Molti lo ricorderanno, Alexander Langer e la sua storia, ma non è di questo che vorrei parlare, quanto dell’essenza del suo motto “più lenti, più soavi, più profondi“, che egli opponeva a “Citius!, Altius!, Fortius!” noto motto olimpico, l’elogio della lentezza come stile di vita e cambiamento sociale.
Per allungare il fiato, cosa essenziale per avere una prospettiva più lunga di questo mondo, bisogna “rallentare” .. e cosa significa?
Cosa ci consentirebbe veramente di rallentare contro la frenesia di una vita che ci manda a mille all’ora contro il muro di cinta salvo evitare di schiantarci per effetto di qualche stupefacente soluzione zen?
Più soavi? E come essere più disincantati nella morsa del fare, del dire, dell’andare sempre da qualche parte a socialnavigare le nostre emozioni, fino a consumare ogni residuo di umanità tra le pieghe dell’accumulo compulsivo di fantomatici presidi di felicità.
Più profondi? E come perdere la superficialità che disegna a pennello il nostro bisogno di relazioni formali , instabili e non troppo impegnative, “che poi se ti avvicini troppo chissà che non debba pure farmi carico dei tuoi problemi”?
No! Questo mondo così com’è è sbagliato. E non mi cantate la storia che è solo un periodo di crisi. No, il modello su cui è incentrata ad oggi la nostra economia, l’enorme disgregazione sociale, i disastri ambientali, la perdita delle biodiversità, l’impoverimento catastrofico del sud del mondo, non sono temi da telegiornali o qualche salotto radical-chic, sono la realtà della fine. Catastrofismo? No realismo. Forse perché mi piace leggere i dati, forse perché in fondo in fondo io credo che siamo già sull’ultima corsa.
Forse qualcosa possiamo fare? Ma è nel qui e ora, possiamo rallentare, possiamo defaticare, possiamo scalare la marcia, possiamo guardarci intorno e fare la cosa giusta, possiamo fare la nostra parte. Avviare un processo di revisione del nostro stile di vita e porre al centro dei nostri valori la gioia, il benessere dei nostri cari, il bene, stare nelle relazioni e innescare processi di coesione ed inclusione, recuperare il dono come forma di reciproca attenzione, coltivare la terra, stare nel nostro territorio, amarlo. Insomma “decrescere”
“La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione.
La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ri-collochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio“.
(Maurizio Pallante)
E allora il viaggio conterà più della meta, e sopravviveremo a noi stessi.