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Ruta tannenbaumRuta Tannenbaum | Miljenko Jergović
Nutrimenti, 2019
traduzione di Ljiljana Avirović

Ispirato alla storia vera di Lea Deutsch, la ‘Shirley Temple di Jugoslavia’, che calcò giovanissima le scene del teatro croato negli anni Trenta e morì neanche sedicenne sul treno che la portava ad Auschwitz, Ruta Tannenbaum è un romanzo di inconsueto splendore, l’omaggio di Miljenko Jergović alla città di Zagabria attraverso il racconto di una delle pagine più oscure della sua storia.
Dotata di occhi magnetici e straordinaria immaginazione, Ruta Tannenbaum è destinata fin da bambina alla ribalta del palcoscenico. La sua è un’ascesa folgorante, che suscita ammirazione e cambia le sorti di tutti quelli che la circondano. Però i tempi sono cupi, specie per chi come Ruta è figlia di genitori ebrei. Dopo aver raggiunto le vette della notorietà, si ritroverà condannata alla negazione sociale e a una tragica fine.
Ritratto personale e saga familiare, istantanea di una città e affresco di un’epoca, questo romanzo scorre tra piani molteplici: tra storia e finzione, tra quotidianità e mito, tra luci e vanità del vaudeville e le terribili ombre della Shoah; e lo fa con scrittura viva, espressiva, spesso caustica e brillante. Un libro che forse più di ogni altro nell’opera di Jergović fa risaltare la centralità dell’autore bosniaco, indiscusso protagonista della letteratura europea di questo inizio millennio.


commento di Davide Morganti

Le storie vere, quando sono vere, hanno bisogno di essere altro, altrimenti c’è il rischio della cronaca, specie se hai deciso di farne un romanzo e quello di Miljenko Jergović ha una forza tale da travolgere il dato storico per farne letteratura.

Ruta Tannenbaum  è il titolo di un libro così potente da risuonare a ogni pagina e va ben oltre la tragica figura a cui è ispirato: Lea Dajč, giovanissima cantante croata morta a sedici anni a Auschwitz.

“Sono passati i tempi dei santi, tuonava dall’altare padfre Amborz, sono passati i tempi di quanti camminavano per aria pur di non calpestare una formica, sono passati i tempi del popolo mansueto che lasciava le ricchezze e la patria in pegno allo straniero; preparati, popolo mio, a far fronte doppiamente alle scadenze subite, preparati a scendere sul campo di battaglia e a combattere contro i popoli dal falso nome”.

Il romanzo è ambientato durante l’occupazione nazista, quando borghesi, commercianti, ustascia croati si lasciano travolgere dall’ideologia di Hitler e la stessa famiglia di Ruta viene travolta dal clima di follia che afferra la società.

“Poi, sulle prime pagine dei giornali, apparve la notizia che la Germania aveva compiuto l’annessione, e la faccia ottusa di Seyss-Inquart fu abbellita dalla notizia della definitiva caduta della città di Vienna. Abraham Singer era seduto accanto alla finestra a guardare gli enormi alberi dei tempi di Maria Teresa che non avevano ancora perso le foglie, e pensava che nessuno avrebbe mai potuto provare quella sensazione, né annotare nei libri di storia il fatto che lui stava seduto accanto alla finestra a guardare gli enormi alberi dei tempi di Maria Teresa mentre passo dopo passo, annessione dopo annessione, la morte gli si avvicinava. Questa morte diventerà moderna proprio come il cappello di Panama. I vecchi ebrei saranno ammazzati, i giovani cacciati in Africa e la nipote di Abraham avrà l’occasione di diventare una vera tedesca, perché non ricorderà mai di essere stata qualcos’altro”.

Un libro dalla forza d’urto che spinge i personaggi nella folla e dalla folla ne vengono fuori ancora altri con sapiente attenzione, Ruta non è la protagonista piuttosto lo è quel mondo che senza accorgersene si avvia all’estinzione; la scrittura dello scrittore bosniaco, ripresa con incredibile efficacia nella traduzione della Avirović, è un fiume continuo, la sintassi copiosa, strabordante controlla gli innumerevoli personaggi fino a comporre un mosaico storico di febbrile suggestione.

L’antisemitismo, che minerà la famiglia Tannenbaum e non solo, diventa sostanza tossica che coinvolgerà bosniaci, serbi, zingari; non c’è un eroe ma un tempo che scurisce come un lutto su tutti, colpevoli e innocenti. L’odio è diffuso in ogni strato sociale, la diffidenza sgretola le famiglie, le ideologie annientano le singole persone e Jergović lo descrive con precisione mirabile tanto da chiederti quasi digrignando di rabbia perché un libro del genere non abbia in Italia quello che gli spetta.

C’è poi Zagabria, colpita in questi giorni dal terremoto che ha uccisa una ragazza di quasi quindici anni, che appare pagina dopo pagina città frivola e feroce, stupenda e frigida pronta a ingoiare o a nascondere i suoi abitanti, disposta a pettegolare su di loro fino alla fine.

“Alla fine dello spettacolo Bara stava inginocchiata davanti al pubblico, piangeva a dirotto e invocava la zia morta, il pubblico la guardava e le buttava addosso quello che aveva per le mani. Buttavano caramelle, scatolette e fiammiferi, cartacce e giornali, mentre quelli che già avevano visto lo spettacolo, ed erano almeno la metà, avevano portato da casa mele marce e uova e con ciò onorarono l’infelice Bara”.

Romanzo dove le ombre si allungano rapaci e lente, non salvano nessuno, perché l’effimero successo di Ruta porta con sé la tragedia di una generazione a cui sono tragicamente legate quella che la precede e quella che la segue. Jergović è un grande scrittore, il suo un grande libro, la sua prosa epica. Passo e chiudo.

 

 

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Ruta Tannenbaum | Miljenko Jergović

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