Eccellente operazione di letteraria, quella attuata dal critico e scrittore Dario Pontuale con “Le novelle del defunto Ivan Petrovič Belkin”, di A. S. Puškin, edito da Kogoi (2016) nella collana Talismani, integrati oltre che dalla splendida prefazione dello stesso Pontuale, sulla carismatica figura di Leone Ginsburg “Troppe anime per un uomo soltanto”, da un saggio di Pietro Gobetti “La versatilità di Puskin” e uno dello stesso Ginzburg sulla Traduzione, apparso sulla Rivista Pegaso, nel febbraio del 1932.
Dalla tua prefazione, leggiamo: “La figura di Leone Ginzburg assume i tratti, dunque, della persona gentile, colma di passione e sensibilità, le medesime doti mostrate quando, nonostante le torture subite, confida al giovane Sandro Pertini: “Guai a noi se domani […] nella nostra condanna investiremo tutto il popolo tedesco. Dobbiamo distinguere tra popolo e nazisti”. Misericordiosamente laico persino durante il tormento.” ci colpisce l’assoluta attualità di questa visione che è propria dei grandi, siamo in grado oggi di interiorizzare questa lezione? Vista l’attualità a noi pare di no…
Sfortunatamente credo che questa lezione sia ancora difficile da assimilare e spesso si commetta l’errore di tracciare un’invalicabile linea tra bene e male, tra giusto e sbagliato; perseguendo ottusamente una visione manichea della storia e delle persone. L’insegnamento che Leone Ginzburg lascia, oltretutto in uno dei momenti più drammatici della sua vita, è il risultato della consapevolezza di un uomo che scinde con raziocino le differenze sostanziali tra gli uomini senza mai lasciarsi sopraffare da vendette egoistiche o interessate. Ginzburg guarda restando acutamente lucido perfino sotto tortura.
L’opera da te proposta, rappresenta nella sua formula una traccia imprescindibile non solo letteraria ma anche di visione rispetto a questi grandi maestri. Da cosa muove il tuo interesse circa la figura di Leone Ginzburg?
Ginzburg rappresenta uno dei maggiori personaggi italiani capaci di trasmettere, con foga e passionalità:impegno letterario, impegno politico e impegno sociale. Soprattutto rappresenta un coerente esercizio di etica, una pianta che, principalmente in Italia, appare sempre più rara e osteggiata. Ginzburg non dimentica mai la propria umanità e, accompagnato da questa normale fragilità, combatte l’ingiustizia con l’arma della tenacia, altra pianta particolarmente avversata.
Secondo quanto osservi, Ginzburg è difficilmente identificabile in una sola anima, di certo fu un fine letterato e prese parte attiva ai movimenti antifascisti e alla vita letteraria del tempo, abbiamo a tuo avviso esempi attuali di una poliedricità di tale spessore? E, per citare le tue parole, chi potrebbe oggi “uscire dall’insulsa retorica” di riduttive categorizzazioni?
Non credo oggi sia facile rintracciare profili simili, ma nel periodo compreso tra le due Guerre mondiali lo scenario era assai più popolato di personaggi capaci di condensare in loro azione e pensiero, filosofia e pratica. Vengono in mente figure poliedriche come gli esiliati di Ventotene, uomini che per le loro idee subirono infamanti punizioni, lasciando però un bagaglio di concetti di ampissima modernità. Un nome su tutti: Altiero Spinelli e il suo Manifesto per l’Europa, opera che ancora oggi è un perfetto trampolino verso il futuro.
Altresì di Ginzburg si apprezza la partecipazione a riviste come Pegaso, non sembra anche a te che oggi ci sia meno propensione a creare realtà programmatiche e manifesti che mettano in discussione modelli ideologici creando nuovi movimenti? A che punto siamo?
Ciò che mi preoccupa non è l’oggettiva mancanza di movimenti, piuttosto la direzione che questi potrebbero prendere. Un movimento, nella sua essenza sostanziale, prevede un’anima scevra da qualunque influenza di mercato e libera di agire all’interno di uno spazio condiviso. Reputo, purtroppo, che oggi sia estremamente arduo organizzare e veicolare dei movimenti culturali non dettati da logiche economiche, ogni azione, infatti, prevede un riscontro finanziario che complica qualunque slancio collettivo.
Veniamo al Saggio di Piero Gobetti, questi ci parla della versatilità di Puškin, ammonendo la critica dal vedere nei suoi tratti lirici un eccesso di vena romantica byroniana, quanto invece la sua capacità di sublimare una dissennatezza pure mal celata. Cosa ci puoi dire a riguardo?
Puškin possiede, come molti artisti russi, una doppia anima: la prima indossata senza timori e la seconda tenuta nel taschino come una rivoltella pronta a sparare. Mostra toni romantici, palesa descrizioni piene di struggimento, ma è in grado anche di costruire personaggi indomiti, situazioni complesse nelle quali soltanto un fermo ideale permette la salvezza individuale. Puškin è tenacemente convinto delle proprie intenzioni artistiche ed escogita soluzioni narrative uniche e coraggiose da offrire al proprio pubblico.
Nel saggio in merito alla pratica traduttiva, Ginzburg non risparmia una vena anche sarcastica, nel richiamare i colleghi ad un rigore dovuto rispetto a questo lavoro, e non solo ma, estendendo il concetto, alla cura per le opere e alla loro divulgazione. Anche questa ci pare una lezione di “rispetto” e amore per lettere piuttosto disattesa oggi, che ne pensi?
Penso sia uno dei messaggi più importanti dell’intero volume, ma anche il più vilipeso. Oggigiorno troppo spesso si confondono competenze e specializzazioni, troppo spesso si crede che chiunque sia in grado di esercitare qualunque mansione. Il lavoro, qualunque lavoro, richiede metodo, applicazione, studio e assiduità, ma sciaguratamente questi valori imprescindibili vengono soppressi dalla fretta, dal pressappochismo, dal qualunquismo, dalla furbizia. Dicono sia colpa del mercato, ma forse bisognerebbe ammettere che per produrre buone cose servono persone valide, soprattutto nell’ambito della divulgazione che fin troppo spesso viene confusa con l’insolente autocelebrazione.
Veniamo ora al tuo lavoro, e a questa riproposta in raffinata amalgama di classici illustri, nota è la tua passione e competenza per gli scritti dell’800 e 900. Qual è l’intenzione di valore che attribuisci a queste operazioni?
Riscoprire i Classici è un po’ come salvaguardare ricette di immortalità. Seppur coperti di polvere certi capolavori restano giovani e possono dimostrare nitidamente quanto di buono ci sia in loro, ma hanno bisogno di fiducia sia da parte degli editori, sia da parte dei lettori. Non bisogna aver timore delle oltre mille pagine del Conte di Montecristo, poiché è impossibile non rimanere affascinati da un uomo che pianifica una vendetta per oltre vent’anni. I Classici fermano il tempo senza restarne schiavi e confessano a tutti che, nonostante le epoche, in fondo l’essere umano combatte sempre contro gli stessi timori.
Che attenzione riscontri nell’editoria attuale, che come sappiamo vive momenti turbolenti, e che ha il problema del ciclo di vita ultra breve delle nuove proposte?
L’editoria contemporanea è fin troppo preoccupata di pubblicare opere con aspettative per il futuro assai brevi e non credo resti molto altro da dire. I motivi di simile atteggiamento sono numerosi, più o meno onorevoli, e la disamina rischia di essere spietata, ma finché l’unica preoccupazione sarà editare opere nuove per soddisfare il mercato distributivo (quasi mai pago), la frenesia porterà rapidamente al caos, un caos che disperderà i libri meritevoli e farà galleggiare soltanto quelli meglio “promossi”.
Domanda provocatoria, Ginzburg, Gobetti, Puškin, proviamo a fare la stessa operazione in chiave attuale, chi accosteresti? E perché?
Questo somiglia molto al gioco della “pistola alla tempia” e, oltretutto, non è una risposta facile, quindi mi avvalgo di un’opinione “ecumenica”, una di quelle che si danno per non offendere nessuno, è tuttavia estremamente sincera: Sfortunatamente di Ginzburg, Gobetti e Puskin dubito ne avremo altri, ma voglio sperare che il loro insegnamento, impegno professionale ed esistenziale funga da sprone, stimolo, incitamento. Credo in tutto ciò perché reputo questi tre elementi necessari per proseguire un utile discorso di civiltà.