Questa intervista alla filosofa e ecofemminista statunitense Carolyn Merchant, autrice di “The death of nature” (1980) è apparsa nel numero 14/2007 della rivista I frutti di Demetra e viene ripubblicata su gentile concessione della casa editrice Viella e dell’autore, Prof. Marco Armiero.
Marco Armiero è dirigente di ricerca presso l’Istituto di Studi sul Mediterraneo del Consiglio Nazionale delle Ricerche e direttore dell’Environmental Humanities Laboratory del KTH di Stoccolma. Ha svolto attività di ricerca presso la Yale University, la University of California, Berkeley, e la Stanford University. È stato Marie Curie fellow presso la Università Autonoma di Barcellona e Visiting Researcher al Centro di Studi Sociali dell’Università di Coimbra. È stato nominato Barron Visiting Professor di environmental humanities presso la Princeton University. Per Einaudi ha pubblicato Le montagne della patria (2013) e L’era degli scarti (2021). Dal 2019 è il presidente della European Society for Environmental History
La storia ambientale ed io
Intervista a Carolyn Merchant*
“Il mondo che abbiamo perduto era organico”: con queste parole venticinque anni fa Carolyn Merchant iniziava la sua critica radicale alla rivoluzione scientifica e alla meccanicizzazione della natura. Pochi libri accademici possono vantare un incipit così potente e suggestivo. D’altronde potente, suggestiva, e di vastissimo impatto era la tesi presentata nel libro: la rivoluzione scientifica baconiana aveva trasformato la natura viva in un mero meccanismo, da studiare, forzare, sezionare. Non c’era più spazio dentro il nuovo paradigma scientifico per un modo diverso di concepire la natura e il suo rapporto con gli esseri umani: i filoni di pensiero e le pratiche conoscitive che proponevano e praticavano un modo diverso di interpretare la natura diventavano eterodossi, ascientifici, spesso messi a tacere non tanto con la forza dell’argomentazione scientifica, ma quella delle armi o con le spesse catene delle galere. Nel volume della Merchant occupano uno spazio cospicuo tanto le utopie quanto i saperi eterodossi, incarnati in particolare dalle streghe, la cui persecuzione rappresenta in maniera evidente la connessione tra dominio sulla natura e dominio sulla donna. La morte della natura, infatti, non implicò necessariamente la fine di una visione della natura al femminile; per la nuova scienza la natura continuava ad essere “femmina”, ma non era più la Madre che nutre, ma un soggetto passivo da violentare, sezionare per carpirne i segreti. Carolyn Merchant unisce in questo libro l’analisi dell’evoluzione del pensiero scientifico e filosofico con le grandi trasformazioni economiche e sociali che stavano avvenendo nell’Europa – soprattutto nell’Inghilterra – del XVII secolo: l’autrice ci porta per mano attraverso i trattati scientifici di Bacone, il metodo sperimentale, le società utopiche di Campanella e di altri filosofi, ma anche le enclousures, l’industria mineraria e l’enorme pressione sulle foreste, mostrando proprio la connessione tra la costruzione di un nuovo paradigma scientifico in grado di interpretare la natura e i modi in cui la società stava organizzando l’appropriazione e lo sfruttamento di quella stessa natura. Insomma se la rivoluzione scientifica uccise la natura, privandola della sua anima e gettando le basi per la sua manipolazione più estrema, fu l’avvento del capitalismo, che assumendo quel paradigma scientifico come proprio, lo rese particolarmente potente. Carolyn Merchant mostra quanto la rivoluzione scientifica costituì una sorta di premessa culturale del capitalismo, divenendo la base metodologica e filosofica sulla quale questo costruì un nuovo sistema di relazioni “naturali”. Il cambiamento nel modo di vedere la natura e di studiarla implicava, dunque, una radicale trasformazione delle relazioni non solo tra esseri umani e natura, ma anche interno alla società tra diversi gruppi sociali e tra donne e uomini. Non era un caso che la critica radicale alla nuova scienza provenisse spesso dalle donne, e che lo sforzo repressivo e normalizzatore del meccanicismo si dispiegasse con forza contro le donne, andando a marcare gerarchie e confini netti tra generi, destinati ad avere una straordinaria longevità. Ma la stessa longevità è possibile rintracciarla dentro la forza sovversiva del movimento femminista e in tante espressioni della differenza di genere: e se la storia del conflitto ambientale ha iniziato a far emergere il ruolo centrale delle donne nella difesa della salute e della vita, credo che una storia di genere del movimento ambientalista debba ancora venire, anche se la nascente Environmental Justice Movement sta dando risultati in questo senso.
Carolyn Merchant è Chancellor’s Professor of Environmental History, Philosophy, and Ethics all’University of California, Berkeley. Ha insegnato in Svezia, in Francia e in Australia. È stata presidente dell’American Society for Environmental History. Della sua vastissima produzione scientifica, ricordo qui solo alcune delle sue opere più note: The Death of Nature: Women, Ecology, and the Scientific Revolution, San Francisco, Harper and Row, 1980, tradotto in giapponese, tedesco, italiano, svedese e cinese; Ecological Revolutions: Nature, Gender, and Science in New England, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1989; Radical Ecology: The Search for a Livable World, Nee York, Routledge, 1992 (tradotto in giapponese); Earthcare:Women and the Environment, New York, Routledge, 1996; Columbia Guide to American Environmental History, New York, Columbia University Press, 2002; Reinventing Eden: The Fate of Nature in Western Culture, New York, Routledge, 2003; Encyclopedia of World Environmental History, curata con John McNeill e Shepard Krech, III, New York, Routledge, 2004. In italiano è disponibile anche un suo articolo pubblicato in “Contemporanea” 1 (2002).
Questa serie di interviste è intitolata “La storia ambientale ed io”. Dunque, mi piacerebbe se potessi raccontarci come hai scoperto la storia dell’ambiente. Ci sono state letture, incontri, o persone speciali che ti hanno portato fin qui?
La mia vita personale si è intersecata con la storia attraverso una serie di casi fortuiti e di improvvise intuizioni. Ho assimilato l’etica ambientalista precocemente con l’emergere del movimento ecologico. Negli anni sessanta lavoravo con Nature Conservancy a salvare le praterie originarie, leggevo le pagine di Rachel Carson sui pesticidi e pensavo all’impatto della popolazione mondiale sulle scorte alimentari. Trascorsi la maggior parte degli anni sessanta alla Università del Wisconsin, studiando nel corso di storia della scienza le origini della rivoluzione scientifica moderna e scrivendo una tesi su Gottfried Wilhelm Leibniz e la sua idea di “forza vivente”. Sono sempre stata innamorata della scienza e ho sempre nutrito un rispetto deferente per la bellezza delle sue derivazioni matematiche, delle sue spiegazioni facili e delle sue chiare descrizioni. Il mio interesse per la biologia mi portò ad appassionarmi alla chimica al college, poi alla fisica e infine alla storia della scienza.
Ci sono stati libri o idee che ti hanno influenzato particolarmente?
Guardando indietro ai miei primi lavori, probabilmente le letture più importanti nella mia formazione furono Primavera silenziosa di Rachel Carson (1962), e il libro di Betty Friedan, The Feminine Mystique (1963). Due libri tra i quali si stabilì una connessione negli anni settanta, quando le donne iniziarono a porsi domande sulla relazione e l’identificazione tra donne e natura.
Potresti introdurre brevemente la tesi del tuo libro, La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione scientifica?
Il mio libro era una critica al ruolo giocato dalla scienza classica, meccanicistica durante il XVII secolo e del modo in cui essa aveva portato al dominio sulla natura ed infine alla crisi ambientale della fine del XX secolo. Il libro mostrava come la visione organica del mondo, che era stata prevalente fino al Rinascimento e nella quale tutto era ritenuto vivo, fu trasformata nella visione meccanicista della rivoluzione scientifica del XVII secolo: in essa la materia era morta e inerte, mossa, vitalizzata solo attraverso forze esterne. La relazione etica tra esseri umani e natura cambiava da una improntata sulla reciprocità ad una improntata sul dominio e sul controllo.
Quale è stato il risultato della rivoluzione scientifica?
Lo sviluppo della scienza a partire dal XVII secolo ha avuto un esito positivo nel senso che per molti aspetti ha migliorato la vita di tanta gente. Ma esso ha avuto anche un costo, che è stato pagato dalle donne, dalla natura e dalle classi lavoratrici, ossia molta gente si è impoverita a beneficio delle classi medie ed alte. Si è diffuso un senso di ottimismo sulla possibilità di controllare la natura attraverso la scienza e la tecnologia, ma le conseguenze sono state l’impoverimento delle risorse naturali e l’inquinamento dell’ambiente, come è evidente nella nostra attuale crisi ecologica.
Potresti aggiungere qualcosa in più su questa identificazione tra donne e natura?
Le donne, per gran parte della storia della cultura occidentale così come in altre culture, sono state identificate molto da vicino con l’idea di natura. Per esempio, Nature o Natura è una parola femminile in molte lingue latine e romanze. La Natura è rappresentata come Madre Natura o come Terra Vergine. A partire dall’ultima fase del Rinascimento, alla fine del XVI secolo, appena prima del periodo di trasformazione rappresentato dalla rivoluzione scientifica, la natura era ancora concettualizzata come femmina. La terra era una madre. Essa aveva sistemi psicologici, sistemi circolatori come le maree, e un sistema riproduttivo che dava vita a animali, piante e minerali, e perfino un sistema espulsivo. Molte di queste idee risalgono ai Greci e ai Romani, idee riprese nel Rinascimento. Il cosmo è vivo. E la terra è viva. Essa è un organismo vivente Ha un corpo, un’anima e uno spirito. I metalli e le pietre sono vive; la terra è animata. E la natura è un agente di dio, dio agisce attraverso la Natura, al femminile, portando punizioni e premi nella vita quotidiana.
A me sembra che nel tuo lavoro tu hai sempre cercato di mettere insieme socialismo, ecologia e genere. Potresti spiegare come vedi queste cose sono interconnesse?
Dunque, ci sono molte forme di socialismo. Il socialismo di stato non ha funzionato granché, ma ci sono nuove forme in cui la gente organizza la propria visione dell’azione sociale ed esse non sono state ancora esplorate con attenzione. Questo tipo di socialismo è fondamentalmente un metodo per produrre modi nuovi di guardare a vecchie questioni, di pensare e di essere creativi nel cercare nuove strade. Questo è, ad esempio, l’ecofemminismo, ma con una particolare attenzione al genere.
Come sono le relazioni tra uomini e donne e come possono produrre una società e un ambiente migliore?
La mia idea è che si possono combinare socialismo ed ecofemminismo in modo da concentrarsi sulla riproduzione del mondo vivente piuttosto che sulla riproduzione di beni inanimati, morti. Oggi ogni cosa è organizzata intorno alla produzione, e questo significa che la gente ha sostanzialmente perso la percezione del mondo come qualcosa di vivente. Ma se tu ri-orienti le priorità così che ciò che è buono per la comunità umana sia buono anche per quella non umana, allora hai una ecologia sostenibile basata sulla riproduzione e non sulla produzione. La povertà sarà alleviata. La gente avrà figli non per assicurare lavoro alle proprie famiglie strette dalla povertà o per sentirsi più sicuri da vecchi, ma perché li desiderano e vogliono prendersi cura di loro. Quando assicuriamo sicurezza alla gente, ovvero sicurezza per la loro salute, sicurezza per il loro lavoro, sicurezza per la loro vecchiaia e per l’assistenza ai bambini, allora noi abbiamo la possibilità di un nuovo tipo di società che possa lavorare in una partenership sostenibile con il resto del mondo.
Come collocheresti La morte della natura nella tua vita personale?
Da giovane ho vissuto una straordinaria coincidenza tra le mie esperienze personali e la scoperta delle implicazioni sociali del dominio scientifico sulla natura. In quel clima iniziai a studiare le implicazioni della scienza sulle donne e la natura. Durante gli anni settanta, fui ispirata dalla diffusa contestazione della scienza, della società e del sistema dominante di valori e così cominciai a ri considerare il significato dei miei lavori di storia della scienza. La storia del meccanicismo come un sistema di materia in movimento sul quale avevo lavorato per la mia tesi di laurea, assumeva nuove implicazioni quando si leggeva in contrapposizione con la cosmologia rinascimentale degli spiriti viventi e degli esseri spiritualizzati, per la quale tutto era vivo. Iniziai a pormi nuove domande: quale è stato il ruolo della rivoluzione scientifica nel modo in cui noi alle fine del XX secolo conduciamo le nostre vite? E quali erano state le alternative storiche, sia reali che utopiche, ad alcuni degli eccessi del modo di vita dominante?
Hai accennato che sei stata influenzata dalle nuove idee che circolavano nella storia della scienza.
Nell’estate del 1972, ero a Verona, in Italia, per partecipare ad un corso dell’istituto Enrico Fermi sulla storia della fisica del XX secolo, ed i temi della responsabilità sociale della scienza erano al centro della discussione. Lì incontrai il filosofo della fisica, Robert Cohen. Imparai dalle sue lezioni che la rivoluzione scientifica era stata spiegata da Boris Hessen (1931) e Edgar Zilsel (1953) come un fenomeno che nasceva dal primo sviluppo capitalistico e dall’emersione di una borghesia di artigiani e mercanti. Cohen mi introdusse anche al nuovo libro di William Leiss The Domination of Nature che era apparso nell’autunno del 1972. Così iniziai a capire come i cambiamenti economici e sociali possono influenzare le scelte degli scienziati nel loro teoretico.
Quale era il clima culturale nel quale scrivesti The Death of Nature?
Nel 1972, mentre insegnavo un nuovo corso su scienza e società, ascoltai il giudizio positivo dello scrittore di scienza Daniel Greenberg sul libro di Theodore Roszak Where the Wasteland Ends. Non solo il libro di Roszak era una sorprendente critica della scienza meccanicistica e una esplorazione degli approcci alternativi come la tradizione Gnostica e l’arte e la poesia di William Blake, ma esso parlava di una nuova visione olistica globale. Lo stesso giorno che seppi del prezioso libro di Roszak, incontrai anche lo storico della scienza David Kubrin. David introdusse me ed altri al pamphlet “Witches, Midwives, and Nurses” di Barbara Ehrenreich e Deirdre English, così come alle idee che prendevano sul serio il lavoro della tradizione magica alternativa nella storia della scienza. Era una idea di David che il concetto chiave della scienza della prima età moderna fosse che la materia era morta. In un articolo del 1972, “How Sir Isaac Newton Helped Restore Law ‘n’ Order to the West” (e più tardi in un articolo del 1981 intitolato “Newton’s Inside Out”) egli esplorava il ruolo di Newton nel sopprimere le idee alchemiche e magiche nella società e nella sua stessa mente e nel promuovere la visione meccanicistica della natura. Il mio lavoro su Leibniz e quello di David su Newton fornivano uno strumento per l’analisi emergente della nascita della scienza moderna in cui un mondo di forze viventi, vitali scompariva per fare spazio ad sistema meccanicistico inanimato che sosteneva le nuove tendenze capitalistiche della società della prima età moderna.
Cosa è cambiato dalla pubblicazione del tuo libro, nel discorso scientifico e nella storia ambientale?
Molto è cambiato dalla pubblicazione de La morte della natura. C’è più enfasi oggi sulla costruzione sociale della scienza e sulla costruzione sociale della natura. Siamo anche molto più critici della modernità nel cercare di mostrare i suoi fallimenti e i problemi dell’illuminismo e del razionalismo. A partire proprio da queste stesse critiche nasce la domanda su dove stiamo andando. Stiamo giusto decostruendo il passato e dicendo che questi sono stati i risultati del neocolonialismo, della questione linguistica di come la natura è stata descritta? Nel discorso scientifico, le teorie del caos e della complessità suggeriscono che non possiamo ancora pensare che siamo in grado di predire, quindi di controllare e di dominare la natura. Il dominio sulla natura dipende dalla abilità di risolvere differenti equazioni lineari e predirne i risultati; il che significa che possiamo controllare la natura in sistemi piccoli, chiusi. Attualmente siamo in una crisi ecologica globale che è evidente almeno dall’ultimo quarto di secolo. La mia speranza è che per la metà del XXI secolo avremo un differente bagaglio di idee riguardo alla produzione, alla riproduzione, all’ecologia, e una nuova consapevolezza che costituiranno una rivoluzione ecologica globale.
Quali furono le reazioni al tuo libro?
Fui sorpresa dalla ricezione. Un mio amico mi invitò a fare una passeggiata sulla Telegraph Avenue di Berkeley dove era stato messo in vetrina in diverse librerie. Il California Monthly pubblicò una immediata recensione. Presto fui invitata a fare una conferenza all’Harvey Mudd College, il primo di molti inviti susseguitisi negli anni. Per un libro accademico, che il mio editore aveva detto essere troppo avanti per i suoi tempi, questa risposta era gratificante. C’erano tre ovvi gruppi di lettori: femministe, ambientalisti e gli storici della scienza e della tecnologia. Ma il libro guadagnò l’interesse degli scienziati politici, dei sociologi, dei filosofi, dei geografi, dei professori di letteratura inglese e degli scienziati. Più di un centinaio di recensioni del libro sono apparse nel corso degli anni. Le prime recensioni si concentravano sulle connessioni tra scienza e il dominio della natura e sulle relazioni tra donne e natura. I recensori enfatizzavano l’argomento che la visione meccanicistica del mondo si poggiava su un nuovo e brutale sfruttamento dell’ambiente, degli animali, di una natura vivente, vitale. Ci fu apprezzamento per l’integrazione di temi diversi come l’ecologia, la magia naturale, le utopie, i processi di stregoneria, le ostetriche, le donne scienziate, e per ripensare il lavoro dei fondatori della scienza moderna come Francis Bacon, René Descartes, William Harvey, Thomas Hobbes, Isaac Newton, e Gottfried Wilhelm Leibniz.
Ci furono anche reazioni negative?
Sebbene alcuni recensioni ammirarono lo stile vivace e le illustrazioni correlate, altri lo trovarono accademico e arido. Più controversa fu la questione di come gli eventi storici fossero correlati tra loro e con l’emersione di specifiche idee. Un recensore notò che le idee esaminate nel libro talvolta riflettevano valori sociali e talaltra sembravano generare cambiamenti. Altri lamentavano che il tono da crociata e l’orientamento femminista del libro potessero creare opposizioni. Un’altra critica poneva il problema della precisa relazione tra le metafore femminili che descrivevano la natura e la soggezione sociale delle donne.
Ci furono reazioni fuori dall’accademia?
Il libro trovò interesse fuori dall’accademia. Esso arrivo fino alla Camera dei Rappresentanti dove fu inserito tra le ricerche sull’energia nel 1980, fu presentato dal consigliere scientifico di Ronald Reagan George A. Keyworth II nel 1982, e fu scelto da Newsweek nel 1983 in una discussione sul pensiero femminista. Fece il suo debutto in una produzione britannica “Crucible: A History of Nature” dalla Central Television nel Gennaio 1983.
E come fu la reazione negli altri paesi?
Anche riviste e giornali stranieri cominciarono ad occuparsi del libro. Nel 1981 Tore Frängsmyr introdusse il tema al pubblico svedese e con la sua pubblicità apparirono recensioni del libro su Gothenburg Post e Dagens Nyheter di Stoccolma. Nel 1981 il libro fu recensito in Francia, nel 1982 in Giappone, nel 1983 in Polonia, Danimarca, Germania. Il libro fu al centro del rapporto sullo Stato dell’ambiente in India del 1985, mentre nel 1986 esso ricevette l’attenzione dell’Australia. Fu tradotto in giapponese (1985), tedesco (1987), seguito da una edizione per il mercato di massa del 1994, in italiano (1988), svedese (1994), e in cinese (1999). Nel 1990, è uscita una nuova edizione in inglese, per il suo decimo anniversario.
Il libro celebra ora il suo venticinquesimo anniversario. Come tireresti le somme dopo un quarto di secolo?
A me sembra che siano tre i contributi di questo libro. Esso fu una critica precoce dei problemi della modernità e soprattutto della scienza meccanicistica e della visione del mondo ad essa associata, critiche che furono sviluppate poi dal lavoro del decostruzionismo post moderno sull’ottimismo dell’illuminismo e del progresso. Secondo, quando l’ecofemminismo guadagnò attenzione negli anni 80 e 90 del novecento, La morte della natura venne visto come una prima classica sistematizzazione delle relazione tra donne e natura. Terzo, esso indicava la strada verso una reimpostazione delle relazioni etiche verso la natura muovendosi lontano dalle idee di dominio per andare verso una nuova cooperazione dinamica tra essere umani e natura. Attraverso gli anni, a conferenze e seminari, diverse persone mi hanno detto che La morte della natura ha avuto una influenza sulle loro vite, persino ha cambiato il loro modo di pensare. Di questo io sono molto grata.
Ed è per questo che noi siamo grati a te.
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* Parti dell’intervista che segue sono tratte da Carolyn Merchant, “The Death of Nature: A Retrospective,” in Symposio su Carolyn Merchant’s The Death of Nature, citation classics and Foundational Works, Organization & Environment, 11, no. 2 (June 1998): 198-206 e Michal Meyer, “Workspace: Carolyn Merchant: The Past in the Present,” in Newsletter, History of Science Society, Fall 2005.
Bibliografia
R. Carson, Silent spring, Boston, Houghton Mifflin, 1962 (tradotto in italiano Primavera silenziosa, Milano: Feltrinelli, 1963
B. Ehrenreich e D. English (a cura di), Witches, midwives, and nurses: a history of women Old Westbury, N.Y., The Feminist Press, 1973
B. Friedan, The feminine mystique, New York, Norton, 1963
D. Kubrin, “How Sir Isaac Newton helped restore law ‘n order to the West”, in Liberation Magazine 16, no. 10 (Marzo 1972)
D. Kubrin, “Newton’s inside out! Magic, class struggle, and the rise of mechanism in the West”, in H. H. Woolf, The analytic spirit: essays in the history of science. In honor of Henry Guerlac, Ithaca: Cornell University Press, 1981
B. Hessen, The social and economic roots of Newton’s ’Principia’, New York, H. Fertig, 1971
W. Leiss, The domination of nature, New York, G. Braziller, 1972
T. Roszak, Where the wasteland ends; politics and transcendence in postindustrial society, Garden City, N.Y., Doubleday, 1972
E. Zilsel, The social origins of modern science, a cura di D. Raven, W. Krohn e R. S. Cohen, Kluwer, 2000