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liberti_isignoridelciboI SIGNORI DEL CIBO | Stefano Liberti
Minimum fax 2016

di Paolo Risi

 

Con “I SIGNORI DEL CIBO” Stefano Liberti ricostruisce e racconta il sistema alimentare analizzando la filiera di produzione e commercializzazione di quattro prodotti specifici: la carne di maiale, la soia, il tonno in scatola e il pomodoro concentrato. Il suo è un lavoro di assemblaggio, di svelamento dei processi che hanno portato il cibo a diventare una merce nelle mani di poche multinazionali, scambiata sui mercati attraverso il controllo e la mediazione di fondi di investimento e banche d’affari.

Il lavoro di ricerca di Liberti inizia dalla Cina, mercato attorno a cui ruota buona parte del sistema agroalimentare mondiale e dove il controllo dello stato (attraverso sgravi fiscali e prestiti) favorisce il monopolio di enormi gruppi industriali. Nella rete allestita dalle corporazioni (nel paese asiatico come nel resto del mercato planetario) il rapporto con il cibo si fa sempre più fantasmatico: con una progressione implacabile vanno a scomparire gli allevamenti famigliari, le concentrazioni produttive affossano le economie locali alterando i rapporti sociali e le specificità legate a culture e tradizioni. In un processo disumanizzante i sapori, il senso dell’alimentarsi, diventano parte di un catalogo indistinto: il gusto entra a far parte anch’esso di un processo standardizzato.

Questa strategia di accerchiamento, perfezionata negli Stati Uniti fin dagli anni ’90 e attuata da quelle che Stefano Liberti chiama “aziende locusta”, riduce il cibo e i processi ad esso legati a terreno di conquista del capitale speculativo. Vale a dire che il potere economico decide quello che gran parte degli abitanti del pianeta metterà quotidianamente sulla propria tavola: “Sono interessati all’utile a breve termine e non a una strategia complessiva: afferrano e fuggono, divorano e lasciano il deserto dietro di sé, come uno sciame di locuste”.

L’autore de “I SIGNORI DEL CIBO” entra nel vivo del problema, intervistando, viaggiando e andando a visitare alcune roccaforti dell’industria alimentare, strutture che prosperano al di là di ogni principio di sostenibilità. L’osservazione dei meccanismi della filiera è accurata, ineccepibile, ma l’aspetto documentale, le cifre e i riscontri sul campo, non rivelano per intero il grado di desolazione incontrato nel corso dell’indagine. Serviva anche uno sguardo partecipe e a tratti, con lucidità, il lavoro di inchiesta si sofferma sul paesaggio, sulle macerie lasciate dalla bramosia di conquista: gli allevamenti intensivi, i laghi di raccolta degli escrementi dei maiali negli Stati Uniti (le così dette lagoons), il drammatico impatto ambientale delle monocolture nel Mato Grosso in Brasile che mettono a repentaglio la salute pubblica e annientano la biodiversità.

Lo sguardo racconta la desolazione ma anche la caparbietà di chi adotta metodi di produzione alternativi. Stefano Liberti incontra uomini e donne controcorrente, spiriti battaglieri, fautori del cambiamento e della difesa dei principi del mondo rurale contro l’egemonia della grande industria alimentare. Esempi virtuosi che aprono verso prospettive possibili, ma che allo stesso tempo fanno sorgere dubbi sulla loro percorribilità: “è questo un modello potenzialmente capace di opporsi allo strapotere delle transnazionali, con le loro economie di scala e i loro processi standardizzati? È questa la vera alternativa alle aziende-locusta?”

Sorprende conoscere l’evoluzione dei percorsi umani, dapprima pionieristici e naturalmente calibrati su esigenze famigliari e legate alla comunità, in seguito sempre più iperbolici ed infervorati dalla redditività e dalla crescita. Sorprende scoprire l’epopea dei pescatori baschi di Bermeo alla ricerca delle rotte del tonno nei mari del Senegal e della Liberia. Spedizioni (da metà degli anni ’50 a metà degli anni ’60 del secolo scorso) che sembrano uscite da un romanzo di Hemingway e che anticipano lo sfruttamento intensivo del tonno, la nascita in Europa di un’industria fiorente che negli anni a venire avrebbe conosciuto grande fortuna. Ora le barche di legno dei pescatori del Mar Cantabrico sono diventate pescherecci supertecnologici, con a bordo gigantesche celle frigorifere, apparecchiature radar e a volte elicotteri per identificare i banchi di pesci.

Le aziende-locusta rastrellano i mari, trasformano e commercializzano, a seconda della disponibilità delocalizzano i loro impianti. Una vera e propria corsa all’oro degli oceani che vede coinvolti navi ed equipaggi di tutte le nazionalità, dagli spagnoli ai francesi, dai coreani ai cinesi, dai giapponesi ai filippini. La voracità dei colossi del settore destabilizza la pesca locale, alterando equilibri e sovranità alimentare. Si tratta di una vera e propria colonizzazione che, come avviene in Senegal, accomuna le voraci mire imprenditoriali ai potentati locali e nazionali.

L’allarme ambientale, che segnala ogni genere di sfruttamento intensivo delle risorse terrestri, umane e non umane, da tempo echeggia ad ogni latitudine, sia che si parli di monoculture, overfishing o dissolvimento delle economie di sussistenza. Questa considerazione, che chiama ad una responsabilizzazione collettiva, rappresenta la base da cui Stefano Liberti è partito per realizzare I SIGNORI DEL CIBO: “Perché l’attuale sistema alimentare globalizzato non è sostenibile. Le risorse disponibili sul pianeta non sono sufficienti. È necessario cambiare abitudini, modificare i costumi alimentari, riflettere sull’assurdità di filiere lunghe decine di migliaia di chilometri e di cibo venduto a costi infimi. Ragionare sul bilancio energetico di diete basate sul consumo di carne industriale la cui produzione richiede milioni di ettari coltivati solo per nutrire animali chiusi in capannoni. Domandarsi come sia possibile che un pesce predatore e non allevabile quale è il tonno sia venduto a cifre irrisorie dalla grande distribuzione. Interrogarsi su dove, come e da chi il nostro cibo viene prodotto”.


Nota Biografica

Stefano Liberti (1974) pubblica da anni reportage di politica internazionale su diversi periodici italiani e stranieri. Per minimum fax ha scritto A Sud di Lampedusa. Cinque anni di viaggi sulle rotte dei migranti con cui ha vinto il Premio Indro Montanelli e Land grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo, tradotto in più di dieci paesi.

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I signori del cibo | Stefano Liberti

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