Perché non si vedono più le stelle. Inquinamento luminoso e messa a reddito della notte
di Wolf Bukowski, traduzione di Rachele Cinerari
Eris edizioni 2022
su autorizzazione della casa editrice vi proponiamo la lettura di un ESTRATTO
Male di luce
La sovrailluminazione costante, onnipresente – in particolare nei paesi che si raccontano come “sviluppati” –, mai sazia di sé stessa, fa male. Al clima e al pianeta, in prima e semplice istanza perché è un continuo e irriguardoso spreco di energia, qualunque sia stato il metodo utilizzato per produrla. Ma fa male anche alla salute: uno studio sudcoreano condotto su 50 mila persone anziane (pubblicato nel 2018 sul Journal of Clinical Sleep Medicine da Jin-Young Min e Kyoung-Bok Min) dimostra che chi abita in quartieri troppo illuminati assume sonniferi più spesso e in dosi più elevate. L’intossicazione da luce porta anche ad avere una peggiore flora batterica intestinale e una maggiore incidenza di malattie metaboliche. Molte sono poi le ricerche che si concentrano sull’interruzione del rilascio della melatonina, e questo perché l’ormone, oltre a regolare il ciclo del sonno, è implicato nel contrasto spontaneo del corpo allo sviluppo di neoplasie. Uno studio israeliano del 2008 (pubblicato da Itai Kloog et al. sulla rivista Chronobiology International) calcola un’incidenza del 73% in più di tumori al seno tra donne che vivono in località estremamente illuminate; altrove si conferma una correlazione anche per quanto riguarda il cancro alla prostata. Viene da chiedersi: come può una luce esterna, per quanto violenta, turbare gli ormoni di chi la notte è al chiuso, tra le mura di casa? Min e Min, nello studio sudcoreano, propongono due spiegazioni: o la luce entra in modo diretto da finestre non adeguatamente schermate, oppure la strada illuminata fa sembrare, per contrasto, troppo bui gli interni, spingendo chi vi abita ad accendere più lampadine, portandosi così la nocività in casa. Nella ricerca israeliana si ipotizza inoltre che il già precedentemente noto rapporto tra maggior reddito e maggiore incidenza dei tumori al seno potrebbe trovare un fondamento anche nell’eccesso di luce nelle case più ricche, dove non si bada all’importo della bolletta elettrica.
Come già si può sospettare, il percorso con cui la troppa luce affligge le persone e, come vedremo, anche gli animali e le piante, è spesso intricato e controintuitivo. D’altronde è solo in modo contorto che ciò che è buono per antonomasia, la luce, può diventare una minaccia. Il passerotto junco occhiscuri, disorientato al calare della sera dalle luci dei grattacieli di Chicago, dà voce al suo smarrimento richiamando involontariamente fratelli e sorelle pennute tra il cemento. Passa la notte, ed è di nuovo giorno: dopo il riposo gli uccellini si levano in volo, ma l’ambiente è irriconoscibile, estraneo. Le luci dei palazzi, ormai spente, li hanno catturati in un labirinto ostile da cui pare impossibile uscire, e quando finalmente vedono lassù quello che pare un ritaglio di cielo, un rettangolo azzurro come un quadro di Magritte, vi si tuffano rapidi, spezzandosi il collo contro le specchiate e durissime lastre di vetro. La conta dei corpicini a terra dimostra che a pagare con la vita la nostra ambizione di luce sono le specie più comunicative, quelle che più socializzano la rotta con i vocalizzi (Winger et al. in Proceedings of the Royal Society B, 2019). Anche la foca, che sporgendo gli occhioni dal pelo dell’acqua cerca per orientarsi le stelle più luminose, come Sirio, si smarrisce a causa delle troppe luci che punteggiano la costa; e ancora: la luce artificiale danneggia il periphyton, microvegetazione degli ambienti acquatici, quindi indirettamente gli invertebrati che se ne nutrono, i pesci che li mangiano, e gli uccelli che pescano questi ultimi. Alcune piante sono oltraggiate nei cicli vitali dai giorni infiniti che splendono su di loro, altre sono insterilite dalla mancanza di impollinatori notturni. Le falene, proverbialmente attratte e distratte da ogni luce, si dimenticano infatti di visitarne i fiori per girare attorno a lampadine sempre più invadenti e numerose.
L’elenco dei danni da illuminazione artificiale riempie le pagine degli articoli scientifici e lambisce sempre più spesso i rotocalchi e i quotidiani. Compresi quelli che, già nella pagina a fianco, celebrano le presunte virtù green delle luci a led. Ciononostante la preoccupazione per l’inquinamento luminoso resta confinata a una sensibile ma piccolissima minoranza, ben più risicata di quella di chi si allarma per l’inquinamento in generale, e non appena si accenni alla possibilità che la luce possa ritirarsi un poco dalle strade, come in occasione di gravi rincari dell’energia elettrica o di crisi dei bilanci pubblici, si scatena un’ondata di sconcerto e di paura, impossibile da scalfire con gli argomenti razionali utilizzati da chi fa campagna per le notti scure. Per capire perché questa luce ci resti così appiccicata, perché questo inquinamento così vistoso riesca a passare inosservato, dobbiamo quindi calarci nella paura del buio. Avendo però ben presente che la paura non è solo un’emozione individuale, ma un fatto sociale, e che la richiesta di sicurezza che la paura scatena è il collante delle istituzioni dello Stato, per alcune teorie politiche persino il loro fondamento.
in copertina: The Comet Book (1587)