Capannone n. 8 | Deb Olin Unferth
BigSur 2021
di Paolo Risi
“In natura le galline vagano in cerchi un po’ sghembi nei loro piccoli villaggi, misurano il loro territorio, salgono e scendono dagli alberi la notte, saltellano l’una intorno all’altra per giocare, corteggiarsi, combattere, mentre quelle più fragili orbitano sui margini, vengono ghermite dai predatori. Ma le loro omologhe ovaiole, le loro cugine chiuse in gabbia, non girano come il resto del creato. Stanno ferme, fanno un passo o due tra le compagne di cella per dissetarsi con qualche goccia d’acqua, le loro tenere zampette tagliate dall’acciaio.”
Capannone n. 8 inizia come in una delle versioni dei racconti “a porte girevoli”. Nell’anticamera delle possibilità c’è Janey, che a 15 anni scopre di avere un padre: la ragazza abbandona New York, un futuro idealizzato, per andare a vivere nell’Iowa, accanto al genitore redivivo che nulla ha di ideale, anzi… “Abitava con suo padre da due mesi e aveva odiato ogni secondo di quella convivenza, ma era troppo orgogliosa per chiamare la madre e dirle che voleva tornare a casa.”
Eppure, la convivenza con un fallito, assente a se stesso, dedito a cheeseburger e serie TV, farà da scintilla a una vita sbalorditiva, imperfetta e densa di contenuti. Janey accetta un consiglio di suo padre: cioè di fare un colloquio dove l’uomo lavora, in un allevamento di galline ovaiole, e, a partire da una comprensibile ritrosia, il contatto con quel mondo contraddittorio, fatto di sensibilità composite, si rivelerà altamente (e burrascosamente) formativo.
Da catarsi in divenire, storia privata intinta di idealismi, il romanzo di Deb Olin Unferth diventerà messa in scena corale; gli incontri possiedono la corposità, l’irreversibilità delle scelte complicate, e portano tormento, lo scompiglio della ribellione.
Sul posto di lavoro Janey entra in contatto con Cleaveland, responsabile delle ispezioni degli allevamenti di ovaiole di tutto l’Iowa, il cui compito è “certificare il rispetto delle best practice per la sicurezza del consumatore e il benessere delle galline, orientandosi nella carta celeste delle linee guida.”
L’ispettrice diverrà l’autostrada guida di Janey, e ciò già dimorava idealmente nel passato di entrambe, essendo stata Cleaveland accudita, da bambina, dalla madre della ragazza. Una fusione a caldo, l’amicizia tramandata e riscattata, che trova un evento scatenante nella fuga misteriosa di una gallina da una gabbia-prigione, pennuta eroica presa poi in custodia dall’ispettrice e nascosta nel garage dietro casa.
Un simbolo, un’evasione profetica: il dispositivo si mette in moto e i propulsori si moltiplicano per generare il piano fantasmagorico, che coinvolgerà attivisti, allevatori eretici, e, come effetto collaterale, un coacervo di sciroccati e teppisti.
Le gabbie-prigione costellano le campagne, sono involucri che attentano al bagaglio genetico delle ovaiole, insultano gli esseri viventi in toto. A partire dal linguaggio, l’economia stabilisce regole e divora millenni, i processi naturali: Janey partecipa a un corso di formazione, familiarizza con le procedura dell’allevamento-lager: “bastava già il lessico: «depopolamento» (leggi: sterminare le galline a centinaia di migliaia), «muta forzata» (leggi: ridurre il mangime a tal punto da farle quasi morire di fame), «debeccaggio» (leggi: tagliargli via un pezzo di faccia), «certificazione» (legittimare, anzi prescrivere, tutta un’altra serie di atrocità), «Associazione Nazionale Produttori di Uova» (il gruppo di maschi bianchi sulla cinquantina a capo di tutta la baracca).”
Furti minimi, un paio di galline trafugate nottetempo dalle due colleghe, video caricati in rete, Cleaveland e Janey pedalano verso l’impresa memorabile, chiamando a raccolta la crema della guerriglia animalista: Dill, militante dell’Animal Liberation Front, passionario, irriducibile, e poi Annabelle Green, figlia riottosa, politicizzata, dell’allevatore Robert Green, e infine Jonathan Jarman Junior (ex marito di Annabelle), anche lui erede di una dinastia di allevatori, illuminato e diversamente carismatico.
La brigata è compatta, ma solo dopo arrabbiature, ricusazioni, tentennamenti come esito di contrasti passati. Il disegno (quasi apocalittico) lo profetizza Janey, la più giovane e inesperta del gruppo, e corrisponde a una visione: “si chiese se non avesse fatto un errore. Forse la sua visione non era stata una chiamata? (In effetti no.) Cercò di rievocarla: galline con un potere inaudito che sbattendo le ali fuggivano nella notte.”
Il luogo prescelto dell’azione è la fattoria di Robert Green (idiosincrasia e contrappassi generazionali); l’obiettivo, la missione della banda dei cinque (e dei soldati – non tutti scelti – chiamati a raccolta) persegue la liberazione di un milione di galline ovaiole e il loro stoccaggio nei santuari per volatili dell’Iowa e di alcuni stati limitrofi. Un cimento da far tremare i polsi, che richiede organizzazione (affidata a Jonathan), disciplina, scaltrezza, una carovana di camion adeguati, il controllo di fattori decisivi, che sveleranno – alla resa dei conti – la fragilità del cimento, renderanno ineluttabile il misterioso accalcarsi di galline “fuori produzione” nel capannone numero 8.
Al di là del risultato (un finale imprevedibile, commovente), del ritmo pirotecnico che ipnotizza il lettore, il racconto di Deb Olin Unferth ha il pregio di orchestrare un’ipotesi di amicizia “attiva”, cementata dalla passione, dalla repulsione verso pratiche di allevamento crudeli. La banda dei cinque – e la fauna umana di supporto – mette in gioco la propria agiatezza, l’equilibrio di rapporti già di per sé problematici: si lasciano guidare dell’altruismo Dill, Janey, Cleaveland, Annabelle e Jonathan, eroici e sprovveduti nel tentativo di infilzare i loro personali mulini a vento. Sono uomini e donne scottati dalle circostanze, dalle proprie ossessioni, da padri ameba e famiglie genuflesse al cospetto del dio denaro. Realtà (un dettagliatissimo lavoro di ricerca dell’autrice) e immaginazione, ardore che scalda e entusiasma pagina dopo pagina: l’irresistibile crescendo di Capannone n.8 ha il profumo della libertà, della natura che persevera nonostante tutto.
“Ma le future galline non saranno sole. Gli uomini cattivi saranno scomparsi una volta per tutte, e i polli non svilupperanno mai le mani, non raggiungeranno mai altezze tali da rendere possibile la distruzione di massa. Prenderanno solo quello di cui avranno bisogno. Scorrazzeranno sulla terra, mangeranno l’erba e gli insetti superstiti, risanati e rinforzati. Vivranno.”