Luoghi per guarire. Il potere curativo della natura
Samantha Walton
Ponte alle Grazie 2022
Il “ritorno alla natura” può implicare delle strategie commerciali, o crogiolarsi in un’astrazione antistorica. Permane un desiderio individuale di “incontaminato”, di “purezza”, che per svariate cause può inquinarsi, generare azioni controverse.
Samantha Walton, in Luoghi per guarire, non “conserva” un pensiero utopico, un ideale sfaldato e a conti fatti inconsistente, ma si attiva per documentare e dare giustificazione alla complementarietà uomo-natura. Viaggia e osserva (le foreste finlandesi, l’arcipelago delle Shetland…), per dirimere dubbi personali e per affacciarsi sui misteri dell’alterità, che siano trascendenti o organicamente strutturati.
Come in un reportage scandaglia pratiche e piattaforme del benessere, intenzionata a separare ciò che è tendenza, derivazione esanime, da ciò che può condurci verso un modo di vivere più giusto e profondo, andando alle radici del significato di esistere – e co-esistere – bene.
Porsi domande, tentare di comprendere le ragioni di una scissione, fra l’uomo contemporaneo e la sua essenza originaria. Luoghi e ed elementi, i quali diffondono una sorta di armonia primigenia, sempre più rarefatta, sempre più inascoltata.
L’acqua, tanto per cominciare, e l’autrice mette nero su bianco il suo stile, il suo approccio narrativo: si affida alla memoria, per trasmettere al lettore le sensazioni provate la prima volta che ha nuotato in un lago, dopodiché impone a se stessa l’obiettività della saggista, della testimone, recandosi a Lourdes per verificare la traslazione dell’elemento acqua verso una simbologia di purificazione e nutrimento.
Senza pregiudizi Walton accoglie il fatto mistico, lo innesta in un discorso complessivo, che in parte è terapeutico, in parte filosofico. Per i cultori della natura è lecito parlare di estasi: rinnovamento e autodeterminazione, in una cornice di spiritualità secolare, nell’interazione tra il corpo e il luogo che si sviluppa a ogni bracciata, a ogni decisione su direzione, profondità e velocità, presa nell’ambito di una conversazione intima con l’acqua.
Curiosità, innanzitutto, una forma intellettuale che accorpa esperienze, riflessioni e studi scientifici. A partire da territori e comunità quella di Walton è una ricognizione a trecentosessanta gradi, racconto che interseca temi di attualità, come il manifestarsi nelle nostre vite di una crisi pandemica o l’impatto sempre più dirompente dei cambiamenti climatici.
Sempre lasciando al lettore il gusto di approfondire, di divenire esso stesso motore del cambiamento, la scrittrice inglese elenca dettagliatamente ambienti che custodiscono e rivelano un potenziale curativo. Mantenendo una certa equidistanza propone excursus storici, obietta o avalla contenuti e interpretazioni dell’ecoterapia. Significativi anche i riferimenti alla fruibilità dei siti naturali, non sempre garantita e spesso intaccata da disparità di carattere sociale e culturale.
Altri protagonisti del volume edito da Ponte alle Grazie, a cui vengono dedicati capitoli densi e dall’efficace taglio divulgativo, sono la montagna (ambiente in cui gli uomini sperimentano una vera e profonda affinità con la natura), la foresta (con un mix di aspetti benefici che vanno dalla “chimica dell’aria” al riconnettersi con una dimensione arcana, non normata), il giardino (un posto per meditare, per curare la solitudine, una sorta di bagno in cui immergersi, al riparo dal mondo esterno, finché non si è abbastanza forti per riemergere), il parco (piccola macchina del benessere, luogo di fruizione della bellezza), la fattoria (al di là delle mode, oltre al bucolico per abbracciare Virgilio e il poema Le Georgiche), e infine la natura virtuale con le sue contraddizioni e applicazioni sperimentali.
Scrive Walton, condensando una verità potente, che ha ancora la forza di sorprenderci: quando «andiamo nella natura», tuttavia, qualcosa accade: qualcosa che non può essere comprato o venduto. In Luoghi per guarire si coglie il desiderio di incontrare il mondo, di concedersi un contatto con una dimensione autonoma, che surclassi il teorema del businnes as usual. In definitiva: ecoterapia non in quanto rimedio, prescrizione, sorta di protocollo olistico, ma responsabilità e impulso consapevole, finalizzati a una presa di coscienza collettiva.
Mi sono imbarcata in questo viaggio per scoprire la «terapia della natura», per capire che cosa fosse e se funzionasse. La «natura curativa» che mi aspettavo di trovare era quella tardoromantica: una natura consolatoria, rigenerante, trascendente e in grado di trasformarci, una cosa che è possibile conservare nella nostra memoria affinché ci nutra e ci sostenga nei momenti difficili e cupi […] Dietro tutto questo, però, emergeva un altro tipo di terapia della natura che non si limitava a usare il fascino, ma era critica e aveva un potenziale radicale. Riguardava la bellezza e il piacere, certo, ma anche l’ingiustizia, la diseguaglianza e il futuro allarmante che ci attende: proprio le cose che spesso vogliamo dimenticare quando ci rivolgiamo alla natura curativa. Il fatto che mi venissero ricordate queste realtà, anziché «rovinare» la terapia della natura la arricchiva di spunti su modi diversi di stare al mondo che ci consentono di «tornare alla realtà» con propositi e speranze più chiare.