L’apicultore di Aleppo | Christy Lefteri
di Paolo Risi
L’apicultore di Aleppo origina dall’esperienza di Christy Lefteri come volontaria in un centro per rifugiati, ad Atene, nell’estate del 2016 e poi anche nel 2017. Ricorda la scrittrice inglese, figlia di rifugiati greco-ciprioti: “Ogni giorno nuove persone, a ondate, raggiungevano la Grecia. Famiglie, smarrite e spaventate, provenienti soprattutto da Siria e Afghanistan. Quell’esperienza, il fatto di essere lì a sostenerle e aiutarle nei momenti più difficili delle loro esistenze, mi aprì gli occhi. Mi resi conto del fatto che quelle persone avevano voglia
di raccontare le proprie storie; c’erano barriere linguistiche innegabili, ma comunque volevano parlare, e volevano che gli altri ascoltassero, e vedessero.”
Da voci sparse, infiacchite dalla migrazione e nonostante ciò potenti, impregnate di verità, nasce una storia appassionante, che introietta il bene e il male del mondo, la sofferenza e il riscatto come elemento indissolubile della vita. Da Aleppo, nella martoriata Siria, alla terra della rinascita e del ritorno alla luce, l’Inghilterra, si snoda la vicenda di Nuri e Afra, marito e moglie a cui la guerra, l’odio irragionevole, ha tolto la libertà, la naturalezza dei giorni e delle notti. Lasciano nella loro città lo strazio di un figlio ucciso, ma non i riverberi dell’afflizione; si avventurano nel nero, lastricato di trasbordi e sentieri impervi, seppelliscono le loro identità di apicultore e pittrice nella speranza, sottaciuta, di vederle un giorno rifiorire. Solidali e colpiti nell’anima attraversano il confine con la Turchia, raggiungono Istanbul per poi approdare in Grecia, prima nell’isola di Leros e infine ad Atene, dove si ritrovano a bivaccare – parte di una moltitudine di disperati – nel parco di Pedion tou Areos, un vero e proprio collettore di speranze e solidarietà, ma anche di nefandezze e miserie umane.
Nel romanzo le vicende connesse all’espatrio si alternano a quelle di Afra e Nuri giunti e accolti nel Regno Unito: la drammaticità del viaggio – grazie a questo alternarsi di situazioni e passaggi temporali – viene stemperata e resa esemplare, in qualche modo approfondita e sostanziata. Ciò che il lettore può desumere è la sublimazione della dimensione consueta, massmediatica, e questo grazie a una scrittura che rende vibrante l’angoscia, la speranza, il travaglio psicologico. È la narrativa – ardente come nel caso del romanzo di Christy Lefteri – a metterci in contatto con gli spasmi della realtà, a introdurci, nei limiti del possibile, nei territori sacri della rappresentazione. Le visioni del paesaggio – gli squarci nelle case di Aleppo, il campo volo delle api, il mare che diventa nemico in acque internazionali…– diventano armonia di elementi, allucinazioni, costruzioni consolatorie, e la composizione complessiva innerva personaggi credibili, tridimensionali, umanamente fragili. La salvezza per Afra e Nuri, il riannodarsi in terra straniera del rapporto con Mustafa, cugino di Nuri e maestro apicultore, non è sinonimo di quiete, di rimarginazione delle ferite. Afra è cieca, respinge i colori della guerra, della morte, i volti dei mediatori, dei trafficanti, disegna a memoria e si chiude in se stessa, mantiene vivo un germoglio di resilienza nel paese che la ospita e la incasella in una prassi burocratica. Anche il dolore di Nuri continua a pulsare nonostante l’epifania dell’approdo: per lui la morte del figlio Sami è una voragine inesplorata, che diventa accessibile lungo sentieri immaginari, patologici, e la durezza della migrazione lascia in pegno sensi di colpa che necessariamente andranno elaborati.
Il presente abbozza traiettorie discontinue, in accordo con la biografia dei due protagonisti, senza per questo precludere a un orizzonte di redenzione, di bene riconquistato. È magistrale la sensibilità di Christy Lefteri nel tratteggiare il microcosmo – un bed & breakfast sulla costa meridionale inglese – dove i coniugi siriani, insieme ad altri rifugiati, si preparano a una nuova vita riscoprendo il valore della solidarietà e della fratellanza. Nella residenza provvisoria Afra sembra scorgere delle forme, riconosce tonalità e intenzioni, e in conseguenza di ciò dà fondamento all’inquietudine di Nuri: il loro è un commovente riaprirsi alla tenerezza, alle sfumature dell’amore. Allungo la mano e la tocco per la prima volta, le faccio scorrere la mano per l’intera lunghezza del braccio e poi sul fianco. La tocco come se fosse fatta di vetro fragilissimo, come se potesse rompersi sotto le mie dita, ma lei sospira e si fa più vicina, pur continuando a dormire. Mi rendo conto di quanto ho avuto paura di toccarla.
Quante parti di realtà può contenere un racconto, e quanto deve essere solida la sua struttura per arginare la potenza dei fatti, la burrasca satura di rimpianti, atrocità ed espressioni del male? Il romanzo di Christy Lefteri non si sottrae alla complessità dell’analisi, accoglie in sé testimonianze dirette e l’elaborazione delle stesse, induce alla riflessione (come se si trattasse di un reportage in presa diretta) e accompagna il lettore nei territori dell’indicibile, delle passioni allo stesso tempo intime e universali. L’apicultore di Aleppo è un progetto di accudimento, di visione del presente che – attraverso una scrittura tersa e sfolgorante – celebra la vita nei suoi molteplici e contraddittori aspetti. A perdurare è la solidità dei personaggi, la verità di Afra e Nuri contrapposta all’indifferenza, alle mistificazioni della guerra. Il mio libro – scrive l’autrice in una nota al romanzo – è una storia di finzione. Ma Nuri e Afra hanno preso forma nel mio cuore e nella mia mente grazie a tutta la strada che ho percorso in mezzo a quei bambini e a quelle famiglie approdate in Grecia. Ho scritto questa storia per esplorare come può cambiare il rapporto tra persone che si amano profondamente, ma che hanno sofferto terribili perdite. L’apicultore di Aleppo parla quindi di elaborazione del lutto, ma anche di amore, e di speranza. Perché è questo che ho visto e ascoltato e provato nelle strade e nei campi profughi di Atene.
Christy Lefteri:
Figlia di rifugiati greco-ciprioti, emigrati nel Regno Unito nel 1974 dopo l’invasione turca, è nata a Londra nel 1980. Ha studiato alla Brunel University e insegnato inglese prima di lavorare come volontaria in un campo rifugiati dell’Unicef ad Atene, che le ha fornito ispirazione per L’apicultore di Aleppo. Uscito nel maggio 2019 in Inghilterra, è immediatamente entrato nella classifica dei bestseller, mentre si prepara a essere pubblicato in tutto il mondo.