andato a tagliare. Non credo tu non ne capisca la funzione. È il contrario e lo so. Non mi lascerò fare. Non mi importa aspettare la prossima occasione – e so bene quanto poco puntuali passino i treni in questa stazione nel deserto.
Sai bene che se accettassi quel taglio, crollerebbe l’intera struttura, dal titolo al finale. So bene che hai già in mente alternative, varianti, “ci sarà da lavorare”, “il testo ha grande potenziale”. Tu vuoi fottermi, ma se mi eviri, come posso ricambiare?
Questa è la mia ultima email.
6 giugno 20**
Caro Antonio,
sai bene che il furore va preso per quello che è – sarebbe a dire che non va mai preso alla lettera. Non c’è stata notte, in queste settimane, in cui non abbia riflettuto alla tua proposta. Non sono ancora in grado di visualizzarla del tutto, di coglierla cioè pienamente, di afferrare tutte le sue conseguenze a cascata sul testo – però comincio a vederla. Ad assaporarla. Tu mi stai dicendo: rinuncia ai lustrini, rinuncia all’idea di creare un momento topico, e dissemina invece il testo per intero di piccoli, quasi invisibili vettori di climax. Ho capito. Non so dove mi porterà, non posso dirlo ancora, ma sono aperto ora all’idea del viaggio insieme. Sì.
16 novembre 20**
È sconcio dirlo. La legge taoista dice: mai scrivere dopo le due di notte messaggi d’amore ubriachi. Il fatto è che non sono taoista. Mi figuravo un libro senza pene, un autore evirato – io stesso, voglio dire, Alfredo Zucchi detto Er Cazzimma. E invece. Lo sono, lo sono stato: non c’è , mi sono inginocchiato. E inginocchiandomi, sanguinando ancora per la mutilazione, ho capito dove intendevi portarmi. Siamo due ora. Penso che è ingiusto che il libro porti solo il mio nome. Penso anche che semmai l’editore accettasse di inserire il tuo nome, dovresti ricambiare: inginocchiarti e lasciarti mutilare come ho fatto io per te. Per noi. Per il libro che ora è un ricettacolo di vettori e forze che vengono da me e da te, indistintamente.