Sixty Harvests Left: Regenerating our planet and ourselves
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Sixty Harvests Left: Regenerating our planet and ourselves | Philip Lymbery
Restano sessanta raccolti: rigenerare il nostro pianeta e noi stessi  

Recensione originaria di John Yunker su EcolitBooks,
traduzione di Fabrizio Chillemi, progetto FUSP – SSML | ZEST – TELLŪS


Per molto tempo ho creduto che il periodo in cui ebbe luogo il Dust Bowl* fosse il risultato di anni di agricoltura intensiva senza regole e cattiva gestione del territorio, e anche se questo è vero, quello di cui non mi ero reso conto prima di aver letto Sixty Harvests Left era che già allora, quando le tempeste di sabbia rappresentavano un pericolo costante, c’erano persone di potere per cui si trattava solo di un fenomeno naturale, non di fenomeni causati dall’uomo e che non fosse affatto necessario cambiare le pratiche agricole.

Suona anche stranamente familiare, no? Chi ignora il passato è destinato a ripetere gli stessi errori, proprio quello che stiamo facendo noi sotto molti aspetti.

Solo che noi non abbiamo una seconda possibilità.

L’opera Sixty Harversts left, prende in prestito il titolo dall’avvertimento lanciato dalle Nazioni Unite, secondo cui la capacità produttiva del suolo a livello mondiale potrebbe esaurirsi nell’arco dei prossimi sessant’anni a causa del pascolamento massivo, dell’eccessivo ricorso ai fertilizzanti e dello sfruttamento intensivo del suolo.

Philip Lymbery, autore del libro e amministratore delegato del Compassion in World Farming, ci guida in un viaggio che parte dalla sua casa di campagna in Inghilterra passando per gli allevamenti industriali statunitensi, asiatici e brasiliani dove, per far fronte alla domanda legata alla produzione di cibo per animali le foreste vengono abbattute, si coltiva la soia destinata non agli esseri umani ma agli animali che servono loro da cibo.

Lymbery ci fa conoscere chi sta facendo invece le cose come si deve. Se avete sentito parlare di agricoltura rigenerativa, saprete che c’è un crescente numero di agricoltori che si impegnano attivamente per evitare la chimica, effettuando la rotazione delle colture in modo intelligente e inframezzando terreni coltivati con quelli incolti, fornendo quindi il supporto di cui gli insetti impollinatori hanno disperatamente bisogno.

Anche se in genere sono contrario all’utilizzo degli animali in agricoltura, perché fanno quasi sempre una brutta fine, ammiro chi è abbastanza coraggioso da ripensare l’impiego degli animali in agricoltura, riducendo la loro dipendenza dagli animali e incrementando la produzione di cibo per gli esseri umani, piuttosto che dare cibo agli animali. Lymbery traccia il profilo di alcuni agricoltori che, con successo, stanno sfidando l’agricoltura tradizionale. Non è facile andare contro le lobby dell’agricoltura. Il presidente fondatore di Pasture-Fed Livestock Association ha detto: Contrastare una tendenza non è facile, soprattutto quando ci sono molti che beneficiano dalla vendita di mangime, fertilizzanti e altre sostanze chimiche per l’allevamento.

Non c’è affatto bisogno di impiegare animali affinché un terreno agricolo sia sano. Pensate a David e Kendra Brandt che hanno coltivato i campi usando gli esseri che abitano il sottosuolo e i funghi, senza animali.

Rimanendo indifferenti, permettendo alle grandi aziende di continuare a sfruttare il suolo e gli animali come hanno sempre fatto e non riducendo il consumo di carne, tra sessant’anni, potremmo davvero esaurire la capacità produttiva del suolo in sessant’anni.

Ma se cambiassimo tutti, non solo gli agricoltori, allora ci sarebbe ancora speranza.

Forse potrei venir preso come un fissato che mangia solo verdure, ma non è così, un tempo non avrei mai immaginato che avrei smesso di mangiare carne. Tuttavia, se ci apriamo a nuove possibilità e tradizioni allora ogni cosa è possibile.

Fortunatamente, Lymberly ci porta inevitabilmente in un futuro dove il consumo di carne verrà sostituito da simil-carne, ottenute da piante o coltivate in laboratorio. Ed ecco il messaggio più importante contenuto nel libro; ogni uno di noi può cambiare il mondo tre volte al giorno, basta fare scelte diverse.

Riducendo o eliminando il consumo di care o prodotti caseari, si evita che il pianeta venga letteralmente distrutto. Sono entusiasta del fatto che un libro ecologista, a differenza di molti dei libri che troviamo di solito sugli scaffali, tratti di una questione così pressante e scomoda per molti.

I problemi ambientali sono così tanti che è facile scoraggiarsi perdendo la speranza. Pur non nascondendo la polvere sotto il tappeto, questo libro ci mostra la strada verso un futuro migliore dove acqua, aria e suolo sono più puliti e sani salvando anche miliardi animali. Sempre che riusciamo a esserne all’altezza.


*  Con il termine Dust Bowl si indica una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939, causate da decenni di tecniche agricole inappropriate e dalla mancanza di rotazione delle colture.  (Fonte Wikipedia)

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