LA LIBERAZIONE DELL’AMBIENTE | Jesse H. Ausubel
Di Renzo edizioni 2019 – collana I dialoghi
La liberazione dell’ambiente è la scommessa del Terzo Millennio. Riuscirà l’uomo a restituire all’ambiente in cui vive la libertà di rigenerarsi? Dopo la liberazione dell’uomo dall’ambiente – grande conquista della Rivoluzione Industriale – è arrivato il momento della liberazione dell’ambiente dall’uomo. Niente scelte drastiche o rinunce impossibili: per consentire alla Natura di riparare ai nostri danni, basterebbe lasciarle spazio e tempo per fare il suo corso. Permettere alle foreste di ricrescere, ai pesci di riprodursi, alle città di godere di un’atmosfera incontaminata. Nessun cambiamento radicale, nessun allarmismo. Solo un modello più razionale e responsabile di interazione con il pianeta. Dall’agricoltura “di precisione” ai mezzi di trasporto a levitazione magnetica, dalle auto a idrogeno alla pesca “ragionata”, ecco come e dove intervenire.
Jesse H. Ausubel, direttore del Programma per l’Ambiente Umano della Rockefeller University, ha diretto numerosi programmi di ricerca sulla biodiversità e l’ecologia. Ha lavorato per l’Accademia Nazionale delle Scienze e per l’Istituto Internazionale per l’Analisi dei Sistemi Applicati e ha partecipato all’organizzazione della prima Conferenza Mondiale sul Clima delle Nazioni Unite. Tra i suoi contributi più rilevanti l’Enciclopedia della Vita, il Censimento della Vita Marina e il barcoding del DNA.
Per concessione della casa editrice (i cui diritti restano riservati) vi proponiamo la lettura di un Estratto:
Alla fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80 quando lavoravo sul cambiamento climatico, i miei amici mi dicevano che il mio lavoro esisteva solo ipoteticamente. Avevano ragione – parlavo sempre di possibilità remote con probabilità incerta. Ma negli anni ’90 ero sempre più preoccupato di questioni attuali, in particolare della perdita della biodiversità, che ha luogo ogni giorno in Indonesia, in Brasile e in altre parti del mondo. Perciò la domanda su quanta terra si potrebbe riservare alla natura era una domanda non solo per il 2050 o 2100, ma anche per il presente, perché se le fattorie (e le città) si diffondono, allora è ovvio che gli habitat per le restanti forme di vita si riducono.
Abbiamo iniziato a capire che esistono ottime possibilità di invertire la tendenza dell’umanità ad espandersi nella natura. Infatti molti trend puntano in direzione di un grande ripristino. Nel corso degli ultimi 20 anni abbiamo pubblicato dozzine di rapporti che documentavano come l’espansione nella natura stia giungendo al termine, che non è più necessaria e che una restituzione a livello mondiale di centinaia di milioni di ettari di terra alla natura selvaggia è possibile e probabile.
Abbiamo sviluppato uno scenario che abbiamo chiamato “skinhead earth”, la terra con la testa rasata, nel quale abbiamo raso al suolo tutti gli alberi con enormi perdite nella biodiversità, problemi di erosione del suolo e carenze d’acqua, e più carbonio nell’atmosfera a causa dell’eliminazione delle foreste. Crediamo che un futuro di questo tipo sia improbabile e che per l’anno 2050 potrebbe essere già in corso un grande ripristino della natura, su aree grandi quanto o più della Francia o dell’India. La chiave è quella che noi chiamiamo “agricoltura di precisione”: diffusione di agricoltura intensiva con pochi danni e pochi sprechi. L’agricoltura necessita di maggiore informazione, come tutto ormai. All’agricoltura servono più bit, non più kilowatt o più fertilizzanti. C’è abbastanza azoto, c’è abbastanza acqua: è questione di avere migliori previsioni meteorologiche, un’applicazione di erbicidi, pesticidi e fertilizzanti esattamente quando servono e non, ad esempio, prima che piova. Occorre considerare la genetica come parte di questa rivoluzione dell’informazione.
Nel corso degli ultimi 20 anni abbiamo sostenuto con decisione, e credo in maniera convincente, che un grande ritorno della natura sul territorio è probabile e che questo trend si osserva già in molte parti del mondo. In America si assiste a questo ritorno nel Nordest, dove vivo io, nel Connecticut, nel Vermont e nello Stato di New York. Questi Stati sono stati soggetti alla deforestazione nel corso del XVIII e XIX secolo, per il legno, i combustibili, gli animali, la coltivazione di grano e tabacco. Ora gran parte degli Stati Uniti orientali è di nuovo foresta. La costa è del tutto urbanizzata ma quasi tutto l’interno è foresta. Se si lascia in pace la terra, nel giro di 50 anni si avrà una stimolante ricrescita.
I controlli sul suolo, ma anche le mappe satellitari dell’Europa, mostrano che in Italia, in Spagna, in Germania e in molte altre parti d’Europa c’è una ricrescita delle foreste. Le zone che prima erano terreni agricoli sono state abbandonate e sono tornate a essere boschi oppure le zone boschive un tempo rade si sono infittite. Ha senso, perché la domanda di prodotti del legno si è stabilizzata o si sta riducendo. Ormai ci sono gli e-book, non abbiamo bisogno di molta carta per libri e giornali. I materiali da costruzione per case ed edifici commerciali e residenziali possono essere di origine sintetica, non devono per forza essere di legno. Non abbiamo più bisogno di molte nuove traverse ferroviarie e non è più necessario che siano di legno. La domanda di prodotti provenienti dalle foreste è stabile o sta scendendo. È la dematerializzazione.
A livello globale, 10 miliardi di persone possono aver bisogno di appena la metà o due terzi della terra ora utilizzata da 7 miliardi. Le proteine o le calorie, gli alimenti che abbiamo bisogno di coltivare, possono benissimo essere coltivati su appezzamenti sempre più piccoli di terra per ottenere cibo e legno. In effetti, se la nostra dieta passa da una dieta ad elevato contenuto di carne ad una dieta più vegetariana, con più pasta e appena un po’ di sugo, allora anche la domanda di terra si riduce. Gli italiani hanno il giusto concetto di alimentazione: usano la carne o il pesce per insaporire il pane o la pasta, non come fonte principale di proteine o calorie. Penso che la digressione verso la carne degli ultimi 100 anni possa arrestarsi. Forse si può diventare completamente vegani, ma anche se ciò non fosse, si può avere una dieta di 4.000 calorie al giorno, una dieta molto ricca, fatta di sapori meravigliosi ma nella quale le proteine e le calorie non vengono dall’allevamento. Produrre un cereale come il mais per l’alimentazione animale rappresenta un’alternativa a colture come il grano – che apporta calorie in maniera diretta – per la fornitura di alimenti per l’uomo.
Come americano, penso che gli hamburger siano un sorta di folle incidente dovuto ad eccessivo successo dell’agricoltura. Che cosa se ne dovevano fare gli agricoltori delle eccedenze? Coltivavamo più mais di quello che serviva. In caso di enormi eccedenze, beh si trasformano in whiskey o in hamburger, che altro si potrebbe fare? Si tenta di venderle! Questo capovolgimento dell’uso della terra può – con migliori previsioni meteo, sementi migliori e altre caratteristiche dell’agricoltura di precisione – portare a un grande ritorno della natura sul territorio. Il bufalo tornerà a vagare nelle Grandi Pianure americane.