Paesaggio e nostalgia: La stagione delle balene bianche | Marco Nifantani
di Antonia Santopietro
«C’è ancora molto lavoro da fare in questo Paese». Sì, c’è ancora molto lavoro da fare ogni giorno in questo Paese. In ogni Paese. Guardo la baia di Ushuaia, diafana, addormentata, con le luci delle case attorno all’acqua. I minuscoli enormi occhi della balena sono lì. Tondi, attenti. Sul filo dell’acqua.
In qualche modo, questo e altri passaggi dal romanzo La stagione delle balene bianche mi hanno convinta che avrei dovuto rendere concreta una idea che avevo da tempo, ho chiesto così ospitalità all’editore Alessio Rega che ha accolto la proposta di realizzare una collana di econarrativa (Natura), un progetto dai contorni in progress, che contempla tre declinazioni:
1) realizzare il dialogo tra scrittura ed ecosistema integrando umano, non umano, alterità
2) richiamare la tradizione stilistica italiana, da Calvino a Rigoni Stern, da Pavese a Cassola.
3) cercare forme contemporanee di nature writing , che probabilmente deve fare i conti con una realtà differente da quella vissuta dai padri del trascendentalismo.
Il progetto interpreta l’obiettivo che ZEST si era posto con l’Osservatorio di Prose Selvatiche: veicolare temi ecologici e ambientali attraverso le narrazioni.
Nel romanzo La stagione delle balene bianche, che dà avvio alla collana, Marco Nifantani ci mostra un’apprezzabile attitudine a tenere insieme i sentimenti, a legarli agli eventi osservando una misura e un equilibrio tra nostalgia e dialogo interiore.
La storia: Tomàs, si trasferisce per lavoro. Bagaglio e scatole da riempire. Luoghi da ricordare, altri nuovi da conoscere e da vivere. E la vita che tuttavia va nella direzione che deve.
Diversi sono i temi che ritroviamo: l’allontanamento, l’adattamento a un nuovo territorio, il mantenimento del legame con la terra di origine.
A fare da sfondo vi è un paesaggio che ispira il dialogo interiore del protagonista, che lo accoglie e lo accompagna nelle riflessioni: […] «Sono spariti, erano le radici dei grandi alberi che erano i paesi. E i paesi cambiano faccia, costumi, frutti, persone. Così in fretta nello spazio di una vita che c’è lo stupore di una morte sulla strada. E dovremo studiare, indagare, immaginare quel che c’era “prima”, e che “uomo” esisteva…».
Nel cambiamento insito nella inevitabile evoluzione della geografia dei luoghi, mettiamo in conto la perdita di pezzi di identità. Spariscono intere comunità. Dove sono, dunque, i paesi del mondo?
I sentimenti che ci legano a un luogo sono più forti tanto da tenerlo in vita. Questo dice, ad esempio, Anna in Un cuore arido di Carlo Cassola. «Io sono come i gatti, — pensò alla fine; — mi affeziono più ai luoghi che alla persone». Perché se una persona amata la lasciava, lei ne soffriva, certo, ma poi la ferita si rimarginava: mentre se l’avessero strappata da lì, dai luoghi che amava, allora sarebbe morta di dolore.
Anche Tomàs deve fare i conti con gli strappi, con i propri dolori e quelli delle persone che incontra. Sullo sfondo una onnipresente Bahia Blanca.
Bahia Blanca è dapprima soltanto una descrizione su un libro, descrizione che enfatizza la trasformazione economica operata dall’uomo:
«Tomàs apre le pagine disordinatamente: crede forse che Bahía Blanca gli apparirà immediatamente come per un gioco da prestigiatore ma dopo qualche testardo tentativo si rassegna a cercare l’indice. Scorre la colonna dove appare la lettera B, istintivamente la cerca grosso modo a metà della fitta serie di parole. Si sorprende di non trovarla. Che non ci sia davvero Bahía Blanca? Poi scorre la colonna al contrario e con sorpresa la incontra. È la prima parola della colonna. Alla pagina 163.
«La più importante città a sud di Mar del Plata… Il maggiore porto esportatore di grano e il più importante centro petrolchimico dell’Argentina. A sud del porto ci sono altri porti il più importante dei quali è Puerto Ingeniero White con le sue raffinerie e impianti chimici… Puerto Belgrano, 29 chilometri a sud-est è la più importante base navale argentina».
In seguito, la mente plasmerà i contorni del paesaggio attraverso il tessuto emozionale e relazionale trasformandolo in terra-simbolo, un pattern, la stratificazione della memoria di un vissuto. Questo è quanto rinviene dall’interazione di mente e paesaggio, come racconta Ugo Morelli.
Il paesaggio emerge e prende forma al punto di incontro tra il nostro mondo interno e il mondo esterno, attraverso la mediazione del principio del movimento, noi siamo esseri che si muovono e si rapportano con lo spazio, quindi per certi aspetti appartiene alla nostra storia, per certi aspetti appartiene al nostro futuro, mentre lo viviamo nel presente. Ugo Morelli, autore di Mente e paesaggio, Bollati Boringhieri 2011.
Proseguendo la lettura troviamo quindi, come è atteso che sia, le industrie, le concentrazioni urbane, quegli agglomerati di case per cui abbiamo preso a usare il termine moderno di skyline.
[…] «Si vedono le luci rosse, fioche, delle industrie di Ingeniero White. Una costellazione di luci vicino alla costa, fra le quali spiccano quelle della grande fabbrica chimica che appesta l’aria di Bahía Blanca nei giorni di vento da nord…
Si tratta delle “città tentacolari” di cui ci parla il poeta Émile Verhaeren e che nel saggio di Stefan Zweig a lui dedicato così vengono descritte:
Una nuova linfa, il denaro, alimenta queste città, una nuova energia le accende; sono spinte a procreare una nuova fede, un nuovo Dio, e una nuova arte. Le loro dimensioni, terrificanti e di una bellezza finora sconosciuta, sfidano la misura; l’ordine che regna è nascosto nella terra, e dietro di essa, una follia senza sentieri. (estratto dal saggio Émile VERHAEREN di Stefan Zweig, Tellus 01|2020)
E proseguendo ancora con la lettura del romanzo di Nifantani, troviamo lo sguardo dell’uomo che in uno sforzo di rinnovata alleanza con il paesaggio ne imbastisce una sintesi lirica:
[…] «C’è una zona della città, di giorno ho l’abitudine di guardarla, che diluisce nella periferia coi suoi tetti bluastri, vicino alla linea delle campagne che separano la città dalla costa».
Si giunge, quindi, a una conclusione circolare, un puntello posto ai luoghi delle origini, le balene bianche hanno portato a termine la stagione del “rimosso”, e dalle sponde del Lago Maggiore da cui era partito anni addietro, quando la storia ha avuto inizio, Tomàs scriverà a Lidia, amica conosciuta al suo arrivo in Patagonia:
«Qui piove, piove sulle strade del mio nord da dove ti scrivo durante questa vacanza breve come sempre; mi ricorda la pioggia delle città della Patagonia, la pioggia implacabile, dura, fredda, degli inverni di Bahía Blanca, di Rio Gallegos, Comodoro Rivadavia, dove l’essere umano ha cercato un’altra forma di sé, una forma più nuova, più imperfetta anche ma nuova e dove ancora, sempre, lotta per capire se davvero l’ha trovata».
Le forme umane sono invece magmatiche e si affidano ai luoghi per trovare casa e significato. Nulla cambia se non siamo disponibili a “rimuovere” un qualcosa. E cosa: l’onnipotenza, la resistente idea di superiorità o la tristissima presunzione? Forse. Declinare altrove lo spazio, ridefinire le relazioni con ciò che è altro in qualsiasi luogo è forse quello che mostrano le balene bianche e tutti gli animali. La ciclicità delle stagioni e il ritmo vitale delle creature è l’andamento sinusoidale della sacralità. Dove per sacro (sacer) si intende ciò che è supremo e non umano.
«La balena lo scorge, coi suoi piccoli occhi allungati. Un mammifero che avanza allungando gli arti in movimenti ritmici, a scatti. Il suo territorio è acqua e il mondo è acqua. Piega lentamente il corpo e si immerge. Il mondo è acqua».
Marco Nifantani (1963, Novara) dopo la laurea in Lettere a Milano, si è dedicato in Messico alla storia delle idee in America Latina e ha conseguito il Dottorato in Letteratura comparata presso la Universidad Nacional del Sur in Argentina, lavorando sulle letterature dell’emigrazione. È stato corrispondente per l’Italia del quotidiano di Città del Messico Unomasuno, ha collaborato con l’Unità e con la rivista Linea d’ombra, diretta da Goffredo Fofi. Per la rivista Poesia ha tradotto poeti latino-americani contemporanei, tra cui Jaime Sabines. Dal 1995 al 2005 è stato Lettore di Lingua e letteratura italiana nelle università dell’America Latina. Attualmente vive e insegna a Verbania. Oltre a saggi di letteratura comparata in spagnolo e varie collaborazioni editoriali, ha pubblicato il volume di poesia L’ombra del viaggio (Il fromboliere editore).