SENTIERI AZZURRI
un racconto di Pavle Stanišić
Traduzione dal serbocroato: Božidar Stanišić
Non si sente né una voce, né un passo – nessun rumore nel mattino nella via principale di Vjekovo. C’è solo Giulio Cesare, il professore dal passato sinistro, con la scopa di rami di betulla, precocemente grigio di capelli, magro e triste. Raccoglie attentamente i raggi della luce celeste, le polveri e le immondizie, grato ad alcuni suoi amici per non avergli assegnato un ruolo più tragico nella Vjekovo odierna, ormai solo la loro cittadina. Pensava ai suoi numerosi connazionali che sui monti scavavano le trincee proprio sulla prima linea del fronte e lui, ecco, faceva la pulizia delle vie.
Da quando la guerra si era allargata anche a Vjekovo e il potere era stato preso dai disperati e dagli spietati, si sentiva risparmiato dalle disgrazie alle quali altri erano esposti. Era vero che anche lui poteva trovarsi in pericolo perché le schegge delle granate che cadevano sempre più frequenti non risparmiavano nessuno, ma si trattava del puro caso – nessuno mirava proprio lui. Gli scavatori delle trincee si trovavano in posizione del tutto diversa dalla sua e molti di loro non erano tornati da questo lavoro.
Comunque, era venuto il periodo della grande pulizia.
Ne era fortemente convinto. Pensava che non ci fosse nulla da meravigliarsi se proprio a lui, che da molti anni raccoglieva oggetti antichi, avevano assegnato questa grande scopa di rami di betulla. Era finalmente arrivato il momento di discutere con tutto ciò che da sempre era passato per le vie di Vjekovo. Da questa sporca via, attraverso la quale gli sembrava di trascinarsi da secoli, bisognava raccogliere scopando i propri ricordi, gli inganni e se stesso.
Da un buio non molto lontano nel suo sguardo si materializzò l’immagine di una sua studentessa del periodo più bello; lei, tutta perplessa. Lui non si accorse quando il buio in quel punto del suo sguardo si spostò, si accorse solo all’istante che era proprio lei e che navigava verso di lui con i suoi capelli disordinati sopra il suo sguardo scuro e largo.
Il cielo primaverile come se con la luce sontuosa dell’alba toccasse in modo leggero il marciapiede davanti ad un negozio. A lui parve balenare un ricordo. Pensò di dover fare una resa dei conti con tutto e con la scopa disperse quel bagliore lungo il marciapiede insieme alla polvere, ai pezzettini di vetro, alle cicche e alle scatole di sigarette. Fece un mucchio di carte, fino a quel momento disperse, e tra queste riconobbe una pagina strappata da un manuale che usava per insegnare agli studenti di una pazzia dei popoli, una pazzia che di recente si stava ripetendo. La mise su una larga pala, assieme ad altre immondizie che buttava lentamente nel carrettino. Con la sua luce rossa l’alba illuminò una nuvola e la cittadina irrealmente fluttuò nella sua mezz’oscurità.
Quello sguardo a lui conosciuto si avvicinò e lo sentì lungo la sua pelle e nell’animo. Così lo osservava quella mattina primaverile dal suo posto dell’ultimo banco. Appena finì l’appello, annotati gli studenti assenti, lei si alzo è disse: “La prego di iscrivere anche me!” Raccolse velocemente i manuali e i quaderni nella cartella, decisa di lasciare l’aula quanto prima possibile e andarsene chissà dove. “Con te succede qualcosa”, disse lui, “un qualcosa che accade a numerose persone giovani, buone e intelligenti. È bello ma pesante ciò che hai detto. Però ti capisco. Va bene, vai, ma io vorrei sinceramente che tu restassi!” Lei, neppure sapeva perché, disse: “Grazie!”
Era il suo sguardo aperto e largo, e la voce era la stessa, tremante e insicura.
“Mi scuso, professore, perché son emozionata. Sono stanca, sono appena arrivata…”
“Arrivata… E da dove?”
“Da Vjekovo…”, rispose come se fosse una risposta del tutto normale.
“Da Vjekovo?”
“Certo… Da Vjekovo”.
“Da Vjekovo a Vjekovo? È così insolito. A te succede qualcosa…”
“Ah, ricordo… come no! È qualcosa che succede a molti giovani, buoni e intelligenti. Ma a me non succede nulla, professore. Ma a me – niente, professore. Questa volta proprio niente. Sto soltanto cercando i sentieri azzurri. Dicono che esistano sentieri azzurri attraverso i quali si può arrivare in qualche luogo”.
I sentieri azzurri. Sentieri che portano dall’uno all’altro paese in guerra, sorvegliati dai soldati con i caschi blu. Il professore non ci credeva. Pensava che fossero solo sogni azzurri, speranze vuote, tutte le strade sono distrutte, e quelle azzurre sono inesistenti.
“Penso di dovermi dirigere verso la luce. Che ne pensa lei, professore?”
Non voleva distruggere le sue speranze.
“Non lo so, credimi. Io solo pulisco questa via. Tuttavia, vorrei che tu restassi…”
“Lo so… Una volta avevo sentito ciò, ma stavolta non ci riesco…”, disse e corse verso il sole.
Mise la pala e la scopa dentro il carrettino, una ruota cigolò come se parlasse a lei, al suo nome prima che dalla direzione in cui era scomparsa si sentisse una forte esplosione.
Bisogna fare la resa dei conti con tutti gli inganni, con tutte le speranze, pensava il professore Cesare, e il cigolio del suo carrettino assomigliava ad un singhiozzo sibilante, una voce oscura e minacciosa, un grido di aiuto. A tratti da questo cigolio veniva una melodia vecchia e dimenticata che tremava per l’intero abitato, scorreva per i muri e per gli alberi, riempiva il fresco del mattino e le nuvole che si cumulavano attorno Vjekovo. Il vento la portava per i luoghi dimenticati ed essa strideva, fischiava, pregava, si stupiva, sogghignava… monotona, in sintonia con il carrettino che il professore spingeva per l’asfalto danneggiato. Allora si sentì l’orchestra che suonò al ballo dei maturandi, al quale anche lui da maturando era presente, e alla fine della notte anche a lui arrivò la prima luce dell’alba. Era un valzer nuovo, arrivato svolazzando dalle sere dell’oltre mare solo intuito, e lui, sotto le luci abbaglianti della grande sala del hotel di Vjekovo, ballava con la sua professoressa di lingua russa, di lingua francese, di musica e di educazione artistica, la signora Klavdija, la quale era riuscita do arrivare là e gli sussurrava di alcuni festini di Sebastopoli, mentre lui per gli angoli bui cercava uno sguardo che appena presentiva.
Iniziò a soffiare il forte vento del nord e si spense la luce mattutina sopra Vjekovo. Lui sollevò una pietra pesante e la mise con fatica nel carretto. Nel medesimo momento si sentì un’ esplosione, più potente di tutte le precedenti. Non sentì nessun dolore, solo un colpo in mezzo della fronte. Una forte scossa scrollò il primo chiarore mattutino, e davanti a lui si aprì il sentiero azzurro, largo e abbagliante.
NOTA a cura di Božidar Stanišić *
Pavle Stanišić (1936, Crkvice, Bocche di Cattaro, dal 1947 vive a Doboj, Bosnia ed Erzegovina), prosatore, poeta, drammaturgo e scrittore di testi radiofonici, saggista, giornalista, direttore di riviste letterarie e operatore culturale, vincitore di numerosi premi importanti per racconti brevi, saggi e poesie. Fra le opere pubblicate di Stanišić, per la loro specificità si distinguono la raccolta di racconti brevi Pahuljice i ludaci (Fiocchi di neve e pazzi) e Plavi putevi (Sentieri azzurri), il romanzo Vjekovo, grad u Dardaniji (Vjekovo, città della Dardania), il collage drammatico-narrativo Mladić sa Kaprija (Il giovane di Capri), il poema Pjesma o spasenju (Poesia sulla salvezza), nonchè le raccolte poetiche Večernja načela (Principi serali), Evropa za uspomenu (L’Europa per ricordo) e Teutino blago (Il tesoro di Teuta). Alcune sue poesie, scelte da Božidar Stanišić e tradotte da Alice Parmeggiani, sono tradotte in italiano e pubblicate nelle pagine della rivista Smerilliana (numero 11) e della Sagarana (numero 41).
Pavle Stanišić è uno dei maestri del racconto breve della letteratura degli slavi meridionali del XX secolo. Il racconto Sentieri azzurri, ambientato a Vjekovo, cittadina immaginaria delle sue diverse prose, rappresenta la qualità della sua scrittura. La realtà e i destini umani, in questo racconto a tratti presentati in modo poetico, sono determinati dalla guerra, civile e fratricida degli anni novanta; la prima nel dopo 1945 in Europa, di cui lo scrittore ne era testimone e oppositore. L’autore, convinto che non sia necessario presentare un intero fiume in piena, riesce a suggerire che in una sola goccia si rifletta la tragicità del grande terremoto che aveva cambiato e portato al peggio il suo Paese. La scopa nelle mani del suo professore, “risparmiato” dai nuovi padroni della cittadina (poteva finire sul fronte, come scavatore delle trincee – ciò era una pratica diffusa fra le parti in causa bellica), diventa una metafora. Fra il tragico e il grottesco nel “periodo delle grandi pulizie” che comprende sia la relazione con il passato di chi ormai crede solo nel presente, che l’impotenza di chi credeva alla ragione, alla cultura e all’umanità, lo scrittore sviluppa la trama che fluttua fra realtà, sogni e fantasmagorie.
Sulle guerre civili jugoslave degli anni novanta sono stati scritti e pubblicati centinaia e centinaia libri (romanzi, racconti, poesie, diari, testimonianze…), realizzati diversi lungometraggi e progetti teatrali, ma il tempo già ci rivela che pochi titoli sono sopravvissuti. Il tempo comunque non è gentiluomo con la spazzatura letteraria. Le opere di prosa e poesia di Pavle Stanišić, scrittore che nel suo paese vive (quasi) da emigrante, sono ancora lette e stimate almeno da coloro che sentono la letteratura nel senso profondo del suo significato.
*Božidar Stanišić (1956) è uno scrittore, poeta e traduttore bosniaco.
Intervista a Božidar Stanišić su ZEST
La pubblicazione del racconto qui proposto è stata concessa in esclusiva al portale ZEST
Non riproducibile in alcuna forma, pena gli effetti di legge.
Art. 70, Legge 22 aprile 1941 n. 633 norme sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio