Ordinario quotidiano
Racconto di Davide Tarozzi
La donna dall’altra parte del vetro lo guardò con indifferenza e poi fece scivolare sotto la feritoia il resto in monete insieme al biglietto.
Nemmeno si salutarono.
L’uomo si aggiustò la cravatta con eleganza dopodiché scese nel sottopassaggio. Le pareti erano coperte di scritte indecifrabili in cui svettava di prepotenza la frase “l’amore è una cozza lessa” a coprire parzialmente una citazione di Rodolfo Walsh. Qualcuno aveva defecato in un angolo e poi aveva allegramente decorato il tutto con una decina di cucchiaini in plastica presi dalla macchinetta del caffè. Il successivo tentativo di coprire l’opera con alcune pagine pubblicitarie era stato vanificato da una folata di vento che le fece volare via fino a sfiorare le gambe di un passante.
Il treno era fermo sul binario 8.
Le porte scorrevoli erano ancora tutte chiuse ad eccezione della prima e dell’ultima, le uniche funzionanti. I pendolari innervositi si accalcavano verso le sole entrate accessibili mentre sul marciapiede il capotreno discuteva animatamente insieme ad un tizio con un cappello che faticava a parlare correttamente in italiano. Le grida indistinte si intervallavano ai cinguettii di passeri spauriti nascosti in un limpido azzurro, stinto da una neonata alba rossa. Arrivarono due poliziotti brandendo i manganelli ed invocando, spazientiti, la calma. Divisi i contendenti, ognuno andò per la sua strada nella silenziosa insofferenza dei pendolari il cui treno partiva ormai irrimediabilmente in ritardo.
L’uomo con la cravatta scelse un sedile appartato e si sistemò tenendo tra le mani un libro con una forchetta in copertina. Poco più in là un massiccio tatuato leggeva la pagina dello sport su di un giornale in cui svettava una foto a colori di macerie e cadaveri.
Il vociare dei pendolari si impastava al rumore delle rotaie mentre il tizio con il cappello si spostava in un’altra carrozza continuando ad inveire contro il capotreno.
Un gruppo di studenti ascoltava una canzone rap ad alto volume. Al termine della musica iniziarono contemporaneamente a colpirsi con gli zaini creando scompiglio nel vagone. Un lancio azzardato portò inavvertitamente una tracolla contro il giornale del tatuato il quale, prima gelò il gruppo con uno sguardo, poi la gettò fuori dal finestrino.
Il gruppo si ritirò mestamente in un altro vagone senza protestare.
Il treno si fermò ad una stazione piuttosto grande.
Una fiumana di persone si disperse alla ricerca di un posto su cui trascorrere il proprio viaggio.
Una donna sovrappeso di origini africane si sedette di fronte ad un uomo con un paio di occhiali rotondi che discorreva d’arte con la vicina di sedile. La donna sovrappeso rispose al cellulare e subito l’uomo con gli occhiali iniziò ad inveirle contro sostenendo che stesse parlando ad alta voce. Alla timida difesa di lei l’uomo passò immediatamente agli insulti razzisti a cui la donna, esasperata, antepose una sola affermazione: ignorante.
Platealmente l’uomo dichiarò di voler cercare un posto che non fosse vicino agli animali cercando la complicità degli altri avventori che invece risposero con indifferenza, silenzioso dissenso o con plauso interiore.
Si alzò e andò in un’altra carrozza.
L’uomo con la cravatta sedeva immoto con fare distinto e alternava la lettura al paesaggio del finestrino.
All’approssimarsi della sua destinazione si alzò e si avvicinò alle porte in testa al treno. Nell’attesa si aggiustò il vestito usando il riflesso del vetro. Uscito dalla stazione imboccò l’ampio vialone alberato che lo conduceva al grande palazzo dove lavorava sottopagato da ormai otto anni. Avrebbe concluso la sua vita in un piccolissimo ufficio senza finestre insieme alla minuta scrivania dotata di computer.
Su di una panchina tre giovani ragazzi punk completamente ubriachi confabulavano tra di loro additando l’uomo come fascista esclusivamente per via del cranio raso.
L’uomo con la cravatta si fermò ad un bar per bere un caffè. Dietro al bancone il proprietario fissava con sguardo vacuo le statistiche sulla disoccupazione giovanile che scorrevano sullo schermo di una televisione all’angolo del locale.
L’uomo pagò con due euro falsi, attese il resto e riprese la strada verso il lavoro.
Nei pressi di un’aiuola incrociò un vecchio che attendeva il ritorno del suo cane. Boby era sparito tra i cespugli e scodinzolava felice leccando il volto di un tossico che tentava di bucarsi una gamba nascosto tra le fronde.
La scritta viola a caratteri cubitali svettava sulla sommità della sede dell’azienda. A breve l’amministratore delegato sarebbe stato prelevato dalla Guardia di Finanza. L’uomo entrò nell’androne, salutò cordialmente il portiere e si diresse deciso verso il fondo del corridoio.
Gli si avvicinò un collega vestito e pettinato allo stesso modo che entusiasta gli disse:
<< Buongiorno caro! Come va oggi? >>
<< Bene! Oggi è una meravigliosa giornata! Hai visto che sole? >>
Salirono insieme sopra l’ascensore e sorrisero entrambi allo specchio di fronte mentre le porte si chiudevano alle loro spalle.
Nota Biografica:
Psicologo di formazione, la casualità mi ha portato attualmente a fare il tecnico per un Festival di Musica Classica e una compagnia di Teatro ragazzi. In questi tre anni con loro ho avuto l’opportunità di girare l’Italia, l’Europa e anche di andare oltre questi confini. Sono un discreto fotografo dilettante, appassionato di cinema e un buon lettore; tutte buone compagnie per i viaggi. In passato scrivevo brevi frammenti in versi liberi che ultimamente ho abbandonato per rivolgermi più che altro ai racconti. Ho pubblicato una raccolta in self-publishing (letta molto gentilmente più che altro da alcuni ristretti amici) e ho in programma di farne una seconda con dei racconti nuovi, alcuni dei quali già visibili sul mio blog personale, in cui imperverso saltuariamente anche con recensioni di libri e film, pensieri, foto e amenità varie in base all’umore delle giornate. Momentaneamente l’unico altro progetto nell’immediato è quello di iniziare una scuola di Psicoterapia, il resto è tutto in divenire.