LA NATURA OSTILE
di Paolo Lago
visioni e prospettive nella narrativa contemporanea
Terracqua edizioni (curatela a cura di ZEST Letteratura sostenibile in collaborazione con Giuseppe Girimonti Greco)
di Paolo Risi
La trattazione di temi eco-letterari tocca molti ambiti: non solo giudizi di valore, ma anche l’inquadramento di un contesto storico e culturale. Si profilano quindi una ragion d’essere critico-letteraria e un’inclinazione di piglio militante, volontà, quest’ultima, tesa a informare, a rendere consapevoli i lettori.
Paolo Lago articola la sua opera come una mappa letteraria divisa in due parti, ripartite, a loro volta, in due diversi percorsi. Da tale struttura si evince l’intento ordinativo, di messa a terra di tendenze e contributi. Nello specifico si parla, nella prima sezione del volume pubblicato da Terracqua Edizioni, di natura ostile raccontata in forma eco-distopica e post-apocalittica (l’ulteriore ripartizione concerne le sezioni “terre desolate” e “terre sommerse”), mentre il secondo blocco (scisso in “spazi estremi e lontani” e in “spazi antropizzati”) raccoglie testi non segnati dalla marca della distopia.
Il saggio fa conoscere storie, interpretazioni e visioni di un futuro sotto il segno dell’emergenza climatica. Da Bruno Arpaia a Paolo Zanotti, da Alessandra Sarchi a Laura Pugno, si analizzano specificità e punti di contatto, si dà risalto a esperienze letterarie vigorose, in cui creatività e urgenza conoscitiva vanno di pari passo.
A integrare l’aspetto critico-letterario, quindi, il carattere militante e documentale, incentrato su una lettura poliedrica dell’Antropocene. Il mantra dello sviluppo risuona a partire da un innesto originario, pulsione che si autoalimenta e accoglie contributi, in un sistema-ambiente sempre più sconclusionato e violato. Paolo Lago non manca di ricondurre lo squilibrio climatico all’avidità umana, vera radice di un capitalismo avanzato che non guarda in faccia a niente e a nessuno, verbo e spinta ideologica che nell’organicità delle narrazioni diviene soggetto, contaminazione nella carne viva del mondo.
Allo sfruttamento delle risorse si accosta il tentativo di mistificare la natura. Se non è una dimensione da predare può essere considerata in quanto location, assetto addomesticato. A questa manipolazione si contrappone l’intransigenza degli esseri viventi, l’implacabilità della materia inorganica Non è una relazione facile quella tra uomo e natura, ma proprio per questo il confronto può farsi – a buon titolo – sostanza letteraria. Quanto più questa relazione diviene difficile e ostica, tanto più sarà anche affascinante e sorprendente, suggerisce Lago, indirizzando così il pensiero verso un orizzonte di complessità, di approccio culturale ai temi del cambiamento climatico.
La narrativa post-apocalittica direttamente o indirettamente rende manifesto il difetto culturale. In molti dei testi segnalati da Lago è presente, come esito del tracollo ecosistemico, la fondazione di nuovi ordini sociali e politici: governance, fantasmatici enti di sorveglianza, strutture di potere che abiurano la cultura e le creatività. Scenari di distruzione, quindi, ma anche il presagio di una conformazione univoca, sorta di globalizzazione dei viventi. Al di là delle vicende singole e dei destini comuni il filone narrativo predispone a una lettura politica, istanza riconoscibile in opere come Qualcosa, là fuori di Arpaia, in Bambini bonsai di Zanotti e ne L’anno del diluvio di Margaret Atwood.
Natura ostile, ma anche indomita. A fronte del caterpillar capitalista si compatta la natura, ribadisce, attraverso la propria maestosità, che esistono scale di valori e grandezze, entro cui l’uomo è all’incirca un fattore. Di lui si presuppone la virulenza, la bramosia, mentre il resto della creazione, o del processo, ha origini e volontà perlopiù inesplicabili. Ancora una volta è la cultura a porsi come trait d’union tra l’uomo e il suo vagare inquieto. Occorre concedersi all’astrazione, per comprendere lo scempio e l’abuso: in Sirene di Laura Pugno, l’essere mitologico, appartenente a una tradizione alta come quella epica nonché a un immaginario condiviso dall’intera cultura occidentale, che dovrebbe essere oggetto di rispetto e venerazione, all’interno dell’universo capitalistico si trasforma prosaicamente in cibo e sesso, elementi che connotano le sfere più “basse” dei valori.
L’immaginazione è solida, mette a disposizione destini alternativi. Storia, tradizioni e conoscenza del paesaggio divengono strumenti per delineare una mappatura del territorio. In Quando qui sarà tornato il mare, un romanzo formato da diversi racconti realizzato dal collettivo Moira Dal Sito, si adotta lo scenario delle terre sommerse, tragicamente attuale, dando voce e corpo a personaggi e istanze che nella Bassa Padana applicano nuovi spazi di resistenza. Il paesaggio può essere strumento di ispirazione e conoscenza, la geografia e la storia di un territorio dove acqua e terra lottano da millenni possono alimentare saperi utili a vivere e lottare dentro la crisi climatica. Il nuovo attivismo sul clima può farne tesoro scrive Wu Ming 1 nell’introduzione al volume.
Gli anticorpi, i nuclei di resistenza e consapevolezza, creano “contatto”, addensano la narrazione. Nella seconda parte del saggio (La natura ostile senza apocalisse) vengono prese in considerazione opere in cui alla dinamica emergenziale e riparativa, di resistenza civile, si affianca, in maniera ancora più consistente, il soprannaturale, un’indifferibile ricerca di senso. Romanzi ambientati in luoghi “estremi e lontani”come Eclissi, di Ezio Sinigaglia e Gli oscillanti, di Claudio Morandini, raccontano l’Io al cospetto della Natura, l’essenza individuale costretta a immergersi nel mistero per afferrare l’universo, l’indivisibilità della terra e dei viventi.
A partire dalla corresponsabilità (terra e terrestri, terrestri e terra) alcuni scrittori pervengono allo snodo, tecnico e simbolico, della metamorfosi. Sempre Morandini e Sinigaglia, ma anche Richard Powers, con il Sussurro del mondo, e Helen Macdonald con Io e Mabel, estremizzano un percorso simbiotico, travalicano scientemente la realtà per dare forma all’indicibile. La metamorfosi come shock, indizio visivo: alla fonte dell’eco-letteratura – al di là di suggestioni o accenti animistici – pare irradiarsi un vero e proprio “umanesimo non antropocentrico”, un tipo di umanesimo (e qui Lago cita Serenella Iovino), capace di stabilire relazioni di prossimità costruttiva (“buon vicinato”) con le altre specie e con l’ambiente naturale.
La natura ostile di Paolo Lago, in sintesi, emette una modulazione, un’armonia di fondo. Presenta testi di narrativa contemporanea (con qualche incursione nel “classico” e nel “moderno”) e delinea una rete di chiavi interpretative. Modulazione di fondo sostenuta da un respiro etico, dalla valorizzazione del binomio cultura-territorio. Sorprendente, fruttuosa: la narrativa come dono, ideazione che ha radici forse troppo profonde per essere nominate o rese concetto. La potenza e la volatilità del racconto, il rapimento di divenirne parte, in qualità di cittadini e semplici lettori.
Quando inizia a far caldo la foschia si alza dalla fila di alberi che la divide dalla città in abbandono. Nell’aria c’è un vago odore di bruciato, di caramello e catrame e griglie irrancidite, e la puzza di cenere e grasso di mucchi di rifiuti bruciati, fradici di pioggia. Da lontano, i grattacieli deserti sembrano il corallo di una barriera antica: pallido e sbiadito, senza vita. Invece c’è ancora vita. Gli uccelli cinguettano; devono essere passeri. Le loro deboli voci sono acute e cristalline, unghie sul vetro: non c’è più il rumore del traffico a soffocarle. Noteranno questo silenzio, l’assenza dei motori? Toby non ne ha idea.
(da L’anno del diluvio, di M. Atwood)