Un “mal di Terra” nell’età senza innocenza
di Paolo Lago
Quelli che stiamo vivendo sono tempi in cui, in termini climatici e ambientali, si sta perdendo qualsiasi innocenza rispetto al passato. Mi spiego: oggi non possiamo più avvalerci di ‘linee guida’ che avevano avuto un valore fino a venti o trent’anni fa. Linee guida create dalla letteratura, dalla poesia, dalla filosofia, dal pensiero in genere. Ce ne dà un ottimo esempio il sociologo danese Nikolaj Schultz nel suo recente saggio costruito come un racconto “etnografico narrativo” dal titolo Mal di Terra, uscito recentemente per wetlands con la traduzione di Serena Parisi, una prefazione di Emanuele Coccia e una Postfazione di Dipesh Chakrabarty. Il libro racconta di come l’autore, per sfuggire al caldo torrido di Parigi, un’estate decida di accettare l’invito dell’amico Victor e di recarsi con la sua barca all’isola francese di Porquerolles. Una notte, ammirando il cielo stellato dalla barca, Victor ricorda il celebre passo kantiano tratto dalla Critica della ragion pratica: “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. A Schultz però viene subito da pensare che “guardando attraverso l’oblò della cabina, il cielo non sembrava separabile dalla moralità o dalla libertà; questo cielo e queste nuvole piene di gas serra non erano al di sopra della mia moralità o libertà; anzi, stavano prendendo una certa forma preoccupante proprio a causa del libero vagare della mia specie” (pp. 51-52). Guardando il cielo stellato, nel nostro tempo di Antropocene avanzato, non possiamo più permetterci di citare la celebre frase di Kant senza pensare che quel cielo stellato non è più quello che guardava il filosofo di Königsberg. È un cielo saturo di gas serra e di inquinamento e se non sottolineassimo anche questo, in qualche modo, saremmo colpevoli quantomeno di omissione. Lo stesso vale ricordando i versi di qualsiasi poesia al cui centro vi è il paesaggio, l’ambiente o il clima. Ad esempio, non si può citare Novembre di Giovanni Pascoli, dedicata al breve periodo mite della metà di novembre chiamato “estate di San Martino”, quell’“estate fredda dei morti”, senza ricordare che oggi, a metà novembre, il clima è molto più caldo rispetto ai tempi di Pascoli. Per certi versi, quindi, è finita quell’età dell’innocenza in cui si potevano ricordare o citare famose frasi di poesie, romanzi, opere filosofiche di cinquanta, cento o più anni fa, riferite al paesaggio o al clima, pensando che quel paesaggio o quel clima fossero dei soggetti immobili nel tempo, uguali in tutto e per tutto al momento in cui quelle frasi erano state scritte.
Oggi siamo quindi inseriti in tempi in cui dovremmo tenere conto di un importante cambiamento di prospettiva, a cominciare dalla sfera più intima e personale. Come, in modo significativo, scrive Nikolaj Schultz in apertura del suo saggio, “a quanto pare, l’Antropocene non è un posto molto adatto per dormire” (p. 14) a causa del cambiamento climatico che fa alzare le temperature in una grande città come Parigi. Come nota Dipesh Chakrabarty nella sua postfazione, l’Antropocene non è comunque un luogo ma un tempo. E se l’autore pensa di sfuggire al caldo di Parigi recandosi in un paradiso naturale come l’isola di Porquerolles, a godere dell’aria di mare, della freschezza del paesaggio e della lontananza dalla città, forse è ancora vittima di quell’età dell’innocenza di cui sopra. Perché – dice Chakrabarty – “il riscaldamento globale è arrivato anche qui: la diminuzione del 30% di una varietà di posidonia essenziale per la produzione di ossigeno è una dimostrazione di tale fenomeno” (p. 98). Pensare che esistano ancora paradisi ambientali incorrotti e dal clima perfetto è probabilmente solo un sogno. Un sogno che forse cent’anni fa poteva anche essere realtà. Ma di questo se ne rende ben conto anche l’autore: mentre si trova sulla barca di Victor diretto all’isola, è consapevole che sta solcando una rotta su un mare inquinato e privato di un suo importante polmone naturale come la Posidonia oceanica. E allora Nikolaj riflette sul fatto che la barca sulla quale si trova, per certi aspetti, sta rimodellando il pianeta: “In questo mare non viaggio attraverso uno spazio illimitato e aperto; ma attraverso un pianeta ricreato dalle tracce del mio stesso viaggio, dove emergono costrizioni terrene dovute ai movimenti della mia specie” (p. 37). Oggi, perciò, in un’età senza più innocenza, l’antropizzazione crea e modella il mondo quasi come, un tempo, era il racconto che modellava lo spazio: ad esempio, sono i viaggi di Ulisse o di Giasone, nell’Odissea e nelle Argonautiche, a fondare lo spazio, a trasformare in spazialità umana ciò che era un mostruoso “vuoto” preumano (cfr. B. Westphal, Geocritica. Reale Finzione Spazio, trad. it. di L. Flabbi, Armando, Roma, 2009, pp. 112-113).
L’antropizzazione modella lo spazio ma anche lo cambia in profondità. Porquerolles è un’isola intensamente turisticizzata e in estate la popolazione aumenta in maniera esponenziale. Sembra quasi che l’isola non riesca più a contenere tutti questi turisti, osserva Schultz. Ebbene, lo capisco bene perché a Porquerolles d’estate avviene un cambiamento simile – credo – a ciò che succede all’Isola d’Elba, la più grande e la più turistica dell’Arcipelago Toscano. Io stesso ho vissuto all’Elba sia in inverno che in estate e, in quest’ultima stagione, rispetto ai silenzi e alle vuote e malinconiche spazialità invernali, sembra che la stessa isola affondi da quanti turisti ci sono, turisti che hanno al loro seguito automobili e camper, barche e barconi, moto e bici. Ogni strada e ogni sentiero percorribile diventano una giungla fatta di automobili incolonnate e parcheggiate, di lamiere roventi e di gas di scarico. A ciò si aggiungano le navi di linea che intensificano le corse e tutte le imbarcazioni e gli yacht privati che affollano cale e calette producendo emissioni inquinanti con i loro motori e scarichi di acque reflue. Emblematico è poi l’incontro del sociologo con un’anziana isolana che gli intima di andarsene via subito da Porquerolles perché, in quanto straniero, la sua presenza causa la trasformazione del suo territorio e, inoltre “estrania il rapporto che lei ha con il proprio territorio” (p. 45). Nell’ottica dell’anziana isolana, lo stesso Nikolaj si trasforma in un pirata contemporaneo che giunge a saccheggiare una terra che non è la sua tramite la sua stessa presenza. In gioco c’è, quindi, un rimodellamento dello stesso concetto di libertà: ci dobbiamo rendere conto che la libertà etica dell’“essere-me-stesso-con-gli-altri” deve per forza di cose estendere il perimetro degli “altri” anche ad elementi che si credeva non facessero parte di questo ambito. Gli “altri” sono anche gli spazi, il paesaggio, le piante, gli alberi, gli animali, i pesci.
Insomma, l’anziana che scaccia il turista Nikolaj Schulz perché ‘ruba’ e saccheggia il suo spazio come un moderno pirata, appare come una vittima del sistema schizofrenico imposto dal capitalismo perché – osserva il sociologo – “constatare che la terra tua e dei tuoi predecessori sta scomparendo pur essendo consapevole che questa scomparsa, per via dell’attuale forma di organizzazione economica e territoriale, è allo stesso tempo ciò che garantisce il tuo stile di vita, è qualcosa che farebbe impazzire qualsiasi persona sana di mente” (p. 58). Perché – e ciò è stato messo bene in rilievo dalla pausa imposta dalla pandemia – il sistema di produzione dell’isola si configura in realtà come un sistema di distruzione. Produce ricchezza e benessere ma distrugge l’ecosistema e il paesaggio: è la spietata e perfetta logica del capitale. Immerso nella realtà dell’isola, nei suoi problemi quotidiani, nel suo ecosistema che sta cambiando, grazie anche alle informazioni offertegli da Laurent, un guardiaparco incontrato durante il suo soggiorno, Schultz si rende conto che ciò che viene generalmente considerato un paradiso naturale, un luogo ideale per le vacanze, è uno spazio in continua trasformazione che corre il rischio di trasformarsi in un inferno, esattamente come le Maldive ritratte da Fabio Deotto nel suo interessante reportage dal titolo L’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia (2021). Ecco perché, probabilmente, Nikolaj alla fine accusa quel “mal di terra” che dà il titolo al libro: la sensazione che la “terra sia sconnessa e oscilli sotto i tuoi piedi” (p. 83). E se, forse, come spiega Victor (che nel libro svolge quasi la funzione di una inconsapevole comparsa, come in un dialogo galileiano), è quella sensazione che colpisce i neofiti della navigazione, del tutto normale e per niente pericolosa, quel “mal di Terra” (con l’iniziale maiuscola) è anche dovuto alla presa di coscienza che lo stesso Pianeta è malato e che dovunque si viaggi, dovunque ci si sposti, come medici disillusi non possiamo fare altro che constatare la presenza di questa malattia e fare in modo – per quanto ci è possibile – di alleviarne le sofferenze.
Paolo Lago
Nikolaj Schultz, Mal di Terra, Prefazione di Emanuele Coccia, Postfazione di Dipesh Chakrabarty, trad. it. di Serena Parisi, wetlands, Venezia, 2023, pp. 102, euro 16,00.