Nelle terre esterne – Geografie, Paesaggi, Scritture
Matteo Meschiari
prefazione di Andrea Cortellessa
Edizioni Mucchi 2018
in copertina Lucerna 1972, di Luigi Ghirri
Se allora mi avessero domandato che forma ha il mondo avrei detto che è in pendenza, con dislivelli irregolari, con sporgenze e rientranze, per cui mi trovo sempre in qualche modo su un balcone, affacciato a una balaustra, e vedo ciò che il mondo contiene disporsi alla destra e alla sinistra a diverse distanze, su altri balconi o palchi di teatro soprastanti o sottostanti, d’un teatro il cui proscenio s’apre sul vuoto, sulla striscia di mare alta contro il cielo attraversato dai venti e dalle nuvole (Italo Calvino, da La strada di San Giovanni)
Nella raccolta di saggi Nelle terre esterne – Geografie, Paesaggi, Scritture Matteo Meschiari analizza i meccanismi e le oscillazioni del pensiero che rendono esemplari alcuni autori impegnati nell’identificazione di un’idea di mondo e dell’abitare il mondo. Il paesaggio diviene, nelle opere presentate, un territorio primigenio che conserva le suggestioni e le stratificazioni del mito. Da Sbarbaro a Gadda, da Stoppani a Biamonti, l’estensione verso le morfologie terrestri (e la ricezione, dalle stesse, di un potenziale cosmologico) trascende ogni intento decorativo e accessorio. Per Meschiari vi è quindi biunivocità fra territorio e testo, entrambi eredi e testimoni di una verità primordiale, reciprocità che si sublima nella definizione testi-paesaggio, proposta da Italo Calvino, nel 1983, per il risvolto di copertina del romanzo di Francesco Biamonti L’angelo di Avrigue. Sono le vedute e gli scorci di Liguria e Lombardia, in particolare, a determinare il campo di indagine di Meschiari, che, lungo suggestive e articolate tratte esplorative, chiama a sé alcuni fra i maggiori rappresentanti della nostra letteratura per valutare pratiche di assimilazione ed espansione nel cuore del sistema-ambiente. L’autore definisce i nuclei, le particelle strutturali di un’ispirazione letteraria, li identifica come rizoma ligure e corema lombardo, focalizzandone le specificità e gli elevatissimi punti di fusione. Viene fatto riferimento (nel caso del paesaggio ligure) a <<una vera e propria funzione letteraria, qualcosa che se venisse a cadere toglierebbe all’opera il suo potere enunciativo. Paesaggio, dunque, come struttura profonda…>> mentre per quanto riguarda il territorio lombardo si sottolinea come
“la dimensione corografica strutturante diventa un vero e proprio corema, uno spazio testuale in cui la modellizzazione arriva a sviluppare dei “tipi di spazio” interconnessi che puntano alla rappresentazione di una complessità di secondo livello”
Chiamando in causa Gadda e Calvino, principi di un dinamismo mitopoietico, cesellatori di corpi umani e terrestri, Matteo Meschiari registra la traiettoria di contatto fra corema lombardo e rizoma ligure, fra due esperienze di paesaggio che riconnettono con una verità necessaria e inscindibile. Carlo Emilio Gadda e Italo Calvino fanno indiscutibilmente parte di quella ristretta cerchia di scrittori capaci di proporre un modello cognitivo nuovo, di reagire al disorientamento epistemologico inventando artigianalmente una nuova cartografia dei saperi.
“Dunque oggetto di questo libro non è tanto un Paesaggiomappa – quello cui s’è ispirato tanto postmodernismo cui Meschiari, contro le mode avverse, non si perita peraltro di riconoscere, quand’è il caso, il proprio debito intellettuale – bensì un Paesaggiocammino” scrive Andrea Cortellessa nella prefazione e lungo il cammino, tenendo ben presenti i contributi forniti, appunto, dal postmodernismo, dall’età romantica, dai saperi geo-logici e protogeoligici, si distendono le visioni paradigmatiche e germinali dello stare al mondo nel mondo.
Innestato nella geografia ligure (al pari di Calvino e di Francesco Biamonti, a cui Meschiari dedica un appassionato approccio filologico) Camillo Sbarbaro diviene tramite di una narrazione mobile del reale, che individua nel mondo miniaturizzato dei licheni le ragioni del fare e del vivere poetico. Svanisce quindi la prassi “letteraria” e il segno poetico si riversa nei corpi e nei luoghi attraversati. Sbarbaro – scrive Meschiari <<riconosce nel vegetale un luogo accogliente dove riposare e cercare refrigerio dalle arsure della vita, un luogo di resistenza assediato, che scava uno spazio nella separatezza>>
E il paesaggio reinventato dal Romanticismo, al di là delle osservazioni e delle nomenclature illuministe, è un tema che permette a Meschiari di misurarsi con i paesaggi lombardi, con Alessandro Manzoni (vengono sondati gli episodi della Vigna di Renzo ne I promessi sposi e il monologo di Martino nell’Atto Secondo dell’Adelchi) e con il Bel Paese di Antonio Stoppani, nelle parti riservate ai ghiacciai, strumenti per giungere a un’enunciazione di poetica capace di mescolare valori estetici e orgoglio nazionale.
Infine Carlo Emilio Gadda, la sua vertigine barocca per intercettare un mondo, un paesaggio, sostanzialmente barocco. Nelle suoi luoghi cangianti, fluidi, entropici, viene rilevata una fascinazione per l’acqua, che attesta l’interesse dello scrittore milanese per gli studi idraulici di Leonardo. Scritture nella corrente quindi, a partire da Il viaggio delle acque (nella raccolta Gli anni), tentativo di illuminare la parola con l’indeterminatezza del ricordo, dei lontani zampilli sorgivi. Scrive Meschiari: “Acqua, tempo e parola rimano dunque tra loro, e con Gadda la scrittura non è più una mera traduzione, una sostituzione dell’occhio della fronte e della mente, ma è immediatamente e intrinsecamente enunciazione teoretica”.
Nell’elzeviro Un romanzo giallo nella geologia (dalla raccolta Le meraviglie d’Italia) si constata poi l’inclusione – operata da Gadda – della geologia nel serbatoio della sostanza poetica. La dialettica tra dentro e fuori, tra mente e materia, tra assoluto e relativo scaturiscono dalle irregolarità, dalle mutazioni di luci e ombre osservate lungo le fessure, i crinali e le vallate.
Il paesaggio (nello specifico uno scorcio di Appennino abruzzese) svela così in emulsione quello che Matteo Meschiari ritiene essere un volto-paesaggio.
La groppa lontana della Maiella era tutta rosa contro sera, lontanissima: più mi vinceva l’imminente furore del Velino, posatosi davanti la coorte di tutti, a sbarrare la via del nemico. Un terrore bianco, una luce d’incantesimo, irradiava dai bastioni del Sirente, che nascondevano la vetta. Di quella bianchezza impavida volli chiedere alla mia guida: ed ecco tutta l’orogenesi d’Appennino parve risospingere fuori i pianalti e le vette, lenti secoli lavorarono al sollevamento e alle scissure profonde, le glaciazioni occuparono le valli, eròsero e polirono i fondali marmorei. Il lias accumulò gli strati compati della pietra che oggi amiamo, nei conci e nelle speronature de’ castelli; grigio chiara sul monte, acquista a polimento una tinta più calda, un carnicino con leggere vene di bistro, turchino e rosa: per cui la dimandano avorio antico. Tutto l’Abruzzo ha un’ossatura calcarea.
L’autore: Matteo Meschiari: già ricercatore in Discipline Demoetnoantropologiche, è professore associato in Geografia all’Università di Palermo. Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato Sistemi selvaggi. Antropologia del paesaggio scritto (Sellerio 2008), Dino Campana. Formazione del paesaggio (Liguori 2008), Terra sapiens. Antropologie del paesaggio (Sellerio 2010), Nati dalle colline. Percorsi di etnoecologia (Liguori 2010), Spazi Uniti d’America. Etnografia di un immaginario (Quodlibet 2012), Uccidere spazi. Microanalisi della corrida(Quodlibet 2013), Geofanie. La terra postmoderna (Aracne 2015), Antispazi. Wilderness Apocalisse Utopia (Pleistocity Press 2015), Artico nero. La lunga notte dei popoli dei ghiacci (Exòrma 2016), Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica (Armillaria 2017), Disabitare. Antropologie dello spazio domestico (Meltemi 2018), Bambini. Un manifesto politico (Armillaria 2018), Nelle terre esterne. Geografie, paesaggi, scritture (Mucchi 2018). La geografia umana, l’antropologia dei mondi contemporanei e l’ecologia culturale sono al centro della sua scrittura.