“Non avremmo potuto essere più diversi” considerano Christiana Figueres e Tom Rivett-Carnac, autori di “Scegliere il futuro – Affrontare la crisi climatica con ostinato ottimismo”, volume pubblicato in Italia da Edizioni Tlon.
Da una parte Christiana Figueres, figlia del tre volte presidente della Costa Rica José Figueres, fautore di un’idea di Stato in cui i temi ambientali e sociali vengono considerati preminenti, dall’altra Tom Rivett-Carnac, discendente diretto del presidente e fondatore della Compagnia delle Indie orientali, organizzazione commerciale che tracciò una linea di sviluppo basata su politiche oppressive e di accaparramento (la Compagnia possedeva un proprio esercito).
Diverse esperienze e diverse origini, che sono territoriali e che si connettono al passato, plasmando caratteri e aspirazioni; Costa Rica e Inghilterra sui versanti opposti di un pianeta che, in base a sottili equilibri biochimici, dà e toglie in egual misura. Christiana Figueres e Tom Rivett-Carnac partecipi di un sentire familiare, che via via ha accolto contributi, sensibilità, letture di impronta spirituale, fino a diventare consapevolezza, prospettiva universale che impone compattezza di intenti e operatività.
Christiana – che dal 2010 al 2016 ha ricoperto la carica di Executive Secretary dell’UNFCCC, organizzazione internazionale che ha il compito di guidare le risposte dei governi al cambiamento climatico -, circa a metà del suo mandato venne a sapere dell’esistenza di Tom, che all’epoca – dopo essere stato monaco buddista – era presidente e amministratore delegato del Carbon Disclosure Project USA. Ne scaturì un incontro, che portò a una condivisione di obiettivi e all’ingresso di Tom Rivett-Carnac nell’ONU in qualità di consigliere e stratega politico. Si era alle porte della conferenza sul clima di Parigi, e per gli alti funzionari delle Nazioni Unite si prospettavano complesse opere di mediazione, la capacità di mantenere a fuoco l’obbligatorietà di una svolta a fronte dell’incalzante emergenza climatica.
Gli interessi di parte, frutto di concezioni che hanno portato gli ecosistemi a deteriorarsi, andavano riveduti e corretti in base a dati scientifici inoppugnabili, alla sempre più inaccettabile e anacronistica suddivisione tra sfruttatori e martiri del pianeta terra. E con la conferenza di Parigi (che si tenne dal 30 novembre al 12 dicembre 2015) si presentava l’occasione di programmare un’azione a livello planetario che mettesse in primo piano, in estrema sintesi, la necessità di plasmare un mondo migliore per tutti i bambini e le bambine.
Negli ultimi 50 anni – per quanto riguarda il clima e la conseguente vivibilità del pianeta – si sono verificati massicci cambiamenti: la concentrazione di gas serra nell’atmosfera ha raggiunto livelli persino più alti di quelli antecedenti all’ultima era glaciale e lo scioglimento dei ghiacciai ha causato un innalzamento di venti centimetri del livello del mare, con il conseguente incremento degli eventi meteorologici distruttivi. A ciò si aggiungono le conseguenze legate alla deforestazione e alla desertificazione, in un quadro che molti studiosi e commentatori non esitano a definire catastrofico, l’ultimo simulacro di una realtà tragicamente in dismissione.
A questa visione “da fine del mondo” si oppongono Christiana Figueres e Tom Rivett-Carnac, i quali incarnano la possibilità concreta di agire, di “scegliere di raccontare una storia di rigenerazione sia della natura che dello spirito umano.” Non c’è più molto tempo – di questo ne sono consapevoli – e per questa ragione in “Scegliere il futuro” adottano uno stile comunicativo assertivo oltreché rassicurante.
Esistono scenari opposti e sta a noi, all’umanità nella sua interezza, imboccare con decisione la strada verso il riassetto ambientale, operando a livello locale e globale. I due autori, ricapitolando l’Accordo di Parigi sul clima, configurano un futuro in cui si riscontrerà una temperatura più alta di 3 °C rispetto alla media del periodo pre industrializzazione, e un futuro in cui la stessa temperatura non oltrepasserà la soglia di 1,5 °C. Da questi due presupposti si dipana un argomentare scientificamente ineccepibile, che ha in più l’urgenza, l’intensità emotiva di chi ha posto la questione ecologica in cima alle sue priorità.
“Le città sembrano progettate per la convivenza di esseri umani e natura”: è questa l’immagine che domina in un’ipotesi di scenario favorevole, un’immagine che è uno stile di vita, l’affacciarsi di una nuova mentalità. Gli aspetti che permetteranno alle città di respirare, di favorire occasioni di incontro e condivisione, matureranno quando collettivamente ci si chiederà se sia davvero utile per l’uomo trarre profitto da ogni risorsa disponibile sul globo terracqueo.
Non è quindi il momento di aspettarsi interventi dall’alto, prese di posizione salvifiche: ogni cittadino è chiamato a un’evoluzione personale, determinante nel proiettare un pensiero evolutivo capace di smuovere strutture economiche e sociali. Si entra così nel cuore di “Scegliere il futuro”, che è programmatico e politico, e fornisce molteplici chiavi di accesso alla sostenibilità.
Nella seconda parte del libro (Le tre mentalità), Figueres e Rivett-Carnac ci parlano di ottimismo ostinato, abbondanza infinita e rigenerazione radicale, aspetti che se adeguatamente coltivati possono dare “una direzione più chiara e più forte alla nostra vita, ponendo le basi necessarie per creare insieme il mondo che vogliamo.”
Per prima cosa serve debellare il senso di impotenza, rifuggire schemi mentali improduttivi, perché accanto ai riscontri allarmanti si possono individuare fatti positivi, come “il costante calo dei prezzi delle rinnovabili, l’aumento del numero di Paesi che si sono posti l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050 o prima, il divieto di veicoli a combustione interna da parte di numerose città e l’aumento del capitale che si sposta dalla vecchia alla nuova economia.”
Il paradigma della competitività, affermano gli autori, alimenta un circolo vizioso: l’uomo percepisce (a torto o a ragione) una scarsità di risorse, in natura e nelle comunità organizzate. Da ciò si attiva il meccanismo della competizione, inesorabilmente distruttivo e che ha il potere di soffocare i frutti di un’auspicabile spirito collaborativo. In definitiva siamo sulla stessa barca, e la minaccia (lo smantellamento degli ecosistemi) riguarda l’intero pianeta: ”Se l’Amazzonia viene distrutta, le emissioni di carbonio aumenteranno così tanto che l’intero pianeta, non solo il Brasile, ne subirà le conseguenze. Allo stesso modo, se il permafrost artico si scioglierà, ne soffriranno non solo i Paesi che circondano il Polo Nord, ma anche tutta la Terra.” Non ci resta quindi che mettere in comune idee e competenze, per perseguire obiettivi di rigenerazione del suolo, delle foreste e degli oceani.
Sempre evidenziando le potenzialità di una presa di coscienza individuale, gli autori predispongono un decalogo, un percorso ragionato che è motivazionale e mira a smantellare ambiguità e luoghi comuni. Da “Consideratevi cittadine e cittadini, non consumatrici e consumatori” a “Investite nell’economia sostenibile”, da “Lasciate andare il vecchio mondo” a “Impegnatevi politicamente”, vengono illustrati comportamenti virtuosi da adottare, storture e manomissioni della realtà sostenute dai mezzi di comunicazione, le strategie persuasive adottate da anacronistici apparati di governance e le contromisure che ognuno di noi può applicare giorno per giorno. In un esercizio di condensazione del pensiero di Figueres e Rivett-Carnac sottolineiamo – tra le molte “linee guida” proposte – l’esigenza di difendersi da chi ci vuol far credere che acquistare prodotti equivale ad acquistare una personalità, che il prodotto interno lordo sia un buon indicatore di ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno per prosperare, che energia, trasporti e sistemi agricoli non siano in grado di sostenere riconversioni ecosostenibili e che gli interessi delle grandi lobby economiche debbano – volenti o nolenti – condizionare le scelte politiche e istituzionali degli Stati sovrani.