Le pietre | Claudio Morandini
Exorma 2017
di Paolo Risi
“I Saponara rimasero a fissare per tutto il giorno la pietra nera da dietro le tendine della finestra. Si sentivano prigionieri di una situazione che si ripeteva giorno dopo giorno: avevano già sbirciato dalla finestra, avevano già tenuto d’occhio pietre che si sarebbero mosse solo nel momento preciso in cui loro si sarebbero distratti, avevano già provato questo sentimento di impotenza e di paura e di abbandono”
Quello di Sostigno è un popolo in perenne transumanza. Dalle loro parti, alle loro cospicue altitudini, la terra vibra e smotta, costringendo a frequenti trasferimenti verso gli alpeggi di Testagno. Sono fenomeni che oltrepassano la logica, gli allarmi e i pareri dei geologi, si tratta di eventi reali, altre volte soltanto immaginati o sognati. Appaiono come presagi di accadimenti definitivi, ma nonostante ciò gli abitanti non sembrano curarsene particolarmente, continuano a vivere accettando l’invasività delle pietre semoventi, la loro impertinenza.
I fatti inquietanti hanno inizio nella residenza dei coniugi Ettore e Agnese Saponara, non a caso i forestieri, i non autoctoni del villaggio, cittadini saliti in quota, da pensionati o quasi, ad apprezzare colori, paesaggi e aria salubre. La loro abitazione si distingue dalle altre, presenta una suddivisione degli spazi canonica, tipicamente borghese, ed è proprio nel tempio domestico per eccellenza, il salotto, che avviene la profanazione, l’episodio apparentemente insignificante che farà da preludio all’invasione vera e propria.
Un mucchietto di terra, o forse di polvere, viene individuato dal signor Ettore nel centro della “stanza buona”. L’ipotesi più probabile, pensano i coniugi Saponara, è che qualcuno, dall’esterno, abbia trasportato involontariamente quello strano materiale, magari veicolandolo con la suola di una scarpa. Il fatto sembrerebbe spiegabile, non vale la pena soffermarcisi troppo, ma il giorno seguente, quasi sulla stessa piastrella del salotto, fa la sua comparsa un’altra montagnola di terra, grande il doppio rispetto alla precedente. È il prologo di una macabra escalation, del processo inesplicabile che segnerà i destini della comunità: dalla polvere si passerà ad un sasso, da un sasso a molti sassi e così via, fino all’occupazione della stanza, delle strade, e alla virulenza delle pietre. I Saponara diventano così un pezzo fondamentale della storia di Sostigno: vengono ricordati come la causa, il fattore scatenante del fenomeno tellurico. Il bisogno di quietare le coscienze ha determinato, ancora una volta, l’individuazione di un istigatore, di un bersaglio attorno al quale si dipana la consueta girandola di esistenze e relazioni assortite.
La polvere lanciata nell’aria montana da Claudio Morandini – ispirazione che dà vita ad un romanzo corale, piccola sinfonia che ha per protagonista l’elemento minerale – acquisisce brillantezza grazie al riverberarsi dell’ironia, di un umorismo sornione, ingredienti narrativi in grado di tradurre al meglio lo sconcerto dell’individuo, il vacillare delle sue annose convinzioni. C’è qualcosa di Eugène Ionesco negli ambienti e nei volti delineati da Morandini, c’è una familiarità con gli strumenti del grottesco capace di tradursi nella realizzazione di una specie di antifiaba ecologica, cronistoria romanzata che cela sotto una velature di disincanto le ramificazioni del caos. Ma soprattutto c’è la scioltezza, la libertà dell’invenzione e dell’ibridazione a caratterizzare il romanzo edito da Exòrma: in alcuni momenti le strade di Sostigno si ammantano di un’atmosfera vagamente fantasy, in altri la cocciutaggine delle pietre, la loro invasività, fanno pensare agli oggetti “indemoniati” tanto cari al genere horror, rimandano alle ghost stories e al teatro dell’assurdo.
L’io narrante racconta il disfacimento geologico e del buonsenso, dal passato emergono antichi tradimenti e ipocrisie, i fallimenti e le tragedie collettive. Come triste corollario dell’enigma, della danza delle pietre, compaiono nel villaggio buffi ciarlatani, storici locali e loschi druidi del fondovalle abili ad alimentare la superstizione degli abitanti. Sul versante opposto gli studiosi provano a combattere lo sconcerto utilizzando le armi della supponenza e della razionalità; anch’essi, una volta constatata la non misurabilità del dato paranormale, si lasceranno quietare dalla profondità del mistero, dal suo potenziale seduttivo: “Così, anno dopo anno, di alcuni di loro siamo diventati amici. Due si sono pure fidanzati con delle ragazze qui del paese, e pazienza. Loro ci dicono di andarcene, che i loro sensori stanno impazzendo per tutta l’attività sismica che ci balla sotto i piedi, noi fingiamo di ascoltarli e rimaniamo. E loro pure”.
I tentativi di restaurare l’ordine, di ridare al creato un assetto antropocentrico, falliscono al cospetto di una volontà superiore, imperscrutabile. Il rifugiarsi sugli alpeggi, nella frazione più a monte di Testagno, non garantisce contro l’implacabilità delle frane e delle scosse sismiche; agli uomini e alle donne, in mancanza di punti di riferimento credibili, non rimane che dedicarsi al pendolarismo, divenire nomadi adattati al predominio delle rocce, sempre in marcia tra l’alto e il basso. Ormai la leggenda dei Saponara si è tramutata in patrimonio e afflizione comune, in una realtà troppo dolorosa per essere decifrata e messa in discussione: “Ora sì che le pietre dei Saponara assomigliano a quelle che ci sono entrate nella vita e ci circondano, ci seguono ovunque, ci guardano non viste, e sembrano solo aspettare il momento buono per venirci addosso. Le pietre dispettose, vendicative, cocciute, stupide che ci costringono a cercare requie ora giù a Sostigno ora su a Testagno senza che la troviamo mai davvero per molto tempo”.
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