Graziella Pulce, specialista di letteratura moderna e contemporanea, grande conoscitrice dell’opera di Giorgio Manganelli, nel 2004 pubblica l’esito di un’operazione bibliografica intensa e articolata, Giorgio Manganelli. Figure e sistema (Mondadori Education, Le Monnier 2004), proponendo un’ampia ed esaustiva trattazione dell’autore, di cui traccia un complessivo profilo biografico, bibliografico e letterario. Ha da poco pubblicato la Bibliografia (1942-2015) con una cronologia della vita e delle opere e un regesto delle collaborazioni radiofoniche (per l’editore romano Artemide). Le rivolgiamo qui alcune domande, insieme ricostruendo un ricordo di Giorgio Manganelli, attraverso la sua esperienza.
Innanzitutto una curiosità. Perché sceglie di applicarsi all’opera di Giorgio Manganelli?
Come molte cose nella vita, anche questa è cominciata per caso. Ovvero dalla tesi di laurea. Mi erano stati proposti alcuni autori contemporanei, tutti dell’area neoavanguardistica, e la scelta cadde su Manganelli. Cominciai seguendo quello che in quel momento appariva come il più ovvio dei percorsi, ovvero seguii l’ordine cronologico delle edizioni. Dunque partii da Hilarotragoedia e andai avanti. La vera folgorazione però avvenne con Amore. Amore azzerò d’un colpo quello che io avevo inteso di questo grande giocoliere della letteratura. Quel titolo così provocatorio e così assoluto conteneva una sfida. I versi di Cavalcanti posti in epigrafe davano subito un vigoroso altolà a qualsiasi ipotesi di scipiti sentimentalismi. Quel libro era un labirinto senza uscita, notomizzava l’amore trasformandolo in uno spazio dilemmatico, in una scena teatrale allucinata e raziocinante. Amore come piaga, malattia, follia, assenza. L’amore diventava la dimensione in cui l’io precipitava fuori di se stesso per essere scagliato in una dimensione sconosciuta e straniante. Se dovessi consigliare Manganelli a qualcuno che ancora non lo conosce gli suggerirei di partire da Amore, più che da Hilarotragoedia, che richiede invece una lettura innamorata di ardimenti linguistici e con le potenzialità oniriche e visionarie dell’inconscio.
Ci parli di questo grande scrittore. È possibile tracciarne un profilo complessivo?Diciamo che come tutti i grandi, Manganelli non può essere ristretto in una formula sbrigativa che voglia ‘liofilizzarne’ la specificità. E ciò è tanto più vero per uno scrittore come questo che è stato oggetto di letture anche molto divergenti le une dalle altre. Indubbiamente Manganelli è stato a lungo un autore di nicchia, i suoi libri erano letti da un settore ben preciso di lettori, quelli amanti dell’ottima prosa, della sintassi fastosa, del lessico ricchissimo. Era un devoto dell’Adone di Marino, delle Operette morali di Leopardi e quando ha potuto disegnare una collana di testi italiani ha optato per testi che si segnalavano per l’inventiva linguistica (il Malmantile, il Morgante maggiore,…). Per sintetizzare possiamo dire che noi sappiamo che Manganelli scriveva moltissimo ben prima di diventare ufficialmente uno scrittore (i suoi Appunti critici, quando saranno pubblicati, saranno guardati non troppo diversamente da come leggiamo lo Zibaldone leopardiano). C’è poi l’esordio con Hilarotragoedia, nel ’64, cui fanno seguito opere in prosa e raccolte di saggi e reportage di viaggio. Aveva infatti cominciato a scrivere sui giornali e sui settimanali più accreditati (“Il Giorno”, “L’Espresso”, “Il Corriere della Sera” ed altri), i quali gli commissionavano articoli di recensione e reportage. Abbastanza presto si concentrò su una scrittura che privilegiava l’andamento dell’’ipotesi, ovvero ogni opera palesemente proponeva la situazione di un personaggio che si lancia in costruzioni linguistiche che si interrogano sulla struttura e la finalità del mondo. E siccome per Manganelli il mondo è fatto di parole, si tratta ogni volta di fare un viaggio con le parole, al seguito delle parole, dentro le parole, dopo le parole.
Se volessimo sintetizzare un messaggio che sottende l’opera di Giorgio Manganelli un fil rouge che lei ha riscontrato in questo lavoro di raccolta bibliografica, secondo lei cosa emerge?
Non credo si possa parlare di messaggio in questo caso. Per Manganelli la letteratura è ciò che accade quando si lascia che le parole agiscano (pensiamo al Discorso dell’ombra e dello stemma o del lettore e dello scrittore considerati come dementi). Ecco, incontrare le parole vuol dire essere portati fuori dalla mente, accettare di perdere il controllo della situazione in cui ci troviamo, o meglio di perdere l’illusione del controllo, e aggirarsi in uno spazio nuovo nel quale non vi sono certezze dimostrabili ma solo apparizioni e immagini che si fanno e si disfano seguendo un disegno che si coglie – forse – solo per caso e solo per un momento. Dunque, lì, grazie alla letteratura, accade qualcosa che vale la pena di incontrare. E questo qualcosa non è mai prevedibile né controllabile. In questa nuova edizione compare una nuova sezione, quella delle collaborazioni radiofoniche, che aggiungono parecchi elementi al profilo di questo autore.
Chi li ha ascoltati ricorda bene gli interventi radiofonici di Manganelli.
Sì, erano gli anni delle “Interviste impossibili”. Oggi sono un genere presente nelle antologie scolastiche, ma all’epoca erano una strepitosa novità. Effettivamente Manganelli ebbe una lunga frequentazione con la radio. All’inizio si trattava soprattutto di bibliografie di letteratura inglese e americane. Ma poi prese a collaborare in forme più creative. La sezione delle collaborazioni radiofoniche è piuttosto nutrita e continua negli anni. È facile pensare che doversi rivolgere ad un pubblico colto, ma non necessariamente specializzato (quale era quello di Radio Tre, ad esempio), lo inducesse a praticare un versante ulteriore della scrittura e mettere in atto potenzialità di inventiva, che ebbero poi ricadute significative anche sulla sua scrittura. Sapeva essere molto divertente anche per radio. Sapeva come catturare l’attenzione degli ascoltatori. Quella teatrale è una vena che lo caratterizzava e l’umorismo che segnava le conversazioni con lui era lo stesso che si ritrovava ascoltandolo alla radio o leggendo i suoi leggendari corsivi.
Non si può non rilevare l’opera titanica da lei svolta. Che difficoltà ha incontrato?
Allestire una bibliografia è opera di pura pazienza. Tutto è cominciato quando Manganelli mi affidò le sue carte. Cominciai a dare un ordine a quei fascicoli che contenevano dattiloscritti e ritagli di stampa, cominciai a metterli insieme secondo un criterio che non poteva che essere cronologico. Avviai un lavoro di schedatura e di soggettatura, ma ben presto fu chiaro che era necessario trascrivere e schedare anche le prime parole dell’articolo. Quando trovavo un dattiloscritto con un testo privo dell’indicazione della data o della destinazione editoriale e dovevo appaiarlo alla stampa non era facile recuperare i dati. Trascrivere l’incipit di ogni pezzo consentiva di individuare più facilmente la ricerca e la collocazione. Quando Manganelli mi chiese di allestire una antologia (che doveva essere pubblicata da Garzanti) mi trovai a scegliere tra le varie centinaia di pezzi e vennero fuori due libri. Uno è Laboriose inezie, che comprende articoli fino al primo Novecento, l’altro, cui Manganelli aveva deciso di dare il titolo Gli oggidiani, che arrivava a comprendere i testi e gli autori della contemporaneità, e che dunque comprendeva i grandi classici del Novecento sui quali era tornato più di frequente (Savinio, Morselli, Flaiano, Frassineti, ad esempio) fino ad arrivare agli scrittori dell’oggi, appunto, soprattutto gli amatissimi Citati, Arbasino, Ceronetti, Calvino. Ma l’iniziativa non ebbe seguito e quel volume rimase nel cassetto. Un libro che ha caratteristiche molto manganelliate: un libro che non c’è sugli scaffali, ma che l’autore aveva voluto, licenziato e addirittura spedito a Milano in vista di quella che si riteneva fosse un’imminente pubblicazione. Ecco, con Manganelli capita anche questo.
Va anche detto che l’iniziativa della pubblicazione è andata in porto solo grazie a Vincenzo Innocenti Purina (che ho conosciuto grazie alla mediazione dell’amico Giorgio Biferali). È stato infatti grazie al direttore della Casa editrice Artemide che ha questo volume ha potuto vedere la luce.
Quanto alle difficoltà di preparare una bibliografia sono ovviamente moltissime. Bisogna mettere in conto lunghi soggiorni nelle più svariate biblioteche alla ricerca di un dato (la conferma delle pagine di una pubblicazione, l’esattezza di un titolo, il numero del fascicolo della rivista), quando non si tratta addirittura di battere a tappeto una rivista alla ricerca di articoli. Quando lui era vivo, chiese ai giornali per cui scriveva di farmi avere la lista degli articoli (Corriere della Sera, La Stampa, ecc.) e lì si trattava solo di controllare (controllare e verificare sono ovviamente Scilla e Cariddi, gli incubi del bibliografo; se qualcosa non combacia si deve ricominciare dalla fonte e lì si apre un altro capitolo). Ma per molte testate si è dovuto accedere agli archivi dove possibile, o semplicemente richiederle fascicolo per fascicolo e sfogliarle con pazienza. Ricordo che ad un certo momento dovetti chiedere di consultare “Playboy” per gli anni nei quali Manganelli aveva collaborato, perché non ero affatto sicura di avere tutti i pezzi. “Playboy”, naturalmente, alla Biblioteca Nazionale di Roma si poteva richiedere, ma era necessario superare una serie di sbarramenti, riempire un modulo speciale e specificare per filo e per segno quali fossero i motivi che inducevano una onesta frequentatrice di biblioteche a formulare una richiesta così bizzarra. Non c’è bisogno di dire che la cosa aveva un suo lato comico. Io dovevo dimostrare che avevo delle valide e oneste ragioni per voler mettere le mani sulla rivista erotica più sfogliata d’Italia.
Quanto tempo ha richiesto? e che metodo si è data?
L’unico metodo possibile in questi casi, ripeto, è l’esercizio della pazienza, accompagnato dallo stigma del dubbio. Mai dare per scontata la bontà di un dato senza effettuare un controllo. E neanche tutto questo consente di eliminare l’eventualità di commettere errori. Io direi che fare una bibliografia è una delle attività in cui una persona sana di mente non dovrebbe mai cacciarsi senza sapere bene che dovrà pagare un prezzo piuttosto elevato. Si tratta di un’opera infinita, perché è vero che Manganelli ha scritto il Discorso sulla difficoltà di comunicare coi morti (poi compreso in Agli dèi ulteriori), ma è anche vero che ha continuato negli anni successivi alla sua morte a far pervenire scritti di ogni genere ai suoi affezionati lettori. Continuavano, infatti, ad uscire inediti, scritti dispersi, lettere ed altro. Quindi forse quella ‘difficoltà’ nel caso di Manganelli semplicemente non sussiste. Il tempo? Direi che tutto è cominciato nei primi anni Ottanta, e – come si può vedere – la storia non è ancora finita.
Antonia Santopietro
in collaborazione con Dario Pontuale
Nota biografica