La recensione del rivoluzionario quanto inquietante romanzo The Jungle di Upton Sinclair qui proposta è tratta dalla rivista americana anarchica Mother Earth, Vol. 1 No. 4 (giugno 1906), fondata e diretta da Emma Goldman nel 1906. Vantava la collaborazione di attivisti e scrittori contemporanei.
La recensione fu scritta nell’anno di uscita del romanzo e propone una lettura dello stesso molto dettagliata
Upton Sinclair, nasce a Baltimora nel 1878. I suoi romanzi di denuncia della società americana contemporanea danno vita alla narrativa muckcraker, un incrocio fra giornalismo d’inchiesta, documentarismo e saggistica, e sono fortemente influenzati dalla sua formazione socialista e libertaria.
“I aimed at the public’s heart, and by accident I hit it in the stomach,” (Upton Sinclair)
LA GIUNGLA (1905) Upton Sinclair
Recensione originale apparsa su Mother Earth, Vol. 1 No. 4, giugno 1906 di Vari
Traduzione di Martina Miano*
La giungla, romanzo di Upton Sinclair, è un incubo pieno di orrori: il peggiore è che non è il frutto dell’immaginazione, ma la descrizione della mera realtà di una fase della civiltà del ventesimo secolo. Nulla può rappresentare la sua tragica potenza se non il libro stesso, a mio parere il più terribile che sia mai stato scritto.
Per buona parte racconta i mattatoi: le inenarrabili recrudescenze della nostra cristianità in cui l’essere umano scatena con soddisfazione la sua volontà selvaggia sull’animale indifeso. Inoltre racconta indirettamente la mattanza dei valori morali: politici, economico-sociali, religiosi e familiari, dove le vittime sono umane. La disumanità dell’individuo è tanto egoista e spietata quanto l’antica crudeltà esercitata sui suoi simili, considerati inferiori nella folta schiera.
Forse il titolo è inappropriato: esiste una “legge del branco”, rispettata in una giungla autentica, ma queste bestie umane sembrano possedere tutti i suoi vizi e poche virtù. L’autore avrebbe potuto intitolare la sua storia “Dimora di un massacro” o, forse, semplicemente “Inferno”.
Nell’industria conserviera “Tranne il grugnito, del maiale non si butta via niente!” è un detto comune. L’autore adotta il grugnito o, piuttosto, il rantolo mortale di selvaggia agonia di dieci milioni di creature viventi torturate a morte ogni anno a Chicago e di altre decine di milioni altrove, per placare l’antica sete brutale di sangue, di un’umanità disumana. Alla fine, l’autore ha dato voce a miliardi di vittime e, se non erro, questo grido di angoscia proveniente dai “banchi di macellazione” non riecheggerà finché l’essere umano, un tempo cannibale, non smetterà di divorare persino i cadaveri degli animali ammazzati. “La giungla” farà senza dubbio più vegetariani, tuttavia affinché il libro assolva la sua missione servirà qualcosa di più del vegetarianismo universale. Questa è una storia da Civilization’s Inferno e di crisi globale, un resoconto di condizioni per cui, una volta comprese, non c’è rimedio se non la rivoluzione delle rivoluzioni, l’evento verso cui i tempi corrono: la fondazione di una democrazia politicamente, industrialmente e socialmente autentica1. Se la storia fosse messa in scena e Mrs. Fiske recitasse la parte di Ona, in confronto la sua interpretazione renderebbe Tess dei d’Urbervilles2un idillio pastorale.
Il libro è eccezionale anche da un punto di vista politico. Ma soprattutto è un richiamo eccezionale ai valori morali. Neanche tra le pagine di Victor Hugo o Charles Dickens la passione morale arde di una luce più pura e intensa.
Dovrei sconsigliarne la lettura a bambini e donne facilmente impressionabili.
Ho già detto che è un racconto pieno di descrizioni orrende. Ho iniziato a evidenziare i passaggi di una certa tragicità e mi sono accorto di evidenziare ogni pagina; tuttavia rimane un libro valido e necessario.
L’autore racconta della “carne guasta”, e peggio, della preparazione notturna delle carcasse del bestiame morto per cause note e ignote prima di raggiungere le penne del macello e le relative conseguenze, con il resto degli omicidi del giorno; l’autore descrive la preparazione di “carne imbalsamata” a partire da bestiame purulento; narra perfino la storia di “uomini scivolati nei macchinari”, e “spesso dimenticati per giorni finché tutto, eccetto le ossa, veniva smerciato per il mondo sotto forma di Lardo Foglia d’Oro Durham”; scrive della produzione di salsiccia affumicata ottenuta da scarti di patate come anche da carne andata a male e dall’uso di prodotti chimici; racconta inoltre di ratti “molesti, a cui gli operai propinavano pane avvelenato per ucciderli. Dopodiché ratti, pane e carne si mescolavano nella tramoggia. Non è una favola né uno scherzo: la carne veniva impastata nei carrelli e l’addetto se vedeva un ratto non si disturbava certo a rimuoverlo– c’erano cose dentro le salsicce al cui confronto un ratto avvelenato era una prelibatezza”.
Ancora peggio è il racconto delle condizioni degli operai a Packingtown e in altri luoghi. È la storia di uomini forti che odiavano a ragione il loro lavoro; di uomini stroncati a mezza età, non per colpa loro; di bambini in lacrime costretti con le fruste a un lavoro duro e ignobile; di condizioni lavorative veicolo di malattie in inverno, superate solo dalla ricorrente letalità estiva; di persone a lavoro con i piedi immersi nel ghiaccio e la testa avvolta nel vapore bollente; del tanfo costante che infesta le narici, di corpi feriti dappertutto; del ritmo terribile scandito dal continuo “sollecitare” il passo, esasperato al culmine della frenesia; di famiglie accomunate da disgrazie; di pile di spazzatura, avanzi delle tavole dei cittadini più fortunati, da cui molti erano costretti a sfamarsi; del terrore della lista nera, delle chiusure, dello sciopero e delle serrate; della frode presente ovunque, sia quando si acquistava una casa sia quando si adulterava tè, caffè, zucchero o farina.
È inoltre una storia di crimini contro la morale e di mostruosità causate dalla corruzione quasi totale, “le fabbriche erano un letamaio. I direttori corrompevano gli uomini che si corrompevano a vicenda, e quando il supervisore lo scopriva corrompeva anche il direttore”.
Quando gli uomini perpetravano atti particolarmente immorali, si giustificavano dicendo, “Adesso lavoriamo per la chiesa”, con riferimento alle donazioni dei proprietari agli istituti religiosi.
Racconta, inoltre, la storia di bambini avviati al vizio, di ragazze costrette all’immoralità, convinte che una ragazza senza virtù abbia migliori possibilità di una virtuosa. È il racconto della morte terribile del vecchio Antanas avvenuta per avvelenamento da salnitro; di Jonas, forse scivolato nei macchinari, nessuno sapeva come; della piccola Kristoforas preda delle convulsioni; del piccolo Antanas, caduto in un fosso prima di raggiungere l’uscio di casa; della sorte di Marija, finita in un bordello; di Stanislovas, divorato dai ratti; e della bellissima, piccola Ona, alla cui fine solo la penna dell’autore può dare giustizia.
Il libro dimostra come la corruzione serpeggi ovunque, non solo nell’industria conserviera, ma anche in quasi tutti gli esercizi commerciali e le attività politiche moderni.
Nessuno può limitarsi a ritenere i magnati della carne responsabili di tutto questo. Solo una ricostruzione profonda del nostro tessuto sociale ci renderà consapevoli. Secondo l’autore, una filantropia palliativa è “come trovarsi sull’orlo della bocca dell’inferno a lanciare palle di neve per diminuirne la temperatura”.
La giungla è l’eruzione del nostro vulcano sociale che ci mostra il suo interno. È il segnale di un pericolo imminente!
Siamo tutti incriminati e chiamati a processo. A noi l’obbligo di verificare i fatti. L’autore de La giungla ha vissuto per mesi a Packingtown e gli editori notoriamente stimati, che adesso lo pubblicano, inviarono a Chicago un abile avvocato a riferire se le dichiarazioni contenute fossero state ingigantite: il suo resoconto confermò le asserzioni dell’autore.
Questo libro è un invito ad agire tempestivamente.
L’eroe lituano trova nel socialismo la soluzione ai problemi. La soluzione risiede in quella direzione o in qualcosa di meglio e obbliga chi ci mette in guardia dall’esperimento socialista a rivelarci qualsiasi altro rimedio efficace. Di certo, gli uomini assennati dovrebbero tutti studiare queste teorie di redenzione sociale e capire perché i loro fautori sostengono che metterle in pratica modificherebbe o abolirebbe i mali della nostra condizione moderna.
I “padroni, signori e regnanti di tutto il mondo3”, i pensatori e gli operai del nostro tempo devono al più presto votarsi a comprendere e applicare un rimedio adeguato, o scorreranno senza fine sangue e lacrime dolorosi, “quando, dopo il mutismo dei secoli, questo Terrore sordo dovrà rispondere a Dio”.
1 Che sia o meno autentica, adesso viviamo in una democrazia. Eppure, se i crimini diabolici descritti da Sinclair vengono tuttora commessi, allora ciò dimostra che la democrazia non è una panacea. E perché dovrebbe, se i criminali che godono di protezione traggono profitto da un avvelenamento indiscriminato, di proporzioni tali da comprarsi con facilità la gloria della sovranità popolare. – Editore
2 Film muto del 1913, diretto da J. Searle Dawley e interpretato da Mrs. Fiske, che aveva ricoperto lo stesso ruolo anche a teatro. Il film è basato sul romanzo Tess dei d’Urbervilles di Thomas Hardy, Londra 1891. La versione teatrale del lavoro di Hardy si deve a Lorimer Stoddard, Broadway, 2 marzo 1897.
3 Edwin Markham, The Man with the Hoe , “L’uomo con la zappa”. Ispirato al dipinto di Jean-François Millet “Uomo con una zappa”. Questo poema è stato originariamente pubblicato su San Francisco Examiner nel 1899. Upton Sinclair annotò in “Il grido di giustizia: un’antologia della letteratura di protesta sociale” che il poema di Markham divenne “il grido di battaglia dei prossimi mille anni”.
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*Martina Miano: Classe 1997. Presso la Fondazione Universitaria “San Pellegrino” (FUSP), sede di Rimini, Martina Miano consegue una Laurea triennale in Mediazione linguistica con una tesi dal titolo “La coralità della letteratura working-class attraverso la singolarità del traduttore”. Presso la Fondazione Universitaria “San Pellegrino”, sede di Vicenza, frequenta il Master dall’inglese in Traduzione editoriale e tecnico-scientifica. Attualmente è iscritta al Corso di laurea magistrale in Traduzione specialistica presso la Civica Scuola “Altiero Spinelli” di Milano. Tra le sue passioni letterarie: scrittori e poeti italiani e russi del ‘900, critica letteraria, teoria della traduzione e saggistica incentrata su questioni di genere e linguistiche. Collabora in qualità di traduttrice al progetto FUSP | ZEST.