L’AMBASCIATORE DELLE FORESTE | PAOLO CIAMPI
Arkadia editore 2018
Paolo Ciampi ci conduce alla scoperta della figura di George Perkins Marsh, primo ambasciatore degli Stati Uniti nell’Italia unita, padre dei grandi parchi americani ed ecologista ante litteram. Tra le foreste americane, le Alpi e l’Appennino italiano una storia di amore per gli alberi e le montagne. Un libro appassionante come un romanzo che parla di foreste da salvare, cambiamenti climatici, e che ci allerta sulla precarietà del pianeta
Poco importa che si tratti di catastrofi che riguardano tutti, ogni volta che sente parlare di ambiente, l’autore comincia a sbadigliare preso dalla noia. A molti succede così. Un giorno però si imbatte nella figura di George Perkins Marsh, il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti, nominato da Abramo Lincoln. Solo dieci anni più tardi capisce di chi si tratta: è l’uomo che nel secolo del progresso e dell’industria, prima ancora che la stessa parola “ecologia” abbia fatto la sua comparsa, capisce cosa sta succedendo al mondo. L’ambasciatore delle foreste ripercorre la vicenda umana di George Perkins Marsh, diplomatico e ambasciatore delle foreste nel mondo, da quelle del New England alle foreste del nostro Appennino, passando per i deserti dell’Africa. Con stile asciutto e colloquiale, in un dialogo costante con il lettore, Paolo Ciampi riporta alla luce la storia di una persona ingiustamente dimenticata – dall’altro lato dell’Atlantico, invece, Marsh è considerato il padre di parchi come Yellowstone –, che ci regala un nuovo sguardo sugli alberi, sulle montagne, sulla stessa nostra civiltà. Non c’è più noia, con questo personaggio stravagante, che frequenta a malincuore la corte dei Savoia, si appassiona alle saghe di Islanda, coltiva l’idea di portare i cammelli nelle praterie degli Stati Uniti, e che, un secolo prima dei forum internazionali e delle conferenze sul clima e sull’ambiente, parla di foreste da salvare, di cambiamenti climatici e ci allerta sulla precarietà del pianeta e sulla nostra stessa possibilità di sopravvivenza.
per concessione della casa editrice vi proponiamo la lettura di un ESTRATTO
Tanto tempo prima, in confidenza, ha scritto: Se non ci fossero di quando in quando le passeggiate sulle Alpi, che sono il mio Paradiso, sarei morto per il fastidio e le perfidie che circolano intorno a me. Se fossi ricco, mi scaverei un buco nei ghiacciai e vivrei là, con una buona stufa e tutto ciò di cui avrei bisogno.
Che non è esattamente ciò che mi aspetto dall’ambasciatore degli Stati Uniti, il decano della diplomazia in Italia. A parte il fatto che, in effetti, non saprei cosa aspettarmi da un ambasciatore.
Benché abbia studiato alla Cesare Alfieri di Firenze, un tempo buon viatico per la carriera diplomatica, benché sia stato tentato addirittura dallo specifico indirizzo di studi – velleità che comunque si è sciolta come neve al sole. Ben- ché questo e altro, considero gli ambasciatori schiatta di un altro pianeta, che non parla la mia lingua, che osserva liturgie per me incomprensibili. Anche per questo George, un ambasciatore che vorrebbe scavarsi un buco nei ghiacciai e vivere là, mi ha preso di sprovvista.
Per questo voglio raccontare dei suoi Appennini e soprattutto di Vallombrosa.
Oggi è la montagna dei fiorentini, Vallombrosa, almeno dei fiorentini come me, che d’estate, appena possono, scappano dall’afa e dallo stress per cercare ombra e calma. Una bella passeggiata, il panino alla porchetta sul prato, magari una sosta alla Consuma, sulla via del rientro, per la schiacciata ai funghi.
Questa è per me Vallombrosa, non quella di fine Ottocento, quando era una delle più rinomate località climatiche, come si diceva allora.
La villeggiatura a Vallombrosa era cosa che dava lustro, venivano da tutta Italia, persino dall’estero. Una ferrovia a scartamento ridotto collegava la montagna alla linea Firenze-Roma. Aria buona con un tocco di mondanità.
Poi arrivò il Trentino, non più austriaco, a fare concorrenza. Cambiarono le vacanze degli italiani, sempre meno propensi alle villeggiature e alla montagna. Meglio la Versilia che Vallombrosa. E per chi se la poteva permettere, meglio Cortina che Vallombrosa. L’ultima corsa della ferrovia fu del 1924.
Però ci sono ancora le foreste di Vallombrosa, ci sono malgrado la tempesta di vento che qualche anno fa ha abbattuto 50 mila alberi. Sono splendide e hanno una storia. Per George, così abituato alla wilderness americana, alla natura senza uomo, anche solo per questo sono una rivelazione.
Perché queste sono le foreste di Giovanni Gualberto, il giovane nobile fiorentino che invece di vendicare l’assassinio del fratello gettò la spada e si fece monaco.
Un giorno, ai primi di marzo del 1036, venne sorpreso da una tempesta nel cuore dell’Appennino, in un luogo che allora si chiamava Acquabella. Si stava facendo notte e cercò riparo sotto un vecchio faggio. Il quale, narra la leggenda, crebbe miracolosamente in modo che le sue fronde potessero tenerlo all’asciutto. Era il segno che aspettava: era lì che doveva fermarsi. Acquabella divenne Vallombrosa, con la sua abbazia di monaci amici delle foreste.
Allo stesso modo dei camaldolesi di San Romualdo, ordine benedettino che, non lontano da Vallombrosa, obbedisce a una Regola che contiene precise raccomandazioni per salvaguardare gli alberi: il primo Codice forestale.
Anche questa è la storia della mia Toscana, non solo quella a valle, con il Rinascimento sulle sponde dell’Arno. Lorenzo il Magnifico ma anche i monaci che custodiscono gli alberi.
Preghiera e lavoro: e lo stesso lavoro una preghiera.
Tu sarai abete per altezza di contemplazione.
Mistero e santità degli alberi. Per questi monaci come per gli sciamani dei popoli del nord. Non importa siano abeti o betulle: sempre scale sono per collegare la terra al cielo.
San Giovanni Gualberto, santo del perdono e santo dei boschi, oggi è il patrono dei forestali. Proprio lui, il santo di Vallombrosa.
Secoli dopo sono questi boschi che frequenta Adolfo di Bérenger, quarti di nobiltà francese e una vita dedicata ai boschi, tanto che oggi è considerato il padre della selvicoltura italiana. È lui che a Vallombrosa fonda l’Istituto superiore forestale, il primo di Italia.
E negli stessi anni è di questi boschi che si innamora George: studi, interessi, passioni che si intrecciano.
La sua vita di ambasciatore è a Roma, ma qui ci sono le passeggiate e le conversazioni, le curiosità appagate e i nuovi propositi di studio.
Quante cose che George scopre a Vallombrosa, a partire dalla lezione di questi monaci.
La natura senza uomo non è perfetta, la natura con l’uomo spesso si fa disastro: e regolarmente il vero pericolo non è il nomade, il barbaro con le sue tende fuori della città, ma il sedentario, il civilizzato. A volte però succede come a Vallombrosa o a Camaldoli.
Una cultura non è migliore dei suoi boschi, dichiara un gran poeta inglese, Wystan Hugh Auden. Certo si può valutarla dai boschi, aggiungo io, non meno che dalle scuole, dagli ospedali, dalle prigioni.
E perché non potremmo essere diversi, anzi, migliori? A dispetto di millenni di storia alle spalle, dopo tanta miopia, questi monaci ci educano alla previdenza. Sono esempi che fanno bene, che aiutano a coltivare un’idea di avvenire.
Estate 1882. Ai primi di giugno George ha salutato Wurts a Roma dopo avergli affidato incombenze e pratiche da disbrigare. Ha trascorso qualche settimana a Firenze e ora è partito per la sua villeggiatura: ancora un’estate a Vallombrosa.
Come le altre volte ha risalito la valle dell’Arno, tornante dopo tornante. Si è riempito gli occhi delle colline intorno, azzardando qualche paragone con gli scenari del Vermont.
Come le altre volte si è emozionato alla vista degli olivi, che ha imparato ad amare non solo per l’olio ma perché, semplicemente, sono uno spettacolo. Quando era più giovane è stato un piacere raccogliere le olive con gli amici, all’Impruneta. Cose che in Vermont si sognano.
Come le altre volte ha preso alloggio alla locanda nei pressi dell’abbazia, la corona di cime intorno, l’aria dei boschi di abeti e querce da respirare a fondo.
Non è da solo, c’è Caroline, c’è Carlo, cresciuto a vista d’occhio. C’è Adolfo di Bérenger, ovviamente. Ci sono altri conoscenti che come lui trascorrono l’estate tra questi monti e che di tanto in tanto capitano in visita. Ci sono gli studenti di scienze forestali, con cui capita di scambiarsi un saluto e qualche parola.
Le giornate filano via serene, nel modo che ha sempre desiderato. Una passeggiata la mattina e dopo tanto tempo a disposizione per leggere, dettare lettere, badare a Carlo che gioca davanti alla locanda. Prende appunti in vista di una nuova edizione di Man and Nature. Ogni tanto esce per misurare gli alberi, così come una mattina ho visto fare a Tiziano Fratus, nel cuore delle Foreste Casentinesi.
È così lontano da tutto, persino dalle tre capitali italiane dove per più di 20 anni è stato l’ambasciatore degli Stati Uniti d’America, primato di longevità diplomatica a tutt’oggi ineguagliato. Figurarsi quanto è lontano dalla sua America, anche se non si può dire.
Proprio in questi giorni ha scritto a Sargent. Gli dispiace che a Vallombrosa non ci sia un albero che possa riconoscere come americano. Intende rimediare subito. Potrebbe avere qualche seme del New England? Sì, soprattutto dell’acero da zucchero. Quello dello sciroppo. Niente gli ricorda di più casa.
Mi piace che sia questa una delle sue ultime preoccupazioni. Sarà un dettaglio, ma è uno di quei dettagli che spalancano un varco su molte questioni. Mi domando, per esempio, quale albero che sa di casa vorrei con me, qualora mi trasferissi in un altro continente: non ci ho mai riflettuto.
Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, ha lavorato per diversi quotidiani e oggi è direttore dell’Agenzia di informazione della Regione Toscana. Si divide tra la passione per i viaggi e la curiosità per i nomi dimenticati nelle pieghe della storia. Ha all’attivo una trentina di libri usciti per editori come Mursia, Vallecchi, Giuntina, Ediciclo, Clichy. Gli ultimi, in ordine di pubblicazione, sono L’uomo che ci regalò i numeri (Mursia), sui viaggi e le scoperte del matematico Leonardo Fibonacci; Il sogno delle mappe (Ediciclo, Piccola Filosofia di Viaggio) e Cosa ne sai della Polonia (Fusta). Attivo nella promozione degli aspetti sociali della lettura, partecipa a numerose iniziative nelle scuole. Cura due blog, ilibrisonoviaggi.blogspot.it e passieparole.blog.