Con l’acqua alla gola | Daniele Pernigotti
Giunti 2016
Il cambiamento climatico è un fattore che incide sempre più negli equilibri del pianeta. Sembrerebbe un’affermazione scontata (e difatti lo è) ma non per questo l’allarme che ne consegue, avvalorato da inequivocabili riscontri scientifici, pone in essere a priori comportamenti obiettivi e linee di pensiero ragionevoli. Interviene il senso comune, ad esempio, che ci induce a identificare lo stato di incuria in cui versa il territorio come causa principale di eventi di dissesto idrogeologico e non come fattore aggravante dei mutamenti climatici. Incidono il limite della conoscenza e l’incapacità della maggior parte dei mezzi di comunicazione di fornire notizie in modo congruo, al netto di pressapochismi e compiacenze, come nel caso del quotidiano a diffusione nazionale che a seguito di una nevicata copiosa su Milano, avvenuta nel mese di Dicembre, azzardò l’assunto (in prima pagina e a firma del vice-direttore) che il brutto tempo di quei giorni fosse la prova lampante che il clima non stava cambiando. Caos mediatico più o meno doloso, cortine fumogene che hanno avuto e hanno il potere di confondere l’opinione pubblica su fatti ormai pienamente acquisiti, acclarati dai dati relativi all’incremento della temperatura dell’atmosfera e degli oceani, certificati dalle analisi sull’innalzamento sempre più rapido del livello del mare e sulla riduzione dell’estensione e della massa dei ghiacciai.
Daniele Pernigotti, biologo, consulente ambientale e giornalista, nel libro “Con l’acqua alla gola” edito da Giunti (presentazione di Luca Mercalli), esemplifica e decripta dettagliati studi scientifici, testimonia l’ingerenza delle potenti lobby economiche realizzata attraverso strategie di offuscamento della verità e ribadisce (dall’alto di una competenza acquisita “sul campo”) la necessità di sostenere una decisa sterzata alle prassi di sfruttamento delle risorse energetiche planetarie. Cambiamenti urgenti, necessari, che la terra e i suoi silenziosi abitanti, idealmente, reclamano con forza, basti pensare alle alterazioni irreversibili degli ecosistemi perpetrate dall’uomo, capaci di provocare, ad esempio, l’estinzione di un numero di specie viventi mille volte superiore a quella ritenuta naturale.
Uomo irrispettoso, uomo divenuto fattore geologico a partire dalla Rivoluzione Industriale, essere pensante e predatore in grado di plasmare l’ambiente in base alle proprie finalità di conquista.
Il termine Antropocene ne identifica il potere esclusivo, la capacità di erosione e trasformazione pianificata e realizzata in poco più di due secoli. Uomo in forma di era geologica che ha delineato a suo piacimento assesti e dissesti sociali, plasmato un mondo sempre più popolato, sempre più affamato di cibo, beni, servizi, energia, necessità che non possono essere soddisfatte equamente e che di conseguenza creano disuguaglianze, tensioni sociali, divario sempre più intollerabile fra ricchezza e povertà.
Da uno stato di sofferenza della Terra deriva quindi lo stato di indigenza di intere popolazioni, naturalmente le più deboli, le più depredate, in un globale effetto domino i cui contraccolpi sono evidenziati quotidianamente dai canali di informazione e ribaditi dalle personalità più autorevoli del nostro tempo, come Papa Francesco (con l’enciclica Laudati sì) o come Ban Kimoon, segretario generale dell’ONU, che ha dichiarato: “Il cambiamento climatico rappresenta in maniera evidente una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”.
Non restano che grandi, forse titaniche sfide da affrontare. L’elenco proposto da Daniele Pernigotti (oltre al cambiamento climatico) comprende lo sfruttamento non sostenibile delle risorse naturali, il depauperamento delle risorse idriche, l’acidificazione degli oceani, la perdita di biodiversità, l’alterazione del ciclo del fosforo e dell’azoto, il buco dell’ozono e l’inquinamento chimico.
Una road map che richiede l’impegno fattivo degli apparati legislativi e governativi delle nazioni maggiormente industrializzate, oltreché il sorgere, come afferma Daniel Goleman, di un’intelligenza ecologica con cui l’uomo dimostri di riuscire a ragionare con una visione globale e sociale, capace di andare oltre il puro interesse personale e immediato.
Antonia Santopietro